Perché proporre un viaggio in bikepacking di oltre 500 km a dei ragazzi che hanno già affrontato nella loro giovane vita un viaggio pieno di pericoli e incognite che li ha portati dai loro paesi in posti lontani, in Italia? “Per fare un salto”, a rispondere è Mattia Ferrari, educatore e responsabile della Fattoria della Carità di Corteano, una comunità per adolescenti stranieri non accompagnati.
Mattia fa pedagogia a pedali e da dieci anni propone ai ragazzi che sono ospitati nella comunità dei viaggi in bici in completa autonomia: “L’idea alla base del nostro progetto è la scelta. Occupandoci di adolescenti che non hanno la famiglia qui, abbiamo pensato cosa potesse aiutarli a crescere e di fatto ci siamo accorti che i loro percorsi sono quasi obbligati. Il fatto stesso di venire qui in Italia non è una loro scelta, ma una necessità per aiutare le loro famiglie”.
Vita in comunità
Vivere in una comunità significa anche fare i corsi di italiano, prendere la licenza media, avere i documenti per lavorare. Si tratta di tappe quasi obbligate e sono poche le occasioni per scegliere quello che piace davvero. Questo comporta un impoverimento dell’esperienza, “perché si finisce per non sapere bene cosa uno vuole”. Si procede per tappe obbligate.
Un bikepacking libero e consapevole
Mattia e i suoi collaboratori quando progettano il viaggio in bici, non impongono nessun obbligo di partecipazione. Sono i ragazzi a scegliere se salire sulla bici o meno. Nell’ottica della libertà di scelta, il viaggio viene progettato in bikepacking e senza l’ausilio di GPS, ma solo con le cartine.
L’entusiasmo di Mattia nel raccontare la loro esperienza ispira fiducia. La stessa fiducia che i ragazzi sentono quando il primo giorno di viaggio viene loro mostrata la traccia sul gps, come rassicurazione. Comunque vada non si perderanno, gli educatori sanno quello che fanno. Seguiranno la strada su una mappa cartacea, alla vecchia maniera, e ciascuno dei partecipanti, alternandosi, avrà il compito di fare da guida per un giorno.
Ecco perché il bikepacking. Perché ti porta a scegliere. “Educa a questo: tu non hai tutto lo spazio a disposizione, altrimenti finisce che metti anche le cose che non ti servono perché tanto hai spazio da riempire. In bikepacking devi viaggiare leggero ed essere essenziale”.
Il viaggio lungo la Francigena
Il viaggio è da Cremona a Roma, lungo la Via Francigena e i primi tre giorni Mattia e il suo collega fanno vedere come funziona il viaggio, cosa si deve fare per gestire le tappe e come procedere, come e cosa si compra da mangiare, quali sono i segnali da seguire sulla Francigena, dove si dorme. Dopodiché, i ragazzi, uno alla volta guideranno il gruppo.
Tutto il viaggio si gioca su autonomia e responsabilità. “I ragazzi hanno 20 € al giorno che devono bastare per mangiare, dormire e sistemare la bicicletta, se ad esempio si rompe un componente non possono spendere oltre al budget che hanno”. Il limite temporale è di 14 giorni, e non è obbligatorio arrivare, perché non è quello l’obiettivo.
Gestire le tappe
Gestire una tappa per un ragazzo non è semplice. Si tratta di assumersi responsabilità: che strada fare, asfalto o lo sterrato? Dove fermarsi? Come stanno tutti?
In inglese rende meglio, la chiamano “ability to respond“, cioè la capacità di far fronte agli eventi. Se sbagli strada non smetti di guidare il gruppo, ma ti fai forza e cerchi di raccapezzarti. Mattia è più che mai convinto che questo carico emotivo li rende consapevoli e pronti. È importante capire la differenza tra l’essere preparati e allenati e l’essere pronti.
“Noi li prepariamo prima, loro imparano a essere pronti durante. Considera che sono ragazzi che non hanno mai fatto più di 20 chilometri in bici, perciò mostriamo loro tutta una serie di cose e li prepariamo ad affrontare i chilometri, l’assetto del bikepacking, piccole manutenzioni sulla bici. Ma la capacità di dare risposte di fronte agli eventi che ti capitano e prendersi la responsabilità delle decisioni, quello avviene durante i 500 e passa chilometri di viaggio”. L’esempio più immediato “è quando pedali e vedi che ci sono i nuvoloni: se hai il kway sei preparato, quando inizia a piovere sei pronto a coprirti”.
