“Ogni cosa va definita non per quello che è in sé, ma per i rapporti con le altre cose” (Bateson)
Nella biomeccanica applicata al ciclismo, il piede, troppo spesso, non gode di grande considerazione. Il rapporto vincolare che ha con il pedale, induce a pensare che si tratti di un punto “immobile” e, quindi, meno importante rispetto ad altre articolazioni sovrasegmentarie. In realtà, il complesso piede/pedale è fondamentale ed ha riflessi sull’efficienza e sull’equilibrio della pedalata e sull’eventuale sviluppo di patologie da sovraccarico.
Nel ciclismo, sono principalmente gli arti inferiori a erogare la potenza necessaria allo spostamento ed è la spinta dei piedi sui pedali a trasferire l’energia agli stessi, identificando, così, un punto cruciale, che definiremo “foot-pedal interface”.
Per meglio comprendere e studiare l’apparato locomotore nella dinamica del ciclismo non è possibile, però, frazionare il corpo umano in singoli segmenti: ogni elemento del sistema concorre alla trasformazione della forza muscolare in movimento, in una armonia d’insieme laddove ogni singola parte influenza il sistema e, quindi, ogni regolazione ha effetto su tutte le altre.
Spesso si dà per scontato che il movimento del piede sul pedale sia identico a quello nella deambulazione ma si tratta di un errore concettuale. In questo articolo analizzeremo le differenze tra deambulazione e pedalata e cominceremo a definire una biomeccanica propria del piede sul pedale.
Indice
• Biomeccanica del piede nella deambulazione
• Similitudini tra biomeccanica del piede in camminata e in pedalata
• Differenze tra biomeccanica del cammino e del ciclismo
• Concludendo
Biomeccanica del piede nella deambulazione
Per alcuni aspetti il gesto della pedalata è innaturale. L’essere umano, come è oggi, è il risultato di milioni di anni di evoluzione durante la quale è andato adattandosi al movimento della camminata in stazione eretta.
Il piede, struttura particolarmente complessa, ha sviluppato molteplici capacità:
• fornisce una solida base di appoggio per permettere la stazione eretta e sostenere il peso dell’individuo;
• è in grado di trasformarsi alternativamente da adattatore mobile a leva rigida per gestire le diverse fasi della deambulazione;
• è in grado di accumulare e di restituire energia elastica per massimizzare l’efficienza energetica.
Le molteplici funzioni del piede fanno capo alla modulabilità della struttura podalica e dell’arco plantare in particolare, rendendo possibile e gestibile la vita ed il movimento in stazione eretta.
Nella dinamica del cammino si configurano diverse condizioni e necessità talvolta opposte e contrarie. Nel dettaglio:
• il piede, non appena tocca il suolo, deve saper assorbire lo shock di impatto per ridurre il più possibile la trasmissione delle forze ai segmenti superiori;
• deve, quindi, rendere possibile l’adattamento della sua struttura scheletrica al terreno e alle eventuali irregolarità grazie alla plasticità del sistema legata all’interazione tra muscoli, articolazioni, legamenti, ossa e sistema nervoso. Questo momento è definibile come “sensoriale”;
• successivamente, il piede deve poter sostenere il carico, assecondare il trasferimento del centro di massa oltre il punto di appoggio e quindi trasformarsi in una leva quanto più rigida possibile per generare e trasmettere una spinta in avanti nella fase propulsiva;
• infine, deve adattarsi ad una condizione di volo per riportarsi in avanti evitando il contatto con il suolo e preparandosi nuovamente all’impatto del passo successivo.
L’essere umano, se confrontato con le scimmie antropomorfe, dispone di una gamma di strutture specializzate che mancano nei primati, atte a gestire la posizione eretta, la deambulazione, la corsa e il trasporto di carichi, tra i quali un tendine Achille pronunciato, l’aponevrosi plantare, i legamenti plantari e la muscolatura intrinseca. Il confronto dell’uomo con gli altri vertebrati, dall’embrione in avanti, mostra che, negli stadi iniziali dello sviluppo, l’abbozzo del piede è molto simile, si arresta agli stadi iniziali nei più primitivi e procede verso stadi sempre più differenziati e diversificati nei più evoluti, fino a presentare differenze notevoli tra l’uomo e le altre specie di primati. L’ontogenesi racconta la filogenesi: la formazione della struttura podalica, dall’embrione all’uomo, narra l’evoluzione, i cambiamenti ai quali il piede è andato incontro in risposta, anche, alle esigenze funzionali di un essere che passa dalla postura tetrapodalica e quella bipodalica.
