Quattro trolli in Corsica (Parte 2) – In bici da Bastia a Casamozza

Tratto dalla raccolta di viaggi: Abbondanti dozzinali

Il titolo può sembrare strano, ed è volutamente grottesco, nasce da un gioco di amici che auto-ironizzava sulla nostra scarsa organizzazione dei primi viaggi, sulla scarsa preparazione fisica, su tutto-ciò-che-non-è-romanzato.
E questo è anche un po’ il taglio della narrazione dei miei diari: grottesco, surreale, ironico, con un occhio disincantato sempre teso al lato antropologico dei posti visitati…

Quattro Trolli in Corsica (Parte 1)

21/07/04 – Secondo giorno
I TAPPA – BASTIA – CORTE (70km, quasi 80 con l’allungamento)

  • Bastia – Casamozza (20km): pianura, livello del mare
  • Casamozza – Ponte Leccia (26 km): saliscendi, Ponte Leccia si trova a 193m
  • Pausa pranzo
  • Ponte Leccia – Corte (24km): salita, Corte sta a 396m

corsica-viaggio-bici-bastiaLa notte trascorre umida e gocciolante di rugiada, siamo svegliati da un’alba pigra sul mare (qui abbiamo il mare ad est, a differenza delle coste tirreniche italiane). Si scroccano i bagni e le docce da un campeggio vicino, quindi ci si prepara a partire per il viaggio vero e proprio: sbagliamo immediatamente strada, e ci impelaghiamo in un sentiero prima sterrato, poi sabbioso e infine fangoso tra le paludi costiere, per evitare la strada principale, che si interrompe con un fossato non guadabile con le bici cariche. Si torna indietro, Francesco inaugura la bici con una goffa caduta sulla sabbia.

Dopo una sosta per fare colazione ad un supermercato, nella quale, per avere una borraccia d’acqua, compro un’imbarazzante bottiglietta di acqua minerale da 25cl, in pratica formato nano, troviamo il percorso giusto, una litoranea con pista ciclabile a fianco, dritta e pianeggiante, che rende la pedalata molto piacevole. Dopo circa 20km tra campi e laghi costieri, giungiamo a Casamozza, e in una pausa al bivio per l’interno ci salutiamo con Giulia, che da qui in poi continuerà il suo tragitto sulla costa verso Porto Vecchio, con l’intento di rivederci più a sud verso Zonza.

Comincia quindi la salita, che si presenta all’inizio come un fastidioso saliscendi, per poi manifestare appieno la sua pendenza; la strada è ancora popolata da grossi camion e torturata da un forte sole. Le salite non sono ancora proibitive, ma la strada, vuoi perché abbiamo appena cominciato, vuoi per il clima infame, ci riserva le prime difficoltà. Francesco commette l’errore di percorrerla a torso nudo, firmando la sua condanna che in serata gli costerà un violaceo colorito conferendogli il vago aspetto di una salsiccia.

Cominciano ad apparire i primi scorci panoramici, con gole e bizzarre formazioni rocciose, e notiamo per la prima volta le scritte indipendentiste che ci accompagneranno per tutto il nostro viaggio: movimento alla base di questo pensiero è l’FLNC, il Fronte Liberazione Nazionale della Corsica, che rivendica l’indipendenza di un paese che con la Francia ha davvero poco da spartire. L’orgoglio corso non si può che accogliere con una certa solidarietà, vedendo i toponimi sui cartelli scritti nelle due lingue, spesso e volentieri quella francese cancellata.

Gli isolani, al contrario di quanto avevamo sentito, sono tutt’altro che diffidenti, anzi disponibili e gentilissimi: ci fermiamo davanti a una casa per chiedere di utilizzare la loro pompa da giardino, e la signora annuisce restando all’interno senza nemmeno curarsi chi o quanti fossimo e cosa stessimo facendo. Nonostante il rinfresco, la salita procede nervosa e irritante, giungiamo con un certo affanno a Ponte Leccia, dove assaggiamo i prodotti di un forno gestito da un simpatico baffone col quale ci si intende parlando noi italiano e lui corso.
Per le ore più calde ci fermiamo sulle sponde di un torrente, il Golo, per metterci un po’ a mollo i piedi e sederci sui sassi.

Gianluca lascia ignaro i suoi sandali Birkenstock su delle rocce “sufficientemente” lontane dall’acqua, quando vengono aperte delle chiuse da qualche parte a monte, e il flusso della corrente si alza inaspettatamente: i sandali vengono trascinati via, ne salviamo uno a stento… Gianluca sarà costretto a proseguire fino a Porto Vecchio con delle scarpette di tela da ballerino gay comprate lì a 3 euri. Comincia qui la saga dei troll, quattro grottesche e impacciate creature che si aggirano per l’Ile de beauté compiendo atti grevi e scomposti, beatamente ignari della loro trista condizione.

Nel pomeriggio si prosegue lungo la statale, che comincia da qui in poi a farsi meno popolata. Dopo un tratto di salita appena percettibile attraverso boschi e pascoli, cominciano i primi panorami e la vera ascesa. Passiamo tunnel e mucche al pascolo, borghi e tombe isolate nei prati. Dopo l’ultimo viadotto che consuma le energie residue, percorriamo l’ultimo tratto verso Corte in forte discesa.

Corte è forse la più bella città dell’entroterra corso attraversata: un antico borgo fortificato e aggrappato ad uno scosceso pendio, un po’ come i suoi abitanti sono aggrappati fieramente alla loro identità locale: siamo arrivati infatti nell’antica capitale dello stato corso, centro della resistenza isolana antifrancese: dappertutto troneggiano scritte e adesivi “so corsu e parlu corsu” e perfino le scritte dei negozi sono in lingua locale; gli abitanti sono cordiali e orgogliosi, e rifiutano sdegnati la dicitura di “dialetto” per il corso. Lo stesso Bartho, popolarissimo proprietario del campeggio dove abbiamo alloggiato per due notti (un giorno di riposo era doveroso sia per l’interesse del luogo che per ritemprarsi dalla distruttiva prima tappa, che nel rapporto lunghezza-dislivello si è rivelata una delle più ostiche), è un vecchio imponente che ha l’aria di saperla lunga sull’FLNC.

Giunti verso l’ora di cena a Corte, perdiamo tempo per una discussione sulla scelta del campeggio, e dopo un’ulteriore strappo in salita per il paese posiamo i bagagli al camping “Chez Bartho”; io e Federico andiamo a comprare qualcosa per cenare. Dalla scarsità delle provviste scelte, che si limitano a due baguette e due salsiccette a testa, Federico si guadagna l’appellativo di Scrooge, anche perché decide di risparmiare ulteriormente dormendo nello spiazzo fuori dal campeggio, e sfruttandone solamente docce e servizi.

Dopo cena, io, Francesco e Federico facciamo un giro per il centro della cittadina, e scopriamo la birra Pietra, prodotto tipicamente corso a base di farina dei castagni che ricoprono i monti qui intorno, e l’altrettanto buona birra Colomba, birra bianca aromatizzata alle erbe.
Per la notte Gianluca e Francesco si ritirano in tenda, mentre io decido, pur pagando la piazzola, di far compagnia fuori a Federico, così dormiamo in riva al Tavignano, con la volta stellata per tetto, caratteristica questa che ci accomunerà per tutto il resto del viaggio. [continua]

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