Itinerari

Armenia in bicicletta: le montagne

Sabato 27 agosto, di primissima mattina, attraversiamo a Sadakhlo il confine tra Georgia e Armenia in non più di 5 minuti. Ci troviamo già davanti ad una scelta con gli occhi ancora annebbiati dal sonno. Sinistra o destra al primo bivio? Entrambe le opzioni portano verso Sevan, città sull’omonimo lago a 2000 m di altezza slm, che vogliamo visitare.

Mappa

Altimetria

armenia-altimetria

Traccia gps | Mappa kml

A destra andremmo in direzione di Vanadzor e percorreremmo parte del percorso della via della seta. A sinistra saremmo vicinissimi al confine azero, sperduti tra piccoli villaggi, con un dislivello maggiore, ma sicuramente meno traffico, perché tutto il transito dalla Georgia per la capitale armena – Yerevan – sceglie la prima opzione.
Ci lasciamo convincere dall’itinerario meno battuto e svoltiamo a sinistra dopo Ptghavan. Inizia immediatamente una ripida salita di diversi chilometri che ci dà il buongiorno, così come tutti i venditori a bordo strada, che ci invitano calorosamente a fermarci per poterci regalare alcuni dei loro prodotti. L’accoglienza non può essere migliore e, dopo due ore dall’ingresso in Armenia, il contachilometri segna un misero risultato, ma il borsello anteriore della bici è pieno di pesche e fichi.

borsello

Nonostante il dislivello continuo, tra salite (+1965 m) e discese (-1883 m), siamo ripagati della fatica fatta da scenari incredibili, viste di vallate e poi rilievi, tornanti mozzafiato e qualche monastero timido in una natura sovrana. La città più grossa incontrata è Noyemberyan, dove troviamo anche un bancomat per ritirare nella valuta locale. Sul percorso comunque non mancano i market e i ristoranti e, salendo di quota, sono molto frequenti le fontane, ben segnalate. La strada non è molto trafficata e la polizia fa si che la velocità delle macchine non sia eccessiva.

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Distrutti dalla salita e dal sole, ci fermiamo dopo 70 km nei pressi di Achajur, subito prima che la raggiunga anche la tempesta. Il meteo, ci dicono, avvicinandosi all’autunno, sta diventando sempre più instabile e piovoso.
La mattina seguente ripartiamo verso sud-ovest e imbocchiamo la M4, un pò più trafficata rispetto a quella del giorno precedente. Il percorso prevede un dislivello in salita lieve ma costante, attraversa una città, Ljevan, e altri piccoli villaggi, percorrendo la vallata scavata da un fiumiciattolo in mezzo ad alte vette boscose.
L’ospitalità di questa gente continua a stupirci: sono in tanti a chiederci di fermarci per un caffè e, nonostante nessuno di loro parli inglese, riusciamo a scambiare brevi e semplici conversazioni.
Pedaliamo in un tripudio di suonate di clacson, che dalla Georgia ci accompagnano e a tratti stordiscono con suoni improbabili. Alcuni ci intimano di farci da parte, i più invece ci vogliono salutare, ma non si rendono conto che ci fanno sobbalzare dallo spavento.

Di nuovo le fontane lungo il percorso non mancano e l’acqua è in genere freschissima.
Raggiungiamo Dilijan per pranzo, dopo 45 km e all’altezza di 1300 m slm, e decidiamo di non pedalare più per la giornata, ma goderci il bel panorama montuoso che da qui si apprezza. La cittadina era meta, fino a qualche decennio fa, del turismo russo e conserva oggi una serie di hotel sparsi per le viuzze della collina. Ci accampiamo fuori da una bella guest house dove l’ospitalità, ancora una volta, ci lascia increduli.

Per il giorno seguente abbiamo in programma una tappa breve ma impegnativa. Da Dilijan riprendiamo la M-4 in direzione di Sevan. Il percorso è di costante salita per un dislivello positivo di 1400 m. Qualche giorno prima un anziano signore di quelli che ci offrono il caffè per strada, ci aveva spiegato a gesti che l’arteria principale per Sevan passa attraverso un tunnel lungo 4 o 5 km, o che, in alternativa, esiste una via più piccola e più lunga, a tornanti, che passa per Semyonovka. Consultiamo le mappe e ci affidiamo al consiglio ricevuto. Alla svolta per Semyonovka, a 1850 m slm, imbocchiamo la H-52, con l’asfalto in buone condizioni, tre macchine in tutto e soprattutto un panorama mozzafiato. Presto il tunnel in lontananza non produce più rumori e restiamo soli a 2000 m a misurarci con la fatica, ma soprattutto con l’emozione del primo passo così alto dall’inizio del viaggio. Alcune mucche pascolano del tutto indifferenti alla nostra soddisfazione.

