Regioni ciclabili in tre mosse

Regioni ciclabili in tre mosse

Le recenti proposte di legge-a-pedali in discussione in Parlamento hanno posto l’attenzione sul bisogno di mobilità nuova e la necessita di decongestionare le strade dalla presenza sempre più ingombrante e insostenibile dei mezzi a motore. La riduzione del traffico motorizzato sembra aver svalicato l’interesse dei (finora) pochi ciclisti quotidiani riuscendo a imporsi come tema dell’agenda politica. E mentre a Palazzo Madama e a Montecitorio si discute, che cosa sta succedendo nei nostri territori? Ne parliamo con Jacopo Michi (JM) e Marco Passigato (MP), due dei relatori Fiab (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) che animeranno le sessione del CosmoBike Mobility “Il ruolo delle Regioni nella Mobilità Ciclistica” nella giornata di apertura, venerdì 11 settembre alla Fiera di Verona.

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Che cosa sta cambiando negli ultimi anni?
MP: «La mobilità ciclistica, già matura e ottimamente sviluppata in Europa, sta entrando nell’agenda della Politica e delle Amministrazioni italiane oltreché nelle abitudini e negli stili di vita di molte persone».

Le nostre Regioni stanno diventando ciclabili?
MP: «In alcune Regioni c’è una forte attività sul tema della mobilità ciclistica con produzioni di leggi regionali, manualistica tecnica, realizzazioni di piste e percorsi ciclabili urbani ed extraurbani, con l’attivazione di politiche di marketing per la mobilità urbana e cicloturistica, con la realizzazione di cartografie e piani di segnalamento dedicati al cicloturismo. In molte occasioni a causa della frammentazione delle competenze regionali distribuite tra più uffici: pianificazione, infrastrutture, turismo, ambiente questo crescere talvolta vorticoso è avvenuto disordinatamente senza una cabina di regia, con situazioni disomogenee, non coerenti e scoordinate a scapito di un disegno complessivo che potrebbe funzionare molto meglio con le medesime risorse».

Le leggi regionali sono quindi utili per lo sviluppo della ciclabilità nei territori o solo un ulteriore livello che disperde l’efficacia dei provvedimenti?
JM: «Già da 14 anni le leggi sulla mobilità ciclistica sono di competenza delle Regioni, in quanto responsabili del Governo del Territorio, del Turismo e della pianificazione di Reti di Trasporto. Le nuove leggi regionali sulla mobilità ciclistica non guardano più alla bici come un mezzo per il tempo libero, ma come un mezzo alternativo all’auto per risolvere problemi di spostamento casa-lavoro, intermodalità, sviluppo del turismo locale. Almeno in teoria».

Quali sono i problemi di queste leggi?
JM: «Non sono norme precettive, il che significa che Province e Comuni sono liberi di non adeguarsi e non vengono sanzionate. In questo modo la legge è solo un appiglio per l’amministrazione virtuosa che voglia lavorare sul tema, l’efficacia è affidata completamente alla buona volontà. Dal 2009 al 2012 Lombardia, Toscana, Puglia e Marche si sono dotate di un’ottima legge. Il Veneto sta lavorando molto bene, ma i piani dovrebbero essere vincolati alla realizzazione effettiva e all’erogazione di fondi, altrimenti rimangono lettera morta».

Quindi, allo stato attuale, una Regione virtuosa che cosa dovrebbe fare?

JM: «Tre semplici cose:

1) munirsi di una legge della mobilità ciclistica;
2) guardare i modelli di chi ha già lavorato bene;
3) dare forza vincolante ai piani e finanziarli.

Poi chiaramente non basta individuare qualche itinerario. Va aperto il dialogo con le associazioni, come stanno facendo Veneto e Toscana, bisogna considerare le funzioni degli itinerari, individuare i poli di attrazione nelle aree metropolitane (a integrazione del trasporto su ferro), aree di flussi turistici (riviere, riserve), progettare e finanziare servizi come velostazioni e sistemi integrati di bikesharing, e pensare all’ultimo chilometro nella logistica delle merci, come del resto fanno già tanti operatori privati, senza incentivi e senza una regia