Le difficoltà che compattano il gruppo
Le difficoltà compattano il gruppo, che diventa più solidale e le relazioni si fanno più significative. Abituati a seguire un ciclismo che tiene conto spesso della performance, dei Watt, dei KOM non facciamo più caso ad altri parametri.
Il gruppo di “Pedalare Faticando” si pone altri obiettivi con la bici e trasforma il fallimento in opportunità. In occasioni di crescita. Come quella volta, mi racconta Mattia che “non trovando da dormire siamo tornati indietro di vari chilometri, così abbiamo conosciuto delle persone che ci hanno preparato la cena e incontrato una signora che ha incantato i ragazzi con la storia della sua malattia”.
Oppure quella volta che sul passo della Cisa non avevano da mangiare e bere “perché erano stati calcolati male i tempi della tappa. Allora il gruppo si è unito e rafforzato, si sono suddivisi i compiti chi cercava da dormire, chi da mangiare, chi si occupava della strada”.
Perché la bici?
Chiedo perché hanno scelto di percorrere la Francigena in bici e a piedi. Mattia mi risponde sicuro, “il nostro team, io per primo che ho fatto esperienza di viaggi in solitaria, è convinto che tutto questo passa dalla strada ai pedali, perché ti permette di avere maggiore libertà nel gestire le distanze ogni giorno, di poter fare delle deviazioni se ci sono imprevisti. La bicicletta nel nostro caso specifico ci dà un criterio di accesso dove puoi decidere di alzare o abbassare l’asticella”.
La strada è l’occasione per fare i conti con i propri limiti ed è lo strumento per sviluppare competenze emotive e relazionali significative.
Riconoscere e gestire le emozioni
Il progetto Pedalare Faticando lavora molto sull’emotività. “Ogni mattina, prima di partire e la sera dopo che sono arrivati, i ragazzi si prendono un momento per chiedersi cosa vogliono dalla giornata di viaggio che li aspetta e la sera scrivono cinque emozioni che hanno provato durante la giornata. L’idea, come vedi, è sempre quella: che cosa voglio da me per star bene”.
Riconoscere, sentire, essere consapevoli significa gestirsi. “Se io pedalo e sono arrabbiato cerco di non incanalare la rabbia di quel momento nella foga per poi ritrovarmi a metà salita senza fiato, ma nell’essere determinato nel portare a termine la tappa di viaggio”.
Anche prendersi cura della propria bici è pensato anche in termini educativi, “perché significa prendersi cura di sé”, prosegue a raccontarmi Mattia. “Prima della partenza una cosa che noi chiediamo è quello di prendersi cura della bicicletta, imparare a cambiare una camera d’aria, tenere pulite le catene, prendersi cura delle cose integrano parti della propria personalità.”
Il progetto Pedalare Faticando
Il progetto viene ripetuto una o due volte l’anno. I ragazzi, ne parlano tra loro e si crea una grossa aspettativa. “Capita che la sera i nuovi arrivati vengano a chiederti ‘ma quando si parte per Roma?’. Quindi ci si mette insieme e si decidono alcuni aspetti pratici.” Il desiderio è così forte che a volte sono i ragazzi a proporre un giro magari più corto. “Quest’anno abbiamo inserito un giro di tre giorni al lago d’Iseo perché i ragazzi volevano fare un giro in bici e in quel periodo avevano pochi giorni a disposizione.”
Il viaggio è sempre un’occasione per andare incontro ad un futuro che non possiamo sempre prevedere, ma che ci deve trovare attrezzati. All’inizio di ogni viaggio i ragazzi non smettono mai di chiedere quanto manca, quanto manca, quanto manca; poi ad un certo punto smettono perché imparano che non lo puoi sapere quanto manca: puoi contare i chilometri che rimangono, ma non il tempo che è soggetto a tantissime variabili ambientali e personali. Alla fine quello che vuoi è arrivare a fine tappa. Arrivare non è un bisogno, mangiare, riposare, farsi una doccia, sì.
(La Fattoria della Carità di Cortetano (CR) è parte integrante della cooperativa sociale Servizi per l’Accoglienza, affiliata alla Caritas Cremonese, e accoglie minori migranti che giungono in Italia senza la presenza di adulti familiari. Le foto sono tutte di Mattia Ferrari)
questo Buona Strada penso di conoscerlo… scout?
Complimenti per il progetto.
Per crescere occorre sapere chi si vuole diventare, sono rare le occasioni pensate e progettate che permettono agli/alle adolescenti di imparare a scegliere.
Buona strada!