passo-a-2160m

I tornanti visti dall’alto ci fanno esultare. Il passo si trova a 2160 m sul mare, vicino al poverissimo villaggio di Semyonovka, dove, al nostro passaggio, i genitori corrono in casa a chiamare i bambini per salutarci. Una volta in cima vediamo il lago e i monti che lo contornano e iniziamo la discesa di circa 200 m per arrivare fino alla sua sponda. Quando ci ricongiungiamo alla M-4 lo scenario diventa un pò meno magico, perché pedaliamo su una stradona trafficata a quattro corsie. A lato della carreggiata ci sono venditori di pesce che si sbracciano per attirare clienti e qualche ristorante sul lago. Oltrepassiamo Sevan perché vogliamo restare adiacenti al lago e prendiamo la M-10 che lo costeggia fino all’estremo meridionale. Ci fermiamo per la notte a Chkalovka, dopo una tappa di 50 km duri ma di indimenticabile soddisfazione. Il paesino è fatto da poco più di una decina di case sparse, un benzinaio, un piccolo negozio e qualche hotel.

Il giorno seguente continuiamo per la stessa strada, abbastanza trafficata e, al contrario di quanto visto finora, senza pattuglie della polizia che sorvegliano la velocità dei mezzi. L’asfalto è ancora in buone condizioni, ma spessissimo dobbiamo invadere la carreggiata per evitare tutti i frammenti di vetri nel margine stradale.
Percorriamo tutto il versante occidentale del lago, a tratti vicinissimi alla sponda, con le montagne che fanno da sfondo all’azzurro dell’acqua, a tratti leggermente spostati verso l’entroterra in un paesaggio arido e ondulato.
Attorno alla strada sembra non esserci vita; il maggiore fermento si concentra nelle stazioni di benzina e nei negozi per auto. Ci godiamo riflessivi questa pace e ci accorgiamo che qui a 2000 m l’ossigenazione e lo sforzo sono diversi da quelli dei giorni scorsi.

Arrivando a Martuni, il dislivello positivo della giornata è di 550 m distribuiti su 65 km. La cittadina è separata dal lago da una fascia di bosco e non se ne percepisce la presenza. Le vie principali sono asfaltate, ma le secondarie no e l’illuminazione pubblica è scarsa.
Il costo della vita in Armenia è forse il più basso incontrato finora, specchio della condizione di generale povertà del paese. Un pasto al ristorante ci costa in media attorno ai 4 € a testa e riusciamo a dormire in albergo per 10 o 15 € in due.

Salutato il lago, continuiamo verso sud in direzione Iran. La M-10 ci dà il buongiorno con una bella salita attraverso Geghhovit, un piccolo villaggio ancora più povero di Martuni, dove i bambini corrono in strada gridando ‘Hello’ al nostro passaggio e due venditrici ci offrono delle prugne. Poi il centro abitato finisce, ma la salita no. Ci inoltriamo in un paesaggio per nulla civilizzato, ad eccezione di una decina di capanne di pastori sparse lungo il percorso. Incontriamo qualche macchina e qualche camion, ma il traffico è decisamente scarso. Saliamo tra mucche, pastori e fontanelle freschissime per più di 25 km fino a raggiungere il passo a 2410 m slm.
Sul versante opposto il paesaggio si fa meno arido e ci si apre alla vista una lunga serpentina di tornanti incredibili.

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Prima di scenderli, però, visitiamo il caravanserraglio di Orbelian, scenografico punto di riposo per i viaggiatori del cammino della seta.
Scheggiamo verso valle ammaliati dal fascino delle vette attorno a noi e solo dopo una ventina di chilometri ritroviamo vita. Scendiamo quasi ininterrottamente fino a Yeghegnadzor, all’altezza di 1200 m sul mare. Qua il caldo ricomincia ad essere un problema e non vediamo l’ora di tornare di nuovo in quota. La città, così come le ultime, non offre nessuna attrattiva, anzi non ha un vero e proprio centro o una piazza dove le persone si concentrano. E’ addirittura difficile trovare ristoranti e caffè.

