Un intervento diretto sulla cronaca degli incidenti stradali e contro la retorica della fatalità quello della consigliera comunale di Bologna Simona Larghetti al MobilitARS 2022, evento realizzato da Bikenomist in collaborazione con il Comune di Reggio Emilia. Nella sua relazione Larghetti è partita dal caso del bambino investito e ucciso nel cortile dell’asilo a L’Aquila per fare un’analisi puntuale di come i mass media (mal)trattano il tema della violenza stradale.
Di solito le notizie degli incidenti stradali finiscono nei trafiletto, quando muore un bambino la cronaca fa uno sforzo in più ma, secondo Larghetti, non riesce a centrare il punto della questione: “Lo scopo della cronaca è stato di dire, a reti unificate, che è stata una fatalità, che è stato un incidente, che è stata una cosa non prevedibile e dunque non prevenibile: non è possibile evitare una fatalità, ma è veramente così?”.
Nei racconti giornalistici degli incidenti stradali, specie quelli che avvengono nei pressi degli istituti scolastici, c’è un grande assente: manca il contesto di riferimento che produce le cause della violenza stradale. Lo ha sottolineato con enfasi Larghetti in un passaggio del suo intervento: “Le persone che abitano vicino a una scuola tutte le mattine vedono queste scene e sanno che non c’è nulla di casuale: anzi, è casuale quando le cose vanno bene, perché affollare tante automobili guidate da persone che hanno fretta e sono distratte solo per caso non produce incidenti. Lo sappiamo dai dati: la violenza stradale è la prima causa di morte per i minori in Italia, parliamo di decine e decine di casi ogni anno”.
E in tutto questo la politica che cosa fa? Agisce sull’onda emotiva dei fatti di cronaca più eclatanti, come accadde per la norma sul seggiolino antiabbandono fatta in fretta e furia in seguito alla morte di un bambino dimenticato in auto, come ha ricordato Larghetti: “Una norma fatta in quattro e quattr’otto: in pochi mesi chi aveva un seggiolino si è dovuto adeguare con un dispositivo apposito: è stato un provvedimento fatto in seguito a un caso di cronaca di un bambino morto in quanto dimenticato in auto. Quanti bambini sono morti in Italia negli ultimi 10 anni a causa della sindrome da stress che porta all’abbandono? 8 bambini. Mentre ogni anno, sempre nel nostro Paese, sono 40 i bambini che vengono investiti e uccisi: dal 2014 a oggi sono 270 i bambini morti a causa della violenza stradale“. Questi i numeri del fenomeno.
Solo nel 2020 sono state finalmente istituite le Strade Scolastiche – cioè le chiusure temporanee davanti alle scuole: pedonalizzazioni negli orari di entrata/uscita per evitare che i bambini vengano investiti, ma non solo come ha puntualizzato Larghetti: “Servono anche a promuovere l’idea che accedere a scuola a piedi e in bici è sicuro e piacevole, è possibile: io ogni mattina mi prendo 30 minuti per accompagnare i miei figli a scuola ed è un tempo che io dedico alla loro educazione, alla loro crescita, all’amore che c’è tra di noi. Poi prendo un altro mezzo per andare a lavorare, nel mio caso la bici”.
Purtroppo, non essendoci un obbligo di legge, a fronte di quasi 8.000 Comuni presenti in Italia sono solo poche decine le città che hanno istituito le Strade Scolastiche: “Ci stiamo lavorando, le stiamo facendo una a una ma abbiamo 800 istituti scolastici nella Città Metropolitana di Bologna, quindi la sfida è grande. E ogni volta che istituiamo una strada scolastica nasce un Comitato di genitori contro, che spesso è composto dagli stessi genitori che vogliono continuare ad accompagnare i loro figli in auto perché loro appunto hanno fretta e devono andare a lavorare… come se la salute e la sopravvivenza dei loro bambini fosse una questione di non avere fretta!”, ha sottolineato Larghetti.
L’istituzione di una Strada Scolastica è un presidio di educazione civica sulla fruizione dello spazio pubblico e sull’autonomia di spostamento, un tema centrale secondo Larghetti: “Ci lamentiano che la gente non va a votare, ci lamentiamo che quando ci sono le adunate di piazza le persone non si impegnano più: ma cosa pretendiamo di ottenere se educhiamo i nostri bambini a essere trasportati come pacchi da un punto all’altro in maniera completamente passiva se non gli insegniamo la fiducia e la bellezza dell’essere autonomi, dello spostarsi individualmente, con le proprie gambe e con la propria forza”.
Condivido pienamente le parole di Simona, il problema è che non tutti hanno 30 minuti per accompagnare i figli a scuola a piedi o in bici: se la scuola comincia alle 8.00 (e magari non concede anticipi) e io comincio il lavoro alle 8.30 (cascasse il mondo, non 1 minuto più tardi) non ce la faccio in 30 minuti ad andare al lavoro in bici, ce ne vorrebbero magari 40 perché la distanza è ampia, e neanche ce la farei a tornare a casa dalla scuola a piedi o in bici, prendere l’auto (perchè con i mezzi pubblici ci metterei 1 ora in più dell’auto, anche se c’è traffico) e andare al lavoro. Mentre magari se faccio tutto con l’auto ci riesco, al pelo ma ci riesco.
Quello che voglio dire è che questo problema supera la mobilità: i datori di lavoro devono essere costretti da qualche legge a concedere della flessibilità o cambio di orario almeno per chi ha dei figli da portare a scuola perchè attualmente non gliene frega niente, tu alle 8.30 devi essere in ufficio (vissuto sulla mia pelle e su quella di tanti colleghi). Quindi i genitori sì che “hanno fretta e devono andare a lavorare” ma perchè è il datore di lavoro che glielo impone!
Per non parlare di chi ha bambini piccoli (di cui TUTTI si dimenticano) da mandare al nido: spesso i nidi non sono neanche nel tuo comune o quartiere, quindi sei costretto a portarli in auto perchè ovviamente il bambino non può prendere un pulmino e quindi i tempi si dilatano ulteriormente
Non c’è flessibilità ne da parte del datore di lavoro ne da parte di scuole e nidi; i mezzi pubblici ci mettono mediamente il doppio del tempo che andare in auto perchè sono mal concepiti (insieme alle strade) e quindi non ti resta che usare l’auto.
Per non parlare di chi ha due o più figli che devono andare alla stessa ora in scuole diverse…
Certo, tanti potrebbero fare tutto questo magari con una bici elettrica, anche economica, e non lo fanno, ne ho degli esempi tra colleghi (che nel raggio di 1km hanno casa, scuole e lavoro ma usano sempre l’auto)
E li si può agire chiudendo strade e cambiando la viabilità.
Ma altrettanti vorrebbero ma non possono per i problemi citati sopra, quindi per questi il lavoro da fare è molto più grande che istituire strade scolastiche (che comunque è meglio di niente)
Il problema è più politico che viabilistico