Recentemente ci siamo occupati, in questo articolo, del caso di Faenza dove il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha dato ragione al ricorso presentato dalla FIAB nel giugno 2020 contro il posizionamento di barriere parapedonali antisosta.
Ci spostiamo di pochi chilometri, a Modena, sempre in Emilia Romagna. Qui il Comune, il 6 Ottobre 2020 in un comunicato stampa ufficiale annuncia “la collocazione di una serie di dissuasori in corrispondenza dei passi carrabili, in modo da impedire sosta o transito improprio sulla pista […] L’obiettivo è il miglioramento della sicurezza stradale sugli assi ciclopedonali […] individuati come critici nel territorio urbano per conflittualità tra mobilità ciclopedonale e traffico veicolare”.
Per scongiurare la sosta di auto e moto, vengono installati 36 paletti in un tratto di pista ciclabile di 100 metri privo di incroci. “Se si volevano togliere i parcheggi – ha dichiarato Giovanni Gobbi, presidente del Quartiere 2 di Modena – penso che sarebbe stato più utile mettere i paletti su una fila sola”.
L’assessora alla Mobilità, Alessandra Filippi, ha dichiarato che i paletti erano l’unica soluzione possibile per interrompere la “promiscuità pericolosa”.
Da sempre FIAB Modena lotta per la rimozione dei dissuasori che non proteggono i ciclisti ma li ostacolano addossando “la responsabilità della sicurezza in capo a chi deve essere protetto, e non a chi, guidando un mezzo da 10 o 20 quintali, ha l’obbligo normativo e il dovere morale di fare di tutto per non arrecare danno agli utenti che incrocia”.
Già, perché i Principi Generali del Codice della Strada, all’articolo 1, affermano di voler “migliorare la fluidità della circolazione; di promuovere l’uso dei velocipedi”.
Ecco perché mi interessa la questione paletti. Perché c’è scritto nel Codice della Strada: migliorare la fluidità della circolazione e promuovere l’uso dei velocipedi.
In uno dei luoghi più inquinati d’Europa, la Pianura Padana, la bicicletta è lo strumento ideale per intraprendere quel lungo percorso di conversione ecologica verso il quale dobbiamo tendere e a Modena non ci sono scuse: non c’è un metro di salita, non ci sono binari del tram e il territorio è ben coperto da una fitta rete di piste ciclabili che devono essere mantenute, pulite, curate e adeguatamente illuminate.
Il comportamento virtuoso dei singoli cittadini che si impegnano e, al posto dell’auto, scelgono la bicicletta per gli spostamenti quotidiani è fondamentale – e dobbiamo continuare a farlo – ma non basta.
Serve politica e costante attenzione mediatica. Il tema della mobilità sostenibile deve essere al centro dell’agenda. Servono decisioni drastiche e impopolari come, per esempio, la scelta olandese di porre il limite di 30km/h su tutte le strade urbane o quella parigina di rimuovere la metà dei parcheggi auto per dedicarli a spazi pubblici, aree verdi e ciclabili.
Gli esempi da seguire ci sono, i progetti pure, come la greenway MIMO che potrebbe collegare-a-pedali Milano e Monza, attraverso un’infrastruttura leggera ciclabile e pedonale integrata in un corridoio verde dedicato alla mobilità sostenibile e al trasporto pubblico, ridistribuendo lo spazio sulla carreggiata oggi appannaggio soltanto del traffico privato motorizzato.
In quest’ottica il bonus bici è un buon inizio ma deve essere accompagnato da più sostanza: da pianificazioni a lungo termine e da infrastrutture realmente fruibili e sicure.
Altrimenti con tutti questi paletti sulla ciclabile è meglio comprare un paio di sci.
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