Lo spot della vergogna che criminalizza chi pedala

15 Febbraio 2018
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Il nuovo spot istituzionale per la sicurezza stradale dei ciclisti è una vergogna. Lo scrivo schietto, senza utilizzare perifrasi e mezzi termini, perché dopo aver visto quel filmato il sentimento che mi pervade è la vergogna: sono rimasto davvero senza parole di fronte a questo maldestro tentativo di “fare educazione stradale” condensando in 3 minuti una sequela di inesattezze condita da consigli e prescrizioni che in alcuni casi contraddicono anche il Codice della Strada, oltreché il buon senso.

Questo trailer, privo di una voce narrante, non spiega gli obiettivi della campagna ma suggestiona lo spettatore con una musica da kolossal e riprese col drone, stigmatizzando i comportamenti dei ciclisti ritenuti scorretti con un “pollice verso” su sfondo rosso: un espediente didattico-didascalico quantomeno discutibile, visto che alcune delle azioni additate come proibite sono invece consentite dal Codice della Strada (come ad esempio l’attraversamento sulle strisce pedonali in sella alla bici, ndr). Questo è solo l’antipasto, perché le altre portate arriveranno in seguito visto che si tratta di un filmato che riassume i principali aspetti che saranno trattati nei video tutorial del progetto “Sicuri in bicicletta”. Per educare anche i bambini nelle scuole. Rabbrividisco.

Il video è stato realizzato dalla Fondazione Ania (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) e dalla Federazione Ciclistica Italiana in collaborazione con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la Polizia di Stato: la campagna è stata presentata ieri, 14 febbraio 2018, in pompa magna presso la sala giunta del Coni a Roma ma non tutti gli amanti delle due ruote hanno gradito questo pensiero di San Valentino, come dimostrano le numerose critiche piovute sui social non appena è stato pubblicato il filmato in questione. Perché i contenuti che veicola sono incompatibili con la mobilità nuova, con un concetto minimamente civile di convivenza sulle strade tra mezzi diversi: perché le parole sono importanti e dal comunicato stampa che presenta il progetto si evince che chi pedala in strada deve stare sulla destra, con il casco ben allacciato e le luci accese anche di giorno, vestito con indumenti catarifrangenti e possibilmente zitto, buono e in fila indiana.

Questa iniziativa, a detta degli organizzatori, è nata per: “Tutelare una delle categorie di utenti della strada più a rischio di incidenti: una platea di oltre 12milioni di persone, se si sommano coloro che ogni giorno usano la bicicletta per effettuare il percorso casa lavoro o per una pedalata nel tempo libero, ai 17mila giovani (degli oltre 75.000 atleti iscritti alla FCI) molti dei quali si allenano sulle strade”. Quindi per sensibilizzare oltre 12 milioni di persone in bicicletta si confeziona un video dove compaiono solo cicloamatori vestiti supertecnici dalla testa ai piedi più un bambino-cattivo (che compie azioni ritenute sconsiderate, come pedalare senza indossare il casco) e una bambina-giudiziosa (che invece incarna i valori positivi contrassegnati con un bel pollicione in alto su fondo verde). Sono esterrefatto.

Questo spot presenta una realtà patinata ed edulcorata che non esiste, fatta di strade dove non c’è traffico e dove le auto non ti passano a 10 centimetri facendoti il pelo in bici e strombazzando perché le hai rallentate di qualche secondo nella loro folle corsa verso il prossimo semaforo; dove pedalare stando a destra è sicuro, perché non c’è nessuna auto parcheggiata in doppia fila e nessun conducente che apre all’improvviso la portiera provocando la rovinosa caduta del malcapitato ciclista colpito (proprio perché teneva strettamente la destra in ossequio al Codice della Strada, aggiungo io); dove non esistono cittadini in bici – il papà o la mamma che accompagnano i bambini a scuola pedalando vestiti con abiti civili, la persona che si sposta per la strada su una city bike, il variegato universo dei “ciclisti urbani” insomma – ma soltanto cicloamatori o atleti agghindati di tutto punto che utilizzano le strade per allenarsi, per “correre” e per “dare meno fastidio possibile” alle auto che li circondano. L’indimenticato Michele Scarponi era un professionista esperto, si stava allenando sulle strade di casa sua, indossava il caschetto e l’abbigliamento tecnico eppure è stato investito e ucciso mentre era in sella.

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Fa specie che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – che già in passato era incappato in una comunicazione istituzionale controversa sul tema e bersagliata dai cicloattivistiabbia avallato questi contenuti raffazzonati che di didattico hanno ben poco. Fa specie soprattutto alla luce della recente intervista che il ministro Graziano Delrio ha rilasciato a Bikeitalia.it il 10 febbraio scorso a Reggio Emilia, alla Festa della Bicicletta: davvero è questa la comunicazione istituzionale per la sicurezza stradale dei ciclisti su cui il Mit ha messo la firma?

Il grande tema, neppure tanto nascosto, alla base di questa campagna è quello dell’introduzione del casco obbligatorio per chi va in bici: un provvedimento che, nei paesi in cui è stato adottato, ha ridotto il numero di cittadini in bici e che i maggiori esperti al mondo in tema di ciclabilità considerano una sesquipedale assurdità. E potrebbe essere il Cavallo di Troia per far entrare in un ipotetico “pacchetto sicurezza” anche la targa alle bici e l’assicurazione obbligatoria. La cosa non mi stupirebbe.

Intanto, nel silenzio generale, tante persone in bicicletta ogni giorno vengono investite, ferite e uccise da persone alla guida di mezzi a motore troppo veloci e/o troppo distratte dallo smartphone: talvolta la loro storia finisce in un trafiletto di cronaca cittadina, ma a esequie avvenute il peso del dolore di quella vita spezzata resta sulle spalle dei familiari e degli amici, aggiunge un altro nome alle vittime dei cosiddetti “incidenti” stradali, che di incidentale hanno ben poco vista la loro frequenza pressoché quotidiana. La verità, non detta, è che la sicurezza dei ciclisti dipende in massima parte dai comportamenti di chi guida un mezzo a motore e mina costantemente la loro incolumità. Questo spot della vergogna deve essere ritirato. #Bastamortinstrada.

Commenti

15 Commenti su "Lo spot della vergogna che criminalizza chi pedala"

  1. Annalisa ha detto:

    D’accordo su tutto x la tutela degli appassionati di bicicletta ma xché non parliamo anche dei ciclisti che occupano mezza carreggiata e, pur sentendo di avere un auto alle spalle continuano a stare in mezzo alla strada? Proprio ieri mi sono trovata 3 ciclisti in una strada molto stretta e x farli spostare mi sono attaccata al clacson e questo mi capita spesso e non parliamo poi delle squadre di ciclisti che il sabato o la domenica praticamente si sentono i padroni delle strade. Sono anche io una ciclista di quelle che a volte x stare troppo sulla dx finisce fuori strada. L educazione deve essere reciproca.

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