Tappa 5 da Gent a Kluisbergen (Belgio) – Rotterdam Parigi in bici

Tratto dalla raccolta di viaggi: Abbondanti dozzinali

Il titolo può sembrare strano, ed è volutamente grottesco, nasce da un gioco di amici che auto-ironizzava sulla nostra scarsa organizzazione dei primi viaggi, sulla scarsa preparazione fisica, su tutto-ciò-che-non-è-romanzato.
E questo è anche un po’ il taglio della narrazione dei miei diari: grottesco, surreale, ironico, con un occhio disincantato sempre teso al lato antropologico dei posti visitati…

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Da Rotterdam a Parigi in Bicicletta – Prologo
Tappa 1 da Delft a Hellevoetsluis (Olanda) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 2 da Hellevoetsluis a Westenschouwen (Olanda) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 3 da Westenschouwen a Ijzendijke (Olanda) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 4 da Ijzendijke a Gent (Belgio) – Rotterdam Parigi in Bici

30/4/12 QUINTA TAPPA – da Gent a Kluisbergen

Lungo il fiume
Nonostante la sveglia presto, i preparativi sono lunghi, l’obiettivo per stasera sono le soglie del confine francese. Dopo l’ormai consueta colazione in lavanderia tra le amichevoli lavatrici, Fabio si rammenda alla meno peggio i pantaloni, e io mando in Italia il fax con la denuncia del furto del cellulare. 26 euro per due notti di campeggio, onesto anche questo.
Il tempo è stabile e il vento della Zelanda è soltanto un ricordo.

Lasciamo la simpatica Brigitte, al turno di reception oggi, il suo muso da tartaruga camionista col naso schiacciato e l’occhio sorridente, i suoi 50 anni, i suoi capelli corti rossi sopra l’ossatura tozza, e lasciamo anche il Blaarmeersen e l’infame che mi ha rubato il cellulare.
Usciamo da Gent non senza qualche difficoltà, prima costeggiando la ferrovia, poi inoltrandoci in ciclabili a bordo canale interrotte per lavori in corso, infine raggiungendo i placidi flutti dello Schelde, che risaliremo fino alle terre francesi.

Presa ancora una volta la LF30, ci godiamo il meglio delle Fiandre rurali, sotto un insperato cielo sereno e un ancor più sorprendente caldo, che ci permetterà di sfoggiare le maniche corte per la prima volta nel corso del viaggio; buoi che si godono l’aria densa di odori, anatre come presenza discreta e costante, qualche chiatta enorme che risale il fiume: quasi tutte portano un nome italiano, e oggi è il turno dell’Allegro; quasi tutte trasportano un’automobile sul ponte, presumibilmente quella del proprietario.
La serena andatura della tappa è scandita da veloci ciclisti su bici da corsa in allenamento o in squadra – questi ultimi si fendono rapidamente per sorpassarci lasciando l’aria piena di merci subito dopo il loro passaggio – dalle metodiche pisciate a bordo pista di Fabio, e da qualche insetto in faccia, collisioni che si fanno sempre più frequenti man mano che si scende a sud.

Dagli scialbi sobborghi di Gent, come Merelbeke, Nazareth ed Eke, si evincono due cose: primo, il Belgio, rispetto all’Olanda, concentra il suo fascino in esplosioni di stile come Gent, relegando la campagna all’ordinarietà, e in alcuni casi addirittura a un lieve degrado; secondo, in questa zona sono gettonatissimi i nomi biblici: Sinaai, Nazareth, manca solo Golgota.
Arriviamo in scioltezza alla bella Oudenaarde, vivace cittadina dominata da un imponente duomo seduto a guardar scorrere via le acque dello Schelde. Ci fermiamo qui a fare provviste: dall’interno del supermercato, hit radiofoniche come Ti sento dei Matia Bazar e Maria di Blondie spezzano la nostra colonna sonora cantata da bici a bici, che è invece a base di Venditti e Lucio Dalla.

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Momenti eroici si sfiorano quando ci dividiamo in corsa l’ultimo ricordo di un’Olanda che sembra lontana anni luce, l’ultimo stroopwafel avanzato, che ci mangiamo e passiamo da una bici all’altra senza fermarci; galvanizzati dal successo del tentativo, decidiamo quindi di fotografarci pedalanti a vicenda.
Sorpassiamo una famigliola in bici, che ci riprende dopo qualche centinaio di metri a causa dell’ennesima pisciata di Fabio.
Ancora edifici in stile fiammingo che sembrano usciti dalla favola di Hansel e Gretel, una piazza brulicante di botteghe, una doverosa sosta-pranzo a causa di uno scroscio di pioggia passeggera, sotto una serie di gazebi con tavolini, condita da quattro chiacchiere con una coppia di trekker, e si riparte.
Stormi di anziani ciclisti si sistemano le maglie color evidenziatore che non porterebbero in nessun altro caso, in prossimità dei loro attrezzatissimi furgoni. Non tutti quando li saluti sorridono.

Dall’altra parte dell’ormai consueto Schelde, sorgono le prime, timide colline. Le prime in assoluto dal mio sbarco a Rotterdam.
Arrivati a Bergem/Kerkhove, passiamo il fiume diretti a Kluisbergen, e al nostro campeggio, il Panorama. Ma sbagliamo uscita, continuando in cerca di una ferrovia invisibile alla quale svoltare finendo su un lungo rettilineo in salita.
Salita?
Esistono salite sul nostro percorso?
Ignari dell’errore, sorpassiamo Kwaremont per poi ritrovarci in cima al colle, dove mucche al pascolo ci avvisano a modo loro che siamo a un centinaio di metri di quota più su, molto più in là del nostro incrocio. Un attimo di pausa dalla dura e inaspettata salita, il tempo di scartare una strada alternativa sul crinale perché troppo accidentata, e si scende alla velocità giusta per asciugare il sudore col freddo della sera imminente. Un toccasana.

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Il camping Panorama
Qualche chilometro di campagna in mezzo allo stallatico, un ultimo strappo in salita e arriviamo finalmente al bel camping Panorama, adagiato sulle dolci pendenze collinari di fronte a un grazioso reattore nucleare.
Sullo sfondo, paesaggio agreste.

Ovunque, bestie da fattoria pronte a reclamare il loro posto nel mondo e nel campeggio a mezzo muggiti e/o belati.
Alla reception, due donne di età indefinibile con la vaga parvenza di coppia lesbica, insieme a due bambini, magri, biondi, educati.
Una delle due è più giovane e in carne, ha occhiali spessi e fuma nervosamente una sigaretta dopo l’altra, in maniera compulsiva; l’altra (mal)cela dietro qualche anno di più e dietro i denti rovinati anch’essi dal fumo un fascino particolare, triste, ha la pelle diafana, un fisico atletico e gli occhi da albina. Sono entrambe molto gentili, e ci indicano la piazzola dove piantare la tenda, che è in fondo alla discesa, subito sopra a un pollaio. Il gallo di turno ci guarda montare, e non indietreggia.

Dietro la sera fiamminga, la centrale nucleare è mostruosa. Luci rosse testimoniano la sua mole anche nel buio.
Ci rendiamo involontariamente invisi agli abitanti del campeggio per n.3 comportamenti antisociali:
1) la signora della reception (che pochi istanti prima ci aveva gentilmente stampato l’itinerario di domani) ci vede uscire entrambi dal bagno delle donne per riempire le nostre ormai consuete lattine di acqua calda per la zuppa liofilizzata;
2) Fabio risponde con un “hoi” (ciao) al più formale “Goedeavond” (buonasera) di una irascibile e obesa signora olandese, che peraltro non sente imputandolo di maleducazione; non contenta, la megera gli sposta con ben poco riguardo il suo Apple per sedersi sulla sedia che esso occupava; mostra palesemente fastidio e ostilità nei nostri confronti mentre discorre col suo interlocutore, uomo della medesima sua stazza;
3) Fabio si dimentica di chiudere la serratura del cesso, causando lo scandalo di un altro signore che lo vede cacante.
Ma subentra la silenziosa solidarietà (omertà) maschile tipica dei bagni dei campeggi, per la condivisione di odori e rumori.
Facciamo appena in tempo a chiudere la tenda, che la giornata fino a quel momento serena cede il passo a una pioggia fitta e generosa che ci delizia col suo ticchettio sulla tenda per tutta la notte.
Perlomeno fa più caldo delle scorse notti in tenda.
4) ovviamente, per pura distrazione mi faccio la doccia del bagno delle donne. [continua]

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