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Il marketing delle biciclette e del corpo delle donne

Il marketing delle biciclette e del corpo delle donne

Atala è uno dei marchi che hanno fatto la storia del ciclismo. Forse non tutti lo sanno, ma fu in sella a una bicicletta Atala che Luigi Ganna si portò a casa il Giro d’Italia del 1909 e del 1910. Da allora in poi il marchio con sede a Monza ebbe esiti altalenanti e dopo gli anni ’80 con la partecipazione al Giro d’Italia iniziò un importante periodo di calo di immagine che portò Atala a diventare un marchio di bici da supermercato.

Con la cessione del 50% del marchio al gruppo olandese Accell, le cose hanno iniziato progressivamente a cambiare, sono stati acquisiti e creati nuovi marchi, alcuni anche prestigiosi (Umberto Dei e Maino), altri dall’alto contenuto tecnologico (Whistle e Carraro).

Sembrava andasse tutto bene, poi arrivò l’edizione 2021 di EICMA, l’Esposizione Internazionale di Cicli, Motocicli e Accessori che ha messo in evidenza qualche aspetto di debolezza.

Atala si è presentato in fiera con uno stand di tutto rispetto, capace di reggere la concorrenza degli stand del settore moto e con una serie di prodotti di sicura qualità. Per valorizzare la nuova gamma di bici, il management della casa monzese ha pensato bene di ricorrere al più antico trucco del mondo: affiancare al prodotto una ragazza discinta e ammiccante.

L’antica tecnica dell’ancoraggio

La pratica è uso comune nelle fiere di moto: si mette la sventolona di turno in sella alla nuovissima fuoriserie e la si lascia lì a rosolare sotto i faretti mentre orde di adolescenti con gli ormoni in fibrillazione si precipitano a fare foto che condivideranno poi sui social con l’hashtag #tette coprendo il marchio e il prodotto.

Nel gergo del marketing questa tecnica si chiama “ancoraggio”: metto una bella gnocca accanto a un prodotto anonimo per creare un’associazione implicita nel cervello di chi guarda “compra il mio prodotto e anche tu potrai avere una gnocca così”. Questo è il metodo con cui i maestri del marketing hanno convinto intere generazioni di persone a fumare: per essere fighi come James Dean, come Humphrey Bogart, come Alain Delon, come Clint Eastwood.

Ma stiamo parlando degli anni ’50 e oggi, a distanza di 70 anni, viene da pensare che si possa fare di più e di meglio. Questo non solo perché il consumatore di oggi è più raffinato e ha bisogno di nuovi trucchetti per essere convinto a comprare qualcosa, ma anche perché in un’era in cui chiunque può avere accesso a tutto l’eros che desidera semplicemente cliccando sul proprio smartphone, non si capisce perché questi debba intercettare l’erotismo in uno stand che pretende di commercializzare biciclette.

La mercificazione del corpo

La pratica dell’ancoraggio tra belle donne e prodotti è stata progressivamente abbandonata nel corso del tempo perché ha lo sgradevole effetto di trasformare il corpo della donna in un prodotto in vendita che sembra quasi incluso nel prezzo.

Al di là della questione etica e morale, questa pratica è stata progressivamente abbandonata in molti ambiti perché è escludente nei confronti delle donne stesse: d’altronde se io voglio vendere un prodotto a delle donne, l’ultima cosa che debbo fare è farle sentire come rappresentanti della storia millenaria del meretricio. E il ciclismo, come sappiamo, è un settore che sta disperatamente cercando di avvicinarsi all’universo femminile per coinvolgerlo.

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E poi c’è la mortificazione del prodotto. Lo dico da imprenditore: nulla al mondo deve mai oscurare il mio prodotto perché vige la regola aurea: se non si vede non si vende. Nei supermercati le aziende pagano prezzi premium per riuscire a essere nei punti più visibili e invece Atala come gestisce la propria comunicazione social? Pubblica una foto in cui una ragazzina molto procace copre con le proprie forme il lavoro del product manager e non si sa più se la gravel che vogliono vendere a tutti i costi (sapete quanto costa uno stand a EICMA?) sia a pedalata assistita o muscolare, che tipo di guarnitura monta o il nome del modello.