Il giorno seguente alle 7:30 di mattina siamo in strada e ci muoviamo verso est. Siamo circondati a 360 gradi da montagne, con poca vegetazione e pareti frastagliate. Per una trentina di chilometri non guadagnamo altezza, seppure il percorso sia tutto un sali-scendi. A Vajk facciamo l’ultima spesa per l’autosufficienza prima di addentrarci in una regione piuttosto disabitata. Poi, poco prima di Saravan si inizia a salire davvero. Presto cominciano i tornanti che ci aiutano a coprire, tra una curva e l’altra, il dislivello positivo giornaliero di 1600 m in mezzo ad un paesaggio naturale arido, ma comunque molto suggestivo. Il passo di Vorotan si trova a 2440 m e regala già una bella vista del lago sul nuovo versante, dove si trova la riserva naturale di Spandaryan.

riserva-spandaryan

Il profilo altimetrico continua ad essere impegnativo e ci troviamo a cambiare marcia in continuazione per assecondare le continue salite e discese, vicino alla sponda nord del lago. Ci fermiamo nel villaggio di Sarnakunk, ci addentriamo nei pascoli circostanti cercando un punto con vista lago e quando lo troviamo piantiamo la tenda. La notte è davvero fresca: è il 30 agosto e l’estate si può dire conclusa quassù. In più il tempo non ci risparmia niente e, oltre alla pioggia notturna, ci regala un risveglio nella nebbia. Attraversiamo il prato costellato di mucche e loro regali e torniamo sulla E-117, che ancora sale e scende ritmicamente. Decidiamo che questo profilo ci ha stancati e azzardiamo una strada secondaria per raggiungere Tatev, la nostra prossima meta: poco dopo Shaki svoltiamo a destra e scendiamo per Noravan, tra le buche dell’asfalto rovinatissimo. Procediamo in discesa per quasi 20 km, oltre il meraviglioso monastero di Vorotnavank ed il lago di Shamb, completamente accerchiati da montagne dal colore della terra.

lago-ltsen

Poi iniziamo ad arrampicarci per tornanti verso il paesino di Ltsen, a 1550 m slm, formato da 50 anime, una ventina di case radunate attorno alla fontana e tante stalle. Quassù la pioggia ci arresta e siamo invitati a pranzo da una coppia di signori che sarà la nostra ancora di salvezza per le successive 24 ore (qui non ci sono market). Attorno alle 15:30, finita la pioggia, ci avviamo per lo sterrato di 15 km che, coprendo 600 m di dislivello positivo, si arrampica fino a 2150 m e poi scende fino a Tatev. Capiamo subito che non sarà facile, ma tentiamo l’impresa. Con le bici cariche non riusciamo ad affrontare alcune salite molto ripide e siamo costretti a spingerle su a braccia. Poi salendo di quota, in mezzo al bosco, le nuvole diventano fittissime e si trasformano in una pioggerella che ci inzuppa i vestiti.

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Si fanno le 18:00 con soli 5 km all’attivo, a circa 1950 m slm. Decidiamo di tornare sui nostri passi e in mezz’ora siamo a Ltsen, dove i nostri ospiti sono felici di accoglierci di nuovo con una cena a base di cibi di loro produzione e soprattutto con un letto caldo. La casa non ha l’acqua corrente, né un bagno e una cucina propriamente detti, ma l’accoglienza è delle più sincere.

Il giorno successivo, il 3 settembre, ritentiamo i 15 km nei boschi per Tatev, convinti che, con tutta la giornata davanti, non avremo problemi. Chiacchierando con la gente di Ltsen scopriamo che ci sono lupi e orsi in quota, ma ci autoconvinciamo che siano un problema solo quando scende la notte. La nebbia però non è diminuita e la pioggia della notte passata ha reso ancora più impraticabile la via: le ruote delle bici si riempiono di fango e si bloccano nei tratti più bagnati.

Siamo a soli 11 km di distanza da Tatev, e qualche centinaia di metri di dislivello ci porterebbero alla vetta per poi svalicare e scendere fino alla città.
Invece, dopo 4 km infernali, decidiamo di tornare indietro di nuovo, questa volta fino a Noravan, perché non ci sono alternative.

Ripercorriamo a ritroso la strada: alla fontana di Ltsen ci ripuliamo grossolanamente dal fango, scendiamo fino al lago e poi iniziamo la risalita di 20 km, col morale a terra perché sono state le condizioni meteo, e non i nostri limiti, a impedirci di proseguire.

