La storia è fatta di tanti piccoli momenti che diventano indimenticabili quando si fissano nella memoria: ma quello che resta impresso è il risultato di una serie di fattori e circostanze, dietro quel ricordo ci sono tante emozioni che lo rendono unico. Vale nella vita, così come nel ciclismo dove le grandi fughe o le volate sul rettilineo finale verso la vittoria rappresentano il traguardo cui ambiscono tutti ma che pochi riescono a raggiungere.
E, come sempre, a fare la storia sono gli uomini, in tutta la loro forza e le loro debolezze. Anche il marchio Wilier Triestina deve la propria fortuna agli uomini che hanno reso grande il marchio dell’alabarda. Abbiamo voluto rivivere questo percorso a ritroso attraverso le imprese di 6 grandi corridori tutti italiani che hanno legato per sempre il proprio nome a quello del grande ciclismo.
Alessandro Petacchi
Il 2010 è l’anno di Alberto Contador e Andy Schleck che al Tour de France si fronteggiano testa a testa. Oltre a loro, è l’anno di Alessandro Petacchi, un velocista purosangue che impone costantemente la propria presenza aggiudicandosi la maglia verde della classifica a punti davanti a Cavendish dopo essersi portato a casa due vittorie di tappa, due secondi posti e tre terzi posti. Petacchi, 36 anni e in forze alla Lampre-Farnese Vini è il secondo italiano della storia ad aggiudicarsi la maglia verde.
Alessandro Ballan
Il 28 settembre 2008 ai mondiali di Varese tutti gli occhi sono puntati su Paolo Bettini, capitano della nazionale italiana e vincitore delle ultime due edizioni del mondiale. A 250 km dalla partenza, gli azzurri lanciano una serie di affondi consecutivi per sfilacciare il gruppo di testa, ma in Piazza Montegrappa, a 3 km dall’arrivo, Alessandro Ballan sferra l’attacco decisivo creando il vuoto dietro di sé.
La sua fuga verso la maglia iridata viene protetta dai compagni di squadra Cunego e Rebellin che interrompono i cambi degli inseguitori e sfiorano di un soffio un podio tutto italiano.
Damiano Cunego
Soprannominato “il piccolo principe”, Damiano Cunego è uno scalatore e fondista capace di sorprendere. Dopo la vittoria del Giro d’IItalia nel 2004, dal 2006 al 2008 inanella una serie di successi che lo mettono in evidenza come uno dei più interessanti corridori del panorama nazionale (due giri del Trentino, maglia bianca come miglior giovane al Tour de France e tre giri di Lombardia). Memorabile rimane la sua azione di contenimento del danese Breschel mentre Alessandro Ballan sprinta per aggiudicarsi la maglia iridata al mondiale di Varese dove, comunque, si aggiudica la medaglia d’argento.
Marco Pantani
Passeranno gli anni, ma probabilmente nessun corridore riuscirà mai a sostituire il ruolo di Marco Pantani nel cuore degli Italiani a causa di una combinazione di talento, forza e sfortuna che hanno reso il Pirata l’eroe del ciclismo italiano moderno. Dopo la frattura di tibia e perone a seguito di un incidente in allenamento contro un fuoristrada, Pantani ritorna alle corse nel 1997 per poi abbandonare il Giro d’Italia a causa di una caduta causata da un gatto.
Nello stesso anno Marco rientra in gioco e al Tour de France mostra al mondo la propria stoffa: all’Alpe d’Huez sfida Jan Ulrich in maglia gialla e percorre i 1.100 metri di dislivello nel tempo record di 37’ e 35”. Ulrich riuscirà a mantenere sulle proprie spalle la maglia gialla solamente grazie alle cronometro successive, ma all’Alpe d’Huez era chiaro che il nuovo uomo da battere era Marco Pantani.
Fiorenzo Magni
Nella storia viene ricordato alternativamente come “Leone delle Fiandre” e come il “Terzo Uomo”, in quanto unico corridore in grado di infrangere il duopolio Coppi-Bartali. Fiorenzo Magni vinse tre giri delle Fiandre consecutivi, dal 1949 al 1951 e 3 giri d’Italia nel ’48, nel ’51 e nel ’55.
La storia lo ricorderà per la foto in cui pedala con una camera d’aria tra i denti e che egli stesso racconta così:
«Al Giro del ’56 sono caduto nella discesa di Volterra e mi sono fratturato la clavicola. “Non puoi partire”, mi dice il medico. Io lo lascio parlare e faccio di testa mia: metto la gommapiuma sul manubrio e corro la crono. Poi supero gli Appennini. Ma provando la cronoscalata di San Luca mi accorgo di non riuscire nemmeno a stringere il manubrio dal dolore; allora il mio meccanico, il grande Faliero Masi, decide di tagliare una camera d’aria, me la lega al manubrio e io la tengo con i denti, per non forzare le braccia. Il giorno dopo, nella Modena-Rapallo cado di nuovo e mi rompo anche l’omero. Svengo dal dolore. Sono sulla lettiga quando riprendo coscienza e ordino a chi guida l’ambulanza di fermarsi. Mi butto giù, inseguo il gruppo, lo riprendo e arrivo sul Bondone sotto una tormenta di neve. Per questo gesto Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, che seguivano il Giro, mi ribattezzarono Fiorenzo il Magnifico».
Giordano Cottur
La fine della seconda guerra mondiale lascia il mondo diviso in due e questa è la sorte anche di Trieste, città contesa tra Jugoslavia e Italia. Il primo Giro d’Italia del dopoguerra prevede un arrivo di tappa proprio nella città di confine. Il 30 giugno, a Pieris, appena entrati nella cosiddetta Zona A (cioè quella sotto il controllo degli Alleati), i ciclisti finiscono di fronte a delle barricate che li costringono a fermarsi prima di ritrovarsi bersaglio di una sassaiola. Dopo aver udito alcuni spari, molti ciclisti (tra cui Coppi e Bartali) decidono di rinunciare alla tappa (che viene annullata), ma le insistenze di diciassette corridori fanno sì che la tappa, per quanto simbolica, si concluda a Trieste, dove ad aggiudicarsi la vittoria in volata è Giordano Cottur, triestino, capitano della Wilier Triestina, il cui marchio diviene acronimo di «W l’Italia liberata e redenta». Mai vittoria fu più carica di significato di questa.
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