Cosa mi vuoi comunicare?

Osservando il posizionamento di Atala a Eicma quello che mi chiedo è “ma questi qua cosa vogliono comunicarmi?”. Cosa vogliono dirmi quando mettono sul piedistallo una sventolona in minigonna e tacchi a spillo accanto a una MTB? Che se uso il loro prodotto divento così? Che quello è l’abbigliamento corretto per andare in MTB? Che se uso il loro prodotto anche io potrò avere la sventolona? (guardate che le signorine che si incontrano vestite in quel modo nei boschi generalmente non sono molto interessate al mezzo di trasporto).

MTB e tacchi a spillo

L’operazione è talmente sbagliata che non so neppure da che parte prenderla: chi ha pensato a questa operazione non si è minimamente posto il problema del ritorno di investimento, ha pensato di spolverare le logiche dei vecchi calendari da officina pensando che questo possa bastare.

Quello stand fa schifo. E lo dico prima da uomo maschio, e poi da azionista di Accell che gradirebbe che le aziende del gruppo sappiano maneggiare propriamente gli strumenti della comunicazione. Perché siamo nel 2021, non nel 1951.

Commenti

  1. Avatar Alberto ha detto:

    Secondo me mettere una bella ragazza ci sta ma magari bisogna usare un po’ di fantasia per esempio vestire le ragazze da Raider MTB con pantaloni corti e abbigliamento di un brand partner e poi basta Nero ci vogliono colori su bici che piacciono ok nero ma anche altri colori vivaci e poi date la possibilità al cliente di scegliere il colore e allestimento non imporre insomma adottate il metodo di vendita auto modello base ma poi scelta di optional ecc..

  2. Avatar Andrea ha detto:

    Mi chiedo quanto sessismo ci sia anche nel usare queste parole nei confronti di una bella donna con i tacchi …

    d’altronde se io voglio vendere un prodotto a delle donne, l’ultima cosa che debbo fare è farle sentire come rappresentanti della storia millenaria del meretricio.

  3. Avatar Francesco ha detto:

    Se fosse stato pagato dai concorrenti avrebbe parlato male dei prodotti, mica della mentalità dell’ufficio marketing fermo agli anni 80.

  4. Avatar AlesSandro ha detto:

    La verità, credo, la conoscano gli Operatori del settore: nel 2020 ci sono state grosse difficoltà per le Aziende. Sono mancati i componenti e quindi le bici, elettriche o muscolari. Atala in particolare come altri ha consegnato poco o nulla anche nel 2021 sino a fine Settembre. Il percepito relativamente al marchio e più in generale alla situazione (più che evidente per quanti come me frequenta i Rivenditori) non è dei migliori. Questo brand, come molti altri del “Mercato Ciclo”, hanno già richiesto programmi ed impegni ai propri clienti per il 2023, insomma “alla cieca”. Allora cosa fare in una fiera per quanto sbagliato sia: cercare attenzione, richiamare gli sguardi e far parlare di sé nel bene o nel male ma riuscire a farlo. Credetemi: il problema di immagine, di comunicazione per aziende come questa è l’ultimo di una lunga serie e forse il meno grave.

  5. Avatar Pietro ha detto:

    Sono d’accordo, ma questo discorso può essere fatto per metà delle esposizioni di Eicma… Ci sono stato ieri ed effettivamente non ricordo di aver visto bici Atala allo stand, ma nemmeno ho capito cosa vende Mafra giusto per dirne una

  6. Avatar Simone ha detto:

    Dice il vecchio saggio “se guardi la fi*a non vedi la biga”. Pienamente d’accordo con l’articolista.

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