Similitudini tra biomeccanica del piede in camminata e in pedalata
Il movimento degli arti inferiori nel ciclismo è definibile come cinematicamente vincolato: si realizza prevalentemente sul piano sagittale ed è guidato e imposto dalla traiettoria circolare del pedale.
Se è vero che la necessità di muovere il piede nel ciclo del pedale richiede un adattamento che non ha avuto milioni di anni di evoluzione a disposizione, come abbiamo visto essere stato per la deambulazione, è anche vero che il corpo umano ha capacità di adattarsi e che la bicicletta, dal canto suo, richiede movimenti compatibili con il sistema muscolo-scheletrico umano: queste due condizioni rendono possibile la pedalata.
Il posizionamento in sella rispettoso della biomeccanica è basilare per rendere la bici un mezzo piacevole e sano e, insieme alla consapevolezza delle proprie caratteristiche e dei propri limiti, nonché ad una determinazione coerente degli obiettivi, minimizza i rischi di lesioni da usura.
Nella deambulazione, come nella pedalata, c’è un’amplissima variabilità individuale: ogni essere umano esegue il gesto a modo proprio, all’interno di una pur fisiologica variabilità dei movimenti che cambiano, non solo da persona a persona, ma anche nel tempo. Lo stesso ciclista sportivo, ad esempio, si muoverà in modo diverso negli anni, nei diversi momenti della stagione (in base all’adattamento al gesto e alla fatica accumulata) ed anche a seconda del diverso momento della gara (se sta tirando la volata pedalerà in modo diverso rispetto a quando starà nel gruppo).
Imporre a tutti, e per sempre, lo stesso modello con le stesse misure, senza prevedere la variabilità, rischia d’essere dannoso nel tempo. In definitiva, ha molto più senso parlare di finestra biomeccanica anziché di misure fisse e invariabili.
La deambulazione e la pedalata condividono molti aspetti:
• sono moti lineari del corpo che si esplicano prevalentemente sul piano sagittale;
• sono gesti locomotori che interessano i due arti con un’alternanza ritmica dei movimenti tra i due, con periodi sfasati di un emiciclo dove alla fase propulsiva di un arto corrisponde la fase di recupero dell’altro;
in ogni arto si ha un’alternanza tra flessione ed estensione, con maggior generazione di potenza nella fase di estensione;
• in entrambi i cicli sono riconoscibili quattro fasi. È opportuno precisare che, per convenzione, il ciclo del cammino inizia con il contatto del piede al suolo e soltanto alla 3^ fase si assiste alla spinta mentre, nella pedalata, la fase 1 è normalmente identificata con l’inizio della spinta.
Pedalata (pedivella a ore 12 posto come 0°) | Deambulazione | ||
spinta o fase 1 | da 20° a 145° | fase di contatto | |
transizione al PMI o fase 2 | da 145° a 215° | fase di mid-stance | |
trazione o fase 3 | da 215° a 325° | fase propulsiva | |
transizione al PMS o fase 4 | da 325° a 20° | fase di volo |
In ogni caso, non è possibile, in entrambi i gesti, isolare il segmento piede e caviglia dall’arto inferiore tutto, dall’apparato muscoloscheletrico nel suo complesso e dal sistema nervoso centrale che deve rispondere ad esigenze di equilibrio in continuo mutamento coordinando informazioni da afferenze visive, propriocettive e cutanee.
Ancora, in entrambi i casi, la calzatura è elemento pressoché sempre presente ed è capace di modificare il gesto.
