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Sostenibilità e industria della bici: a che punto siamo?

Mentre è in corso la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici (la COP27), anche il mondo dell’industria si interroga sul proprio ruolo per ridurre l’impronta carbonica. Non fa certo eccezione il settore della bicicletta che si ritrova sospeso in una dimensione decisamente insolita: da un lato si ritrova a produrre oggetti che sono l’emblema della sostenibilità, dall’altro lato utilizza tecnologie e approcci in molti casi superati.

In tutto questo, ovviamente, il rischio è lo sconfinamento in quello che in gergo viene chiamato “greenwashing” ovvero l’arte di pitturare di verde qualcosa che non lo è.

Obsolescenza programmata e greenwashing

Tipicamente questa tendenza si verifica nel settore automotive, quando costruiscono vetture gigantesche e assolutamente ridondanti che diventano green solamente perché hanno una motorizzazione differente, anche se poi occorre il triplo dell’energia per la loro produzione.

auto verde per indicare il greenwashing

Nel settore della bicicletta, ovviamente, la tentazione è forte, soprattutto perché nel corso degli anni le caratteristiche fondanti del prodotto “bicicletta” sono cambiate moltissimo. Un esempio? Un tempo le biciclette erano realizzate in acciaio, un materiale eterno che poteva essere riciclato all’infinito, poi è arrivato il carbonio che, essendo di derivazione organica, prima o poi è destinato a morire e a finire in discarica. E lo stesso è successo con l’introduzione delle trasmissioni a 10, 11, 12 e 13 rapporti che hanno accorciato la vita utile delle catene e dei pignoni; con l’introduzione dei freni a disco che a fronte di una migliore frenata hanno significato un maggiore consumo dei freni; per non parlare delle mode del momento che spingono al consumismo più estremo.

In qualche modo, quindi, mentre nel segmento del ciclismo è arrivato il concetto di obsolescenza programmata (quella cosa per cui i prodotti prima o poi si devono rompere), allo stesso tempo si è affacciato (per fortuna) il concetto di sostenibilità.

Il ciclo di vita del prodotto bici

Ma il problema grosso della sostenibilità è la definizione che se ne dà: se prendiamo come punto di riferimento il ciclo di vita del prodotto, ovvero la quantità di CO2 generata da un qualunque prodotto “dalla culla alla tomba”, ovvero dal momento di estrazione della materia prima, fino al suo smaltimento.

A porsi il problema è un gruppo di aziende del mondo del ciclismo e che si riunisce sotto il nome di “Shift Cycling Culture” che proprio oggi avrà il suo meetup annuale. Obiettivi comuni del gruppo sono:

  1. redigere annualmente un report delle proprie emissioni di CO2;
  2. di ridurre le proprie emissioni di CO2 del 55% entro il 2030.

Riese & Muller in fuga sulla sostenibilità

Di questo gruppo di aziende fa parte Riese & Muller, storica produttrice di ebike di alta gamma che ha annunciato che raggiungerà la neutralità carbonica addirittura entro il 2025 puntando in particolare sulla propria filiera produttiva.

Sandra Wolf, CEO di Riese & Mueller
Sandra Wolf, CEO di Riese & Mueller

A Eurobike abbiamo incontrato la CEO di Riese & Mueller, Sandra Wolf che è arrivata a invocare la creazione di normative più stringenti in materia di sostenibilità nei confronti del proprio ambito industriale.

Tra i temi evidenziati dalla Wolf c’è quindi la necessità di un’assoluta trasparenza nella produzione, un po’ come avviene con i processi contabili che sono verificabili in qualunque momento e su cui non si può nascondere la polvere sotto il tappeto.

Se è vero quanto sostiene il segretario generale dell’ONU Guterres, cioè che “il mondo è su un’autostrada verso l’inferno climatico”, allora occorre sposare l’approccio alla Riese & Muller e puntare a una radicale modifica degli approcci produttivi.

Gli altri attori sul mercato, tra confusione, alti e bassi

In questo senso risulterebbe probabilmente insufficiente e inadeguato l’approccio di Cannondale che sta puntando soprattutto sul tema degli imballaggi, avendo eliminato completamente l’utilizzo di plastica dai cartoni per le spedizioni.

Meglio, invece chi punta sostenibilità dei materiali utilizzati nella realizzazione dei propri prodotti, come è il caso di Selle Royal che, con la Lookin Evo, ha presentato una sella con una base realizzata al 100% da plastica riciclata e una copertura fatta al 50% con materiale organico.

Il mondo dell’abbigliamento è quello, invece, che più di ogni altro punta sulla circolarità della propria produzione trasformando i rifiuti in prodotti altamente performanti. Un caso su tutti è quello del maglificio sportivo Santini che offre una gamma di prodotti provenienti al 100% dal riciclo di altri tessuti, mentre Vaude ha sviluppato un tessuto ottenuto dal riciclo di copertoni di automobili, un po’ quello che fa da tempo Patagonia con le reti da pesca e Sigr (azienda svedese) con le bottiglie di PET.

Processo chimico dei prodotti Vaude
I processi chimici di produzione secondo Vaude

Il tema della sostenibilità, però, rischia di prestare il fianco a numerosi fraintendimenti perché se è vero che non c’è nulla di più sostenibile di ciò che non muore mai e dura per sempre (e in questo senso la palma della sostenibilità dovrebbe andare a Miss Grape, produttore italiano di borse da bikepacking che offre la garanzia a vita su tutti i propri prodotti), allo stesso tempo è anche vero che a non morire mai e a durare per sempre è proprio la plastica che rappresenta uno dei principali problemi che il genere umano sta cercando di risolvere.

Concludendo

In mancanza di una definizione comune su cosa sia sostenibile e cosa non lo sia è comunque bello vedere che le aziende si stanno operando e ingegnando (fosse anche solo per un motivo di natura di immagine) per lasciare in eredità alle prossime generazioni un mondo migliore.

famiglia in bicicletta

A voler cercare però il pelo nell’uovo sono ancora troppo poche le aziende che si impegnano a fare ciò che davvero potrebbe rendere il mondo migliore in termini di sostenibilità ambientale: mettere in sella il maggior numero possibile di persone convincendole a lasciare a piedi l’automobile.

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