Poco dopo il monastero di Vorotnavank fermiamo un camion diretto a Goris e ci carichiamo bici e borse senza rimorsi. Niente, in questo momento, potrebbe tirarci più su di una corsa sul cassone scassato di un camion armeno. Ci teniamo stretti alle sponde ad ogni sobbalzo e curva e ci godiamo divertiti il paesaggio visto da qualche metro più su del solito. Passata Noravan il camion svolta a destra sulla E-117 e facciamo ancora qualche chilometro comodi fino alla svolta per la H-45, la strada ‘ufficiale’ per Tatev. Di qui, a 2000 m di altezza, pedaliamo di nuovo e scendiamo quasi ininterrottamente fino ai 1000 m slm, attraverso Shinuhayr e Halidzor. Poi, durante la discesa, vediamo avvicinarsi una serie infinita di tornanti spigolosi che si inerpica per centinaia di metri fino alla cima della montagna davanti a noi. Capiamo che è la strada per Tatev. Il cartello alla base della salita ci avvisa che ci attendono 5,8 km con pendenza del 12%, su strada sterrata. Dopo due ore faticose, alle 18, raggiungiamo la cima, a 1600 m circa di altezza, ma le nuvole ci avvolgono e la scarsissima visibilità annienta ogni soddisfazione. Vedremo il monastero solo il giorno seguente, pur essendoci passati davanti appena arrivati. Ci prendiamo un giorno di pausa quassù e viviamo la vita lenta e bucolica di questo villaggio che da poco ha conosciuto il turismo, con timidi tentativi di bed & breakfast ricavati in tipiche case rurali armene.

Il giorno seguente il cattivo tempo ci concede una tregua e ci consente di percorrere la H-45, che prosegue sterrata verso Kapan e ragala, dopo un chilometro, un punto di osservazione fantastico sul monastero di Tatev.

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Il percorso inizia a salire abbastanza rapidamente attraverso le montagne verdissime e dopo pochi impegnativi chilometri raggiunge i 1960 m slm. Poi scende quasi ininterrottamente fino a Kapan, attraversando remoti villaggi di montagna e pascoli. La strada è asfaltata in maniera pessima o sterrata, con tratti molto fangosi, quindi questi 45 km non sono veloci come credevamo. Troviamo parecchie fontanelle per l’acqua sulla via ed un market a circa metà percorso. Il dislivello positivo della giornata è di 1000 m.

Kapan è una delle città armene più grosse che visitiamo, con 50000 abitanti, a 700 m slm. Approfittiamo del suo piccolo ma vivace centro per comprare i vestiti che indosseremo in Iran.
L’indomani partiamo di primissima mattina perché ci aspetta una tappa davvero impegnativa per raggiungere in confine iraniano: così come entrando in Armenia abbiamo scalato circa 2000 m, ugualmente la salutiamo con una tappa di 73 km e 2065 m di dislivello positivo. La partenza da Kapan è piana, ma l’illusione dura pochissimi chilometri e presto iniziamo a dover spingere forte sui pedali. Teniamo per tutto il giorno la M-2, dove l’asfalto è in buone condizioni. Inizialmente un pò trafficata, soprattutto di mezzi pesanti, dopo Kadjaran diventa praticamente deserta. Kadjaran si trova circa a 1700 m di altezza e 28 km da Kapan e la raggiungiamo attorno alle 10:30, ancora piuttosto freschi, ma consapevoli di quello che ci attende oltre. Questa è l’ultima città, sulla M-2, in cui è possibile fare rifornimento di cibo prima di Meghri. L’acqua invece non manca sul percorso.

Da Kadjaran parte una salita vertiginosa, che, tra tornanti e rettilinei con pendenza del 12%, porta fino al passo di Meghri, a 2535 m. Da vari punti del percorso si può osservare la città, poco distante ma progressivamente sempre più piccola, e svariati chilometri della M-2 precedentemente percorsa, con non poca soddisfazione.

In cima una fontana freschissima ci rimette in sesto. Da qui iniziano circa 30 chilometri di discesa quasi ininterrotta fino alla cittadina di Meghri, a 8 km dal confine iraniano. Il paesaggio, verdissimo in quota, è cambiato radicalmente al termine della discesa: ora abbiamo attorno delle bellissime cime rocciose, senza alcun tipo di vegetazione. Sembra che l’Iran si intrufoli in questo angolo di Armenia.

Domani scopriremo cosa ci aspetta oltre il confine e intanto immagazziniamo un ricordo bellissimo del paese appena atraversato, con le sue pendenze spietate, i paesaggi montani incredibili e l’ospitalità disarmante della sua gente.

 


piece_of_cake_thumb-1-699x366Siamo Chiara e Riccardo; abbiamo lasciato Cesena venerdì 10 giugno, direzione Singapore! Il nostro progetto si chiama ‘For a piece of cake’, perché la torta, per Chiara, diabetica di tipo 1 dall’età di 11 anni, è un piacere da conquistare con dosi extra di insulina o attraverso l’esercizio fisico, l’ingrediente principale di questa lunga avventura.

È possibile seguire la nostra avventura anche su:
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