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Medici in Africa: in bici contro la cecità

Medici in Africa: in bici contro la cecità

Un progetto per prevenire e contrastare in Uganda le malattie “evitabili”, come la cecità. Anche grazie all’uso delle biciclette.

Badal è un bambino nepalese di sei anni. Che ora finalmente ci vede. La cataratta bilaterale che gli faceva buia compagnia è stata rimossa con un semplice intervento. Badal aveva un sogno: andare a scuola in bicicletta. Sogno realizzato. Dal Nepal ci spostiamo in Africa. Biciclette anche lì e anche lì lavorano i medici e gli operatori socio-sanitari dei centri oculistici realizzati da CBM Italia, l’organizzazione impegnata nella prevenzione e cura della cecità e della disabilità evitabile.

Già l’utilizzo dell’aggettivo “evitabile” dà la misura di quanto ci sia da fare per rendere il mondo un posto più giusto: le malattie che si possono prevenire, a volte solo con delle semplici gocce – come il tracoma, non più presente in Italia da circa 80 anni –, in grandi parti dell’Africa diventano condizioni permanenti.

Gli operatori socio-sanitari della clinica St. Joseph, Uganda del Nord, il cui plesso oculistico è stato inaugurato lo scorso anno, grazie a una flotta di cinquanta biciclette possono raggiungere anche i villaggi più isolati a costo zero per individuare quei bambini e quegli adulti ipovedenti o già ciechi e ridare loro la vista.

Le preziose bici africane

Massimo Maggio, direttore di CBM Italia, in Africa è di casa. E di bici ne ha viste tante. Alcune le ha quasi… “intuite”: «Ricordo una bicicletta totalmente ricoperta di ananas, un’altra di banane, un’altra ancora dove erano appese decine di taniche gialle per l’acqua. E chi dimentica quel signore che trasportava un palo di legno di traverso lungo circa quattro metri! In Africa le due ruote sono davvero preziose».

Le bici della clinica St. Joseph

CBM Italia progetto bici per Uganda clinica St. Joseph

Preziose come le cinquanta bici della St. Joseph, a Kitgum, cittadina di un Paese dove gli oftalmologi – specialmente nel Nord – sono rari: uno ogni 1,2 milioni di abitanti. La clinica dispone di sala operatoria, spazi per la degenza, le visite e attrezzature di alta qualità, ma è altissima anche la povertà, e gli abitanti dei villaggi faticano a racimolare qualche soldo per raggiungere le strutture sanitarie.

Ecco allora che sono gli operatori ad andare da loro. Pedalando. «Una delle caratteristiche del nostro lavoro – continua Massimo Maggio – è l’approccio comunitario, che noi chiamiamo Community Based Inclusive Development, cioè Sviluppo inclusivo su base comunitaria. La comunità diventa centrale. Necessaria la figura dei Community Help Volunteers, persone – nel nostro caso operatori socio-sanitari – che si recano nelle comunità e scoprono il bambino, ma anche l’adulto, che ha la cataratta bilaterale, o quello con il tracoma, o il glaucoma. Tra l’altro in certi Paesi chi affronta questo tipo di problemi è sempre a rischio stigmatizzazione e quindi molte persone vivono nascoste. Nella maggior parte dei casi, per raggiungere questi villaggi sperduti ci avvaliamo delle biciclette. Che hanno alcune particolarità: sono più grandi di quelle che vediamo sulle nostre strade, più pesanti e più resistenti. Inoltre sono dotate di una specie di molla posta nella parte anteriore, al centro, sopra la forcella, e un’altra sotto al sellino; fungono da ammortizzatori, perché le strade, soprattutto sterrate, sono praticabili con difficoltà».

Le bici sono parte integrante del progetto contro la cecità

Se è possibile sapere che ci sono persone che hanno bisogno di cure e quindi arrivare a curarne 10.000 l’anno è anche grazie a queste biciclette, acquistate in Uganda e parte integrante del progetto complessivo riguardante i centri oculistici, sostenuto anche dall’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo.

Certo, non sono l’unico mezzo a disposizione. I medici del St. Joseph, infatti, raggiungono i villaggi con delle cliniche sanitarie mobili, che consentono di visitare e intervenire sul posto. Ma durante la stagione delle piogge le difficoltà aumentano e una distanza di venti chilometri, che con il bel tempo si percorre in 40 minuti – si tratta pur sempre di strade dissestate – con le conseguenze delle piogge torrenziali porta via anche due ore.

Ci vuole poco. Vale tantissimo

Ancora Massimo Maggio: «È stato un operatore in bici a conoscere Etabo, tre anni, e la sua famiglia, pastori originari del Kenya trasferitisi in un villaggio dell’Uganda molto distante dal St. Joseph. Etabo era affetto da cataratta bilaterale. Cieco dalla nascita. Il bambino è stato operato e oggi ci vede. Ho ricordato questa storia per ribadire come davvero con poco, una bicicletta e un intervento che costa 125 euro – praticamente una cena al ristorante per tre persone –, si restituisce la vista a un bambino. E la vita a una famiglia intera».

Massimo Maggio direttore CBM Italia
Massimo Maggio, Direttore di CBM Italia

In sella con occhi diversi

Massimo Maggio, lo vediamo anche in foto, ama la bici da sempre e ne fa un grande uso, che si trovi in Africa o nella città in cui vive, Milano, dove «sì, ci si muove bene, con tutte le sue piste ciclabili. Ma io sono veneto e… vuoi mettere una bella pedalata sui Colli Euganei?» (sorride).

Inevitabile per Maggio, quando torna dall’Africa e pedala sulle strade di Milano, guardare dal sellino il paesaggio circostante con occhi diversi. «Siamo abituati a mezzi veloci: le macchine, le moto, il treno che in meno di tre ore ti porta da Milano a Roma. Allora ti dici: Mamma mia, quanto c’è da fare ancora, se in Africa una bicicletta significa così tanto per una comunità, se un bambino riesce ad andare a scuola solo se ha una bici perché deve percorrere chilometri e chilometri ogni giorno sotto il sole cocente. Con che faccia osiamo lamentarci davanti a un problema? Con quale coraggio non facciamo niente per chi non ha neanche un decimo di quello che abbiamo noi?».

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