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La scienza ucciderà il ciclismo?

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L’applicazione sempre più invasiva di sistemi di controllo, di analisi statistica e di sensori in grado di rilevare potenza , sforzo e intensità degli atleti è sotto gli occhi di tutti. Da una parte c’è chi si schiera a favore di questa innovazione, dall’altra molti temono che l’intervento massivo della tecnologia possa condurre alla perdita del “romanticismo” del ciclismo, uno sport fatto di sudore e fatica. Chi ha ragione?

La scienza e il ciclismo

Scienza e ciclismo

Chi sta seguendo il Giro 100 sa che è possibile, grazie all’app Velon, sapere immediatamente quanti watt e che potenza stanno sprigionando i corridori sui pedali. Su ogni salita, a ogni scatto, a ogni minima fuga è possibile sapere in tempo reale i watt e i battiti del cuore. E questa possibilità non ce l’hanno solo i preparatori bensì tutti gli utenti che si possono collegare all’app.
Sempre al giro un’altra app sta valutando la compensazione e la fluttuazione della forma fisica dei ciclisti: si tratta di HR4V, che attraverso la fotocamera del cellulare rileva i battiti e da lì ricostruisce lo stato di forma. Si tratta della prima vera analisi di fluttuazione della forma fisica durante un’importante gara a tappe.
Infine c’è Strava, un’app che nessun ciclista non conosce: permette di segnare i propri tempi, gareggiare con gli amici, migliorarsi. E’ così famosa da essere usata anche dai Pro.

Poi ci sono i sistemi di analisi video della pedalata, l’applicazione dell’elettromiografia per comprendere l’attivazione muscolare, la timida entrata delle sospensione elettroniche nella mtb.
Insomma, sempre più scienza e meno improvvisazione. Questo è un bene?

Perché il ciclismo vecchio stampo non è più una soluzione

Nonostante l’utilizzo massiccio e la disponibilità di tools in grado di offrire dati da analizzare, il ciclismo rimane uno sport all’antica. Gli amatori si allenano con metodo che differiscono di poco da quelli del 1912: pedalare, pedalare e pedalare. Molti sono convinti che mettendo chilometri su chilometri miglioreranno la forma. In realtà il ciclismo è, dati alla mano, lo sport che più facilmente conduce all’overtraining, cioè alla patologia dovuta all’eccesso di allenamento: livelli bassi di testosterone, malattie frequenti, depressione, insonnia, tachicardie. Eppure non ci si ferma, convinti che un solo giorno senza bici farà “perdere la forma”.

Scienza e ciclismo

Così come lo stesso gesto motorio della pedalata viene dato per scontato: lo impariamo da bambini e da allora siamo convinti di non dovercene occupare. Il ciclismo infatti è uno sport atipico: non ha un gesto motorio codificato. Nelle arti marziali esistono le forme, nella ginnastica artistica i movimenti codificati, nei tuffi, nel nuoto, in qualunque sport ci sono delle regole che determinano il movimento corretto. Nel ciclismo tutto ciò non esiste e molti ciclisti non se ne preoccupano. In realtà il primo modo per aumentare la performance è far diventare economico il proprio gesto, sprigionando la stessa potenza ma con un consumo energetico minore. Per farlo esistono sistemi di analisi video e inerziale ma spesso vengono bollati come “marketing”.
L’utilizzo di sistemi come i sensori di potenza e il cardiofrequenzimetro permettono di gestire la meglio un’uscita o una gara, evitando di strafare all’inizio poiché ci si basa solo sulle sensazione. Eppure molti ciclisti mi hanno sempre risposto che l’unico metodo di osservazione che usano sono le proprie sensazioni, ed erano gli stessi che arrivavano “bolliti” al traguardo.

Concludendo

La scienza porterà sicuramente dei benefici in termini di resa e di performance ma anche di salute del ciclista. Magari diventerà meno spettacolare ma sarà sempre lo sport che amiamo. Ci saranno sempre le scene di ciclisti che scattano contro ogni logica e tengono la fuga per 159km, ci sarà sempre l’ebbrezza di pedalare in mezzo al nulla durante un viaggio, ci sarà sempre la possibilità di prendere una bici e vivere la libertà che solo essa può dare. Le due cose non sono in conflitto ma potranno convivere, in modo che la scelta rimanga prettamente personale. Inoltre l’introduzione massiva degli approcci scientifici al ciclismo permetterà di ridurre la presenza (sempre massiccia) dei guru e santoni, che basano il proprio lavoro di allenatori, biomeccanici o atleti su concetti privi di coerenza scientifica o fisiologica. Il che, lasciatemelo dire, non può essere che un bene.

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