Tappa 9, Parigi: Rotterdam Parigi in bici

Tappa 9, Parigi: Rotterdam Parigi in bici

Tratto dalla raccolta di viaggi: Abbondanti dozzinali

Il titolo può sembrare strano, ed è volutamente grottesco, nasce da un gioco di amici che auto-ironizzava sulla nostra scarsa organizzazione dei primi viaggi, sulla scarsa preparazione fisica, su tutto-ciò-che-non-è-romanzato.
E questo è anche un po’ il taglio della narrazione dei miei diari: grottesco, surreale, ironico, con un occhio disincantato sempre teso al lato antropologico dei posti visitati…

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Da Rotterdam a Parigi in Bicicletta – Prologo
Tappa 1 da Delft a Hellevoetsluis (Olanda) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 2 da Hellevoetsluis a Westenschouwen (Olanda) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 3 da Westenschouwen a Ijzendijke (Olanda) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 4 da Ijzendijke a Gent (Belgio) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 5 da Gent a Kluisbergen (Belgio) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 6: Kluisbergen, Lille e Don (Francia) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 7: da Don ad Albert (Francia) – Rotterdam Parigi in Bici
Tappa 8: Da Albert a Parigi (Francia) – Rotterdam Parigi in Bici

5/5/12 PARIGI

«I francesi sono italiani di cattivo umore»
detto popolare

La mattinata mi sorprende a curiosare la metropoli per la prima volta dall’alto di un sellino, per stabilire delle connessioni nella geografia della città inedite per chi l’ha sempre vista spostandosi in metro. E quasi senza accorgermene, all’altezza di rue de Rivoli mi ritrovo nel mezzo di un corteo della Critical Mass, un’accozzaglia di ciclisti urlanti e allegri, armati di fischietti e musica. Al centro del corteo, una bici a due piani con un impianto stereo che manda Manu Chao; al suo fianco, una nonnetta su una graziella ornata di fiori in calzamaglia giallo limone; un agile negro mi saluta enfaticamente, quando vede gli adesivi sulla mia bici vuole sapere tutto del viaggio, e moltiplica la sua naturale esaltazione. Tutti urlano ritmicamente velorution con immancabile accento parigino. Alcuni motociclisti provano a sorpassare con gesti rapidi e nervosi, e vengono ostracizzati dal corteo con urla e fischi.

Lascio il corteo in prossimità di rue Sébastopol, e vago per i vicoli intorno a Stalingrad e Gare du Nord, fino ad arrivare a Montmartre; gli ostelli ai quali chiedo sono però troppo cari, così torno all’Auberge de Jeunesse MIJE dove ho passato la notte scorsa, nel Marais. Una visita a Notre Dame, e finalmente l’acquisto degli adesivi di Parigi e della Francia, che battezzano l’arrivo della bici alla sua meta.
Il pranzo è davanti St. Paul, a base di sordido kebab; divoro il mio panino davanti a un tavolo di tardone acchittate a rimorchio, già pronte all’ardua impresa. Nel pomeriggio, torno con Chiara al Peace&Love Hostel, dove trovo tutto pieno, e trovo un ostello da assassini e prostitute nei pressi di Gare du Nord, lasciando l’acconto per la notte successiva.

Paris by night
La serata, invece, si preannuncia surreale già a partire dalla presenza di Patrizia e del suo leggendario amico Paolone; i due ci conducono infatti in un baretto nei pressi di Menilmontant, dove il cous-cous è servito gratis in condizioni igieniche quantomeno discutibili, si fanno jam sessions manouche e dove soprattutto scorrono fiumi di vino rosso. Dopo un po’, ci raggiungono anche i due amici parigini di Patrizia, François e Tristotto, come lo chiama lei. Tra di loro l’attesa per il voto governativo di domani è palpabile.

Ci spostiamo in un altro locale a pochi isolati di distanza, l’International, che è pieno di gente che si dimena inutilmente, per poi puntare verso il più tranquillo Cascada, a fianco; il locale vicino, il Porokhane, è un locale senegalese dove, come apprendiamo dalla locandina appesa all’esterno, si esibirà prossimamente Omar Pene, un titanico africano cantante di gospel, che nel manifesto appare estatico, rapito, solenne, gli occhi ruotati verso l’alto e un fascio di luce che illumina la sua mole.

Ma torniamo al Cascada: si tratta di un locale dark-metal con arredi macabri e funerari, ma dove si balla musica anni Cinquanta: una cicciona a stento contenuta in un vestitino nero a pallini bianchi si dimena con un negro dinoccolato in bretelle e basco, al suono di ritmi swingati e giri di basso.
Ah, la potenza del rock and roll.
A un certo punto, tutto fa pensare al locale del film di Rodriguez Dal tramonto all’alba.
Si cerca di ballare, alimentati e in un certo qual senso legittimati dalla grottesca atmosfera metal anni ’50 che si è creata. Il ragazzo al bancone è un dark con i capelli leccati da un lato, tinta nero corvino, un’enorme bara tatuata sull’avambraccio. Me lo immagino fare la fila alle poste o pagare il macellaio. Lo deridiamo apertamente.
Paolone dice cose epiche.

Alle pareti, notiamo foto “artistiche” di strappone dark strangolate o seviziate, in vendita a 40€ l’una. Allo stereo, rimbomba Chuck Berry. Un busto di scheletro è appeso alla parete, nell’atto di sostenere il soffitto come una cariatide.
Si fanno le 2, e la stanchezza si fa sentire; la pioggia è ancora rabbiosa.
Saluto Chiara e Giulia all’altezza di metro Menilmontant, e attendo la linea 5 nell’altra direzione, verso Nation.

Una voce femminile ripete insistentemente plus de trains direction Dauphine. Pare quasi disperata.
Non ci sono più treni in direzione Dauphine.
Andatevene.
Non ci sono più treni.
Non restate lì!
Avete capito?
Non ci sono più treni in direzione Dauphine!
A un certo punto, nella sua voce si distinguono le lacrime.

Nel frattempo, un giovane sconvolto divora avidamente un panino, lasciandone più di metà per terra. Pare comunque soddisfatto. Le merguez chiedono pietà, lasciate sul pavimento immangiate.
Alcuni ragazzi ridono. Lui non si accorge di nulla. Le merguez rimangono lì, senza divinità a proteggerle o dare loro un senso.

Dopo venti minuti di attesa passa l’ultimo treno. Due marocchini si picchiano davanti a me, davanti a un me inebetito che non si preoccupa nemmeno di scansarsi dai loro cazzotti a pochi centimetri dalla sbarra sulla quale poggia il mio naso stanco. Un rasta e un chitarrista ambulante provvedono a dividerli.
Si parla di integrazione, di razzismo, di noir, di français, di maroquin. Ma non comprendo molto. Uno dei due scende, l’altro prorompe in un esasperato soliloquio nel treno, urlando le sue convinzioni sconnesse agli altri passeggeri, che lo guardano senza dire nulla: sorrisi di intesa tra di loro, e di commiserazione per lui.

Metro Nation, ora i treni non passano più; un’addetta della sicurezza gira con un cane antidroga dall’altro lato della banchina. Prendo un bus notturno fino a St.Paul, i vetri appannati dal nubifragio.
Entro nell’ostello dopo aver mostrato la mia scheda magnetica a un sospettoso custode notturno, e crollo nel materasso.

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6/5/12 PARIGI

de l’Holland(e) à Paris
Dopo un sonno di sei ore, scopro che l’appuntamento per il brunch con Chiara e Giulia sfuma causa influenze varie. Mi ritrovo così da solo davanti a una domenica mattina surreale, a larghe strade vuote e file di persone che affollano i cancelli di Notre Dame e le urne. Legata la mia bici, mi concedo una colazione a Bd. St. Michel, fermandomi a scrivere un po’ al tavolo davanti ai resti di quella che viene venduta come tazzina di caffè. Una turista dai capelli rossi parla con l’amica; una ragazza mangia il suo pain au chocolat con lo sguardo fisso nel vuoto.
Trasferisco borse e bagagli al sordido alloggio vicino alla stazione, il cosiddetto Hotel LaFayette. Il pranzo invece è a base di crêpes in un grazioso localetto a due piani su rue Mouffetard, in compagnia di Chiara, Giulia e di alcuni suoi amici napoletani.

Ci dividiamo per il pomeriggio, e mentre loro vanno al Marché aux Puces, io mi dirigo verso il Louvre, per incontrare Patrizia&Paolone. Mentre attraverso il quartiere latino, incrocio un comizio di sostenitori di Sarkozy: mi tocca constatare la loro signorilità e dignità, perlomeno esteriore.
Davanti al museo più famoso al mondo, file di persone che vengono fotografate nell’atto insulso di prendere la piramide in ferrovetro con una mano, per effetto di intelligenti prospettive e angolazioni.

Paolone è sfinito dalla mole del museo. Ci facciamo un giro per Saint Denis, poi tè alla mente e dolci vari (le roses al miele) alla Zazou Glaces, dove ci serve un vecchio ebreo dalla barba lunga e bianca; quello più giovane, dalla barba lunga e nera, è interessato al ciondolo afghano di Patrizia – o alle sue tette.
A questo punto mi accorgo del ritardo che ho, e mi lancio in una corsa in bici che mi porta da Grand Boulevards a Père Lachaise, in rue de Bagnolet, 33, l’ex-sede di una TV indipendente, ora centro sociale, dove mi aspettano Chiara, Giulia e Fabio per assistere allo spoglio in diretta delle schede per le elezioni governative francesi.
Arrivo che Hollande ha già vinto.

Si festeggia con piatti di verdure bollite e vino rosso, musica dal vivo e discorsi di vecchi carismatici in carrozzella: di Sarkozy dice qu’il a baisé la France.
Poi un gruppo di musicisti assai eterogenei attacca con la musica, alternando Lemon tree, Englishman in New York di Sting, Wonderwall degli Oasis, e Dirty old town dei Pogues. A fine concerto, cala un silenzio commosso, e gente di tutte le età si raduna nel cortile esterno, per intonare in coro delle vecchie canzoni patriottiche francesi al suono di una fisarmonica. Dei bambini ballano.

La sera, porto la mia bici a intralciare i passi fitti di chi festeggia in Place de la Bastille.
Pare che abbia centrato un evento storico per Parigi.
L’euforia è diffusa, ma composta. I poliziotti sorridono e fumano sigarette dietro i loro blindati.
Moltissimi immigrati intonano allegri slogan canzonatori contro Sarkò.

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7/5/12 PARIGI

Torno dopo tanti anni a visitare il Cimitero di Père Lachaise con Paolone.
Jim Morrison e Oscar Wilde si trovano seguendo le file di persone che fanno slalom tra le tombe, assetate di mito immobile: quando una celebrità è morta, non può più sfuggire ai suoi fan. Niente più bodyguard o poste sotto gli alberghi, solo un po’ di marmo scolorito dai flash.
Vicino al bloccone squadrato che sta-per-Jim, un albero pieno di gomme da masticare appiccicate con citazioni scontate e ripetitive: le più gettonate, People are strange e See ya on the other side.

La più significativa resta Bye Jim – your friends from a desperate land – Siria.
Dopo l’omaggio agli illustri cadaveroni, ci dedichiamo alla ricerca di una sciarpa del Paris St.Germain per il fratello di Paolone, e alla riparazione del portapacchi della bici, che con le buche parigine ha perso tutte le viti: me lo fissa un ciclista su Boulevard Voltaire, senza farmi pagare nulla: “Tu es sportif, il n’ya rien à payer”.
Nel frattempo, il mio ginocchio si fa sempre più gonfio. Lanciato in discesa per rue de Belleville, mi accorgo che da lì i palazzi incorniciano con precisione la Tour.

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8/5/12 PARIGI

In mattinata, vado a informarmi dei treni per il ritorno: ovviamente, non ne esistono di diretti, quindi prendo un biglietto Parigi/Ginevra/Milano, lasciando al caso e al domani la responsabilità del resto dei chilometri che mi separano da casa.
Accompagno Chiara a Ivry-sur-Seine a cercare un appartamento per i suoi genitori, che verranno a giugno a trovarla. Scesi dalla RER, ci avventuriamo nel sobborgo parigino: edifici variegati che vanno dal casermone grigio al palazzo d’epoca col viale alberato. Oggi in Francia è festa nazionale, e le strade sono deserte: solitudine al gusto kebab e internet point lasciati a lampeggiare senza scopo. Ivry tiene aperte solo le strette necessità delle comunità di immigrati, ai quali della festa nazionale importa poco, e che quindi si aggirano a gruppetti senza meta. [continua]

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