Differenze tra biomeccanica del cammino e del ciclismo
Se il piede e la caviglia condividono molti aspetti in deambulazione e in pedalata, è pur vero che sussistono marcate differenze tra i due gesti:
• nella deambulazione, il movimento sul piano sagittale sposta il baricentro del corpo anteriormente al piede in appoggio a produrre una caduta in avanti che è controllata dalla contrazione muscolare; sostanzialmente la deambulazione è frutto dell’alternanza tra la perdita dell’equilibrio e il tentativo di riguadagnarlo. Nella pedalata, invece, l’avanzamento è dato dalla combinazione della forza muscolare, dell’inerzia e della forza peso dell’arto applicate al pedale;
• nella deambulazione, il piede non ha vincoli costanti ed omogenei, in osservanza al principio della continua trasformazione da adattativo “sensoriale” a leva rigida, mentre nel ciclismo ci sono dei vincoli imposti dal rapporto piede/pedale e dettati, anche, dalla bici nel suo complesso e dalla regolazione della stessa;
• nella deambulazione, c’è un’alternanza tra fasi di contatto e volo con una distribuzione del carico podalico che varia in continuo per posizione e modulo, mentre, nella pedalata, abbiamo un costante vincolo avampodalico ad interessare, soprattutto nel pedale a sgancio rapido, solo alcune teste metatarsali. Concentrandosi soltanto sull’avampiede, in deambulazione, quando questo non è a contatto col suolo, non ha vincoli sottostanti ma è in rapporto, mediante tendini, legamenti e muscoli, con il meso/retropiede e con la gamba, mentre durante la fase propulsiva abbiamo il vincolo del suolo e il carico viene trasferito dalla 5^ alla 1^ testa metatarsale; durante la pedalata, invece, in particolare con pedali automatici, il vincolo costante e fisso sui raggi centrali riduce la superficie di carico, inteso come punto di applicazione della forza;
• nella deambulazione, ad ogni passo, come abbiamo detto, il piede alterna un ruolo di adattatore mobile e shock absorber con uno di leva rigida propulsiva; in particolare, quando il piede prende contatto con il terreno, vi è la necessità di assorbire e dissipare l’energia dell’impatto al suolo, distribuendola su diverse strutture e più tessuti; un ruolo centrale nella gestione di questa funzione è proprio dell’articolazione sottoastragalica (SA). Nella pedalata, come abbiamo visto, non si alternano una fase di volo con una fase di terra ma c’è un vincolo costante dell’avampiede con il pedale ed è il pedale che si muove su una traiettoria circolare obbligata; SA si muove insieme alle altre articolazioni ma, verosimilmente, non ha ragione di assorbire lo shock di impatto al suolo, dal momento che nella pedalata manca il momento di contatto col suolo del retropiede dopo una fase di volo.
Un’eccezione può verificarsi durante la guida in mountain bike ove i carichi possono andare incontro a variazioni consistenti in periodi molto brevi per le irregolarità del suolo e per la guida (roccia, terra, salti e altre sollecitazioni) e la tipologia (gravity o pedalate).
Ipotetiche differenze specifiche di timing nell’azione podalica: nella pedalata, nella prima parte della fase 1 (da 20° a 90° circa), alla spinta è associata posizione di SA in pronazione e di TPA in dorsiflessione e poco movimento di 1^ MF, mentre, nel ciclo del passo, la spinta (fase propulsiva) è caratterizzata da plantarflessione di TPA, supinazione di SA e dorsiflessione di 1^ MF.
Ciclo pedalata | Ciclo deambulazione | |||
prima fase di spinta (da 20° a 90°) | pronazione SA | fase propulsiva (dal distacco del tallone) | plantarflessione TPA | |
supinazione SA | ||||
dorsiflessione TPA | dorsiflessione 1^ MTF |
È ipotizzabile che la fase di spinta, nella pedalata, sia anticipata rispetto a quanto succede nella deambulazione, ossia si inizi a spingere quando ancora il piede non è pronto a sostenere la spinta: questa condizione, insieme alla mancanza dell’appoggio al suolo e alla presenza di un unico vincolo avampodalico (il pedale), che ruota intorno all’asse del movimento centrale, potrebbe portare alla mancata o ritardata attivazione dei meccanismi tipici della propulsione in deambulazione che inducono la leva rigida.
In bicicletta, la ripetizione del gesto atletico è molto elevata. La frequenza di pedalata, in pianura, per ciclisti esperti, è nell’ordine di 80-100 giri al minuto; tradotto in giri all’ora, ogni arto inferiore ne compie 4.800-6.000.
Nelle uscite lunghe si ragiona in termini di decine di migliaia.
Di fronte a questi numeri, è facile capire come non solo i vizi biomeccanici e/o posturali del ciclista ma anche gli errori di assetto legati a bikefitting errati possano portare a grossi problemi da overuse.
Concludendo
Abbiamo descritto le differenze biomeccaniche sostanziali, con particolare attenzione alla dinamica, tra il piede nella deambulazione e il piede nella pedalata: si tratta di due gesti che richiedono attivazioni muscolari e coordinamento motorio differenti. Concludendo, riteniamo che il piede non possa non essere preso in considerazione in una valutazione globale del sistema uomo/bici e che sia inopportuno effettuare valutazione biomeccaniche e correzioni podaliche per il ciclismo utilizzando i criteri propri del cammino senza adottare opportune variazioni legate allo specifico gesto atletico.
Autori:
• Andrea Paradiso: docente c/o Master di Biomeccanica applicata alla terapia ortesica podologica dell’Università di Firenze
• Matteo Ieri: docente nel Master di Biomeccanica podologica a Firenze.