Lasciamo Chilecito con un certo piacere: dormire in un letto vero non ha fatto altro che causarci uno sgradevole mal di schiena, in più la città è immersa in una campagna elettorale all’ultimo sangue per l’elezione del governatore della provincia. Qui si combatte in modo assordante a colpi di slogan ripetutti a tutto volume dalle auto che passano per la plaza principale, anche i muri sono infestati di murales che invitano al voto per questo o quel candidato.
Iniziamo a pagare adesso la scelta di una settimana fa di seguire il vento verso nord, invece che portarci verso la città de La Rioja: da Chilecito inizia una salita che sembra non finire mai e che ci porta a costeggiare la Sierra de Famatina, una catena montuosa di incantevole bellezza che si staglia alla nostra sinistra per centinaia di km. La Sierra di Famatina è al centro di una controversia politica molto aspra: hanno scoperto che è stracolma di oro e i politici locali si sono impegnati a cederne i diritti per l’estrazione. In questa zona i murales di propaganda elettorale hanno lasciato il posto a scritte inequivocabili “El Famatina no se toca” e “Agua para la vida, no para las minas”[1]. La popolazione locale è ovviamente sul piede di guerra: una miniera d’oro significa denaro, ma anche fiumi avvelenati e distruzione del patrimonio naturale.
La salita continua e ci spinge ad oltre 2.200 m di altitudine e poi ad una discesa morbida che ci apre ad un panorama surreale: guardando verso destra la distesa di sterpi e arbusti è tanto omogenea e sconfinata che sembra di trovarsi sulla riva di un mare verde da cui si stagliano dei picchi solitari, come quelle isole che spesso si avvistano dalle rive del nostro Mediterraneo.
Arriviamo a Tinogasta in cerca di un posto dove trascorrere la notte e subito riceviamo ospitalità da parte della sezione locale dell’Automobil Club Argentino che ci permette di piantare la tenda dietro la stazione di servizio in centro. Siamo sempre più vicini al confine settentrionale dell’Argentina e siamo impazienti di solcare nuovamente le Ande per tornare in Cile.
Un passante a cui chiediamo informazioni sulla via ci tiene a presentarsi con dovizia di particolari: Hugo Orquera, 36 anni di vita in miniera. Hugo ha le mani che sembrano dei picconi, ma il viso sorridente. A proposito del Famatina ci spiega che ci sono due modi di estrarre l’oro da una miniera: in modo tradizionale, utilizzando molto capitale umano, oppure in modo moderno utilizzando sostanza chimiche dannose per l’ambiente, come il cianuro e tanta, tanta acqua. Il primo metodo è ovviamente economicamente meno conveniente del secondo.
Per metter alla prova gambe, testa ed equipaggiamento vogliamo prendere una scorciatoia verso la città di Belén: invece di aggirare la Sierra de Fiambala sfruttando la comoda e noiosa Ruta 40, decidiamo di attraversarla utilizzando una vecchia mulattiera in disuso: la Cuesta de Zapata. 71 km di sassi, sabbia, polvere e rupi e un’altitudine massima di 1.880 metri.
La Cuesta de Zapata è più dura di quanto avessimo pensato e passiamo la notte campeggiando nel letto di un fiume ormai secco da diversi anni e per scaldarci accendiamo un piccolo fuoco. Fuori dalla tenda fa freddo, ma la nostra pasta e ceci non vale una cena nel migliore ristorante del mondo.
Ormai spossati arriviamo nella città di Belén, una delle più antiche urbanizzazioni della regione che deve la propria fortuna all’attività mineraria. Da sempre la presenza di metalli è la croce e delizia della Catamarca: prima gli Inca e poi gli Spagnoli si stabilirono nella regione del nord ovest Argentino e questo portò in ogni caso morte, distruzione e ricchezza.
Come spesso accade anche qui la scelta è tra denaro e conservazione dela natura.
Note tecniche:
Distanza percorsa fino a questo momento: 1.420 km
Altimetria totale: 13.057 m
Totale ore in sella: 98
Forature: 8
[1] “Il Famatina non si tocca” e “Acqua per la vita, non per le miniere”
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