Cyclesafe: come i ciclisti inglesi hanno risposto al questionario del Times

cyclesafe-campagnaRendere più sicuro l’uso della bicicletta in città finanziando gli interventi con i soldi pubblici. E’ questa la prima, e anche un po’ ovvia sentenza sancita dai 1800 lettori che il primo giorno hanno risposto al questionario del Times per la seconda fase della campagna #cyclesafe. Ovvia a giudicare quanto meno dalle alternative: 1) finanziare gli interventi di cui sopra con una tassa a carico dei soli ciclisti (e perché mai, se è per questo chi va in bici paga con le proprie tasse la manutenzione delle buche che non crea); 2) con contributi dei privati (qualche dubbio è lecito ma in fondo è il punto 7 del manifesto della campagna); 3) non servono infrastrutture per i ciclisti.

Ad ogni modo, nel primo giorno del nuovo affondo del Times per chiedere Cities fit for cycling, l’attenzione è stata alta, l’argomento rilanciato da molti siti e blog ciclistici, e l’hashtag #cyclesafe è stato tra gli argomenti più discussi di Twitter. Ciò nonostante, e contrariamente a quanto auspicato dal giornalista più rappresentativo della campagna, Kaya Burgess (“inutile farsi la guerra, ciclisti e automobilisti sono le stesse persone”), non sono mancati sul quotidiano britannico alcuni commenti che hanno invitato chi va in bici a rispettare maggiormente il codice della strada, alludendo che sia questa la causa di una così alta mortalità, ed innescando una spirale di accuse reciproche che fanno solo l’interesse di chi, questo stato di cose, non lo vuole cambiare.

Un’altra considerazione riguarda i pericoli percepiti da chi usa la bici per pedalare nelle città inglesi: al primo posto, come spesso accade e come dimostra anche un recente sondaggio per l’Italia effettuato da Fiab (pag.12 figura 10), la maggioranza delle persone avverte la necessità di piste ciclabili e solo in secondo piano pensa ad interventi di moderazione del traffico e riduzione della velocità, queste ultime invece indicate dagli esperti come le vere misure per la sicurezza dei ciclisti. Probabilmente ciò è dovuto non tanto alla sfiducia nei vantaggi che porterebbe l’abbassamento del limite di velocità a 30 all’ora, quanto piuttosto nell’effettivo rispetto dello stesso.
Altri potenziali pericoli indicati dai lettori del Times sono nostre vecchissime conoscenze: portiere delle auto aperte senza guardare indietro, strade sconnesse e piene di buche, segnaletica stradale non all’altezza.

Il raggiungimento degli obiettivi, ovvero tutelare quel 2% dei cittadini britannici che si muove in bicicletta in città, e perché no aumentare questa quota, richiede comunque uno sforzo enorme che va oltre la realizzazione di interventi sul territorio, per carità fondamentali. E’ necessario infatti che l’argomento sia digerito e accettato da tutti, e non più visto come una lotta di categoria. E’ in questo senso quindi che il Times sta svolgendo un lavoro eccezionale di sensibilizzazione ed informazione: cultura insomma.

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