In arrivo il “Bitcoin” del bike sharing a flusso libero: perché?
Sempre più complicato il mondo del bike sharing a flusso libero: ora oBike ha lanciato anche gli oCoins, una moneta virtuale simile ai Bitcoin.
Non bastavano i miliardi di dollari di investimenti; non bastava la produzione di milioni di biciclette, fino a mandare in tilt gli impianti produttivi; non bastava l’espansione aggressiva in tutto il mondo, con nuove città conquistate nel giro di una notte e conseguenti bici abbandonate. Il mondo del bike sharing a flusso libero di origine asiatica fa un passo di più verso una direzione… che rimane ancora ignota. oBike, azienda nata a Singapore nel gennaio 2017, ha deciso di lanciarsi nel mondo delle monete virtuali con gli oCoins.
Nelle scorse settimane si è molto parlato di Bitcoin, la più famosa di queste valute virtuali, soggetta a grossi sbalzi di valore dovuti a bolle speculative. Le monete virtuali, nate come esperimento di impianto quasi anarchico, sono ora un mondo poco chiaro, legato a doppio filo alla finanza più spregiudicata.
In tutto questo si inserisce oBike, con i suoi oCoins. Ma a cosa serve una valuta virtuale a un’azienda che si occupa di bici? Non è molto chiaro. Nel comunicato con cui l’azienda ha annunciato la sua decisione si legge che “gli utenti oBike potranno presto guadagnare pedalando”: più si usano le oBike, più oCoins si guadagnano. Gli oCoins poi potranno essere usati per acquistare servizi legati alla piattaforma Tron, con cui oBike ha stretto una partnership, servizi che includono musica e video.
Qual è il modello di business di un’azienda che offre l’uso di una bici a prezzi molto bassi, e per giunta offre valuta virtuale a chi pedala? Quali necessità finanziarie saranno alla base di questa decisione? Difficile saperlo.
Il mondo del bike sharing a flusso libero di tipo asiatico sembra essere solo incidentalmente legato alla bicicletta. Big data su numeri di telefono, spostamenti e – grazie agli oCoin – abitudini d’acquisto sembrano essere il vero business.
Il bike sharing a flusso libero (senza gli stalli di noleggio e riconsegna) è un servizio con un grande potenziale grazie alla sua flessibilità. Va però regolamentato correttamente, in collaborazione con le amministrazioni locali, come sta facendo Londra. Le città devono avere un ruolo attivo, integrare il bike sharing nei sistemi di mobilità urbana, e non limitarsi a subire passivamente l’arrivo improvviso di decine di migliaia di bici sul suolo pubblico. Gli operatori devono impegnarsi maggiormente nel promuovere un uso corretto del servizio, ad esempio implementando “stalli virtuali” (spazi di riconsegna preferenziale per le bici).
esempio di stazione virtuale a Wachau
Il rischio è che, in un momento storico generalmente positivo per le due ruote, la bici subisca un danno d’immagine, venendo associata nella mente delle persone a mezzi di scarsa qualità che intralciano i marciapiedi o vengono vandalizzati.
Ben venga il bike sharing a flusso libero. Ma il servizio va gestito bene dagli operatori e regolamentato correttamente dalle città.
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