Trovarlo non è facile, le indicazioni per chi da Firenze vuole raggiungere il museo del ciclismo dedicato a Gino Bartali di Ponte a Ema sono piuttosto scarne: la struttura si trova proprio dirimpetto alla casa natale dell’indimenticato corridore ma la sua fruibilità è ridotta a sole 12 ore a settimana e i cimeli contenuti all’interno dello spazio espositivo non versano in buone condizioni. Il piano di rilancio promesso dal Comune di Firenze – che lo gestisce da ottobre 2015 – non è mai partito e a portare avanti la memoria storica legata alla figura e alle imprese ciclistiche di Ginettaccio ci pensa il volontariato dei soci dell’Associazione degli Amici del Museo del Ciclismo “Gino Bartali”.
Visitare il museo nella Giornata della Memoria, il 27 gennaio, vuol dire incontrare due classi elementari di una scuola di Greve in Chianti con bambini di 9 anni che guardano meravigliati le decine di bici presenti nella sala illuminata a giorno: non solo quelle appartenute a Bartali, ma anche tante due ruote che sono state donate da ex ciclisti professionisti o da semplici appassionati per valorizzare la consistenza dell’esposizione. E la storia si mescola con la Storia quando si ripercorrono le gesta del Bartali-eroe, che pedalando trasportava documenti falsi per consentire agli ebrei perseguitati dal nazifascismo di sfuggire alla deportazione nei campi di concentramento.
Il museo, inaugurato nel 2006, versa oggi in condizioni difficili e tutti i materiali esposti avrebbero bisogno di manutenzione: sotto teca ci sono solo alcuni pezzi appartenuti a Bartali così come i trofei, ma molti cimeli non sono adeguatamente valorizzati. Nella sala espositiva non hanno trovato spazio decine di donazioni che giacciono a piano terra, accanto al garage, in una sorta di scantinato freddo e illuminato con luci al neon: si tratta di bici d’epoca che presentano chiari i segni del tempo ma anche dell’incuria dovuta a una non corretta conservazione, con punti di ruggine che attaccano i telai e le cromature, movimenti centrali bloccati, ingranaggi grippati e tubolari a terra.
Oltre alla grande sala espositiva c’è anche una piccola saletta dove viene proiettato un documentario che narra la vita, o meglio le vite, di Bartali: immagini in bassa definizione e su supporti obsoleti, con un audio appena udibile. Le raccolte di articoli di giornale sono consultabili in formato cartaceo e le prime pagine storiche sono raccolte in apposite teche-espositive da sfogliare. Intanto la raccolta di firme per salvare il museo del ciclismo lanciata negli scorsi mesi online e pubblicizzata sui social network dalla nipote di Gino, Lisa Bartali, ha raccolto circa 650 adesioni: ora si attende il passaggio per Ponte a Ema del Giro d’Italia, che quest’anno compie cent’anni, per attirare l’attenzione sul museo e cercare di risollevarne le sorti.
“Siamo stanchi di aspettare e di veder gestire male il nostro patrimonio”, dice Andrea Bresci – presidente dell’Associazione Amici del Museo del Ciclismo “Gino Bartali”. L’attuale gestione da parte del Comune di Firenze non sta dando buoni frutti: “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare” avrebbe detto schiettamente Gino. Intanto il progetto è ripartire dai ragazzi, coinvolgendo maggiormente le scuole del circondario. Andrebbero rivisti e ampliati anche gli orari di apertura: la memoria di Bartali non va dimenticata, ma ricordata giorno per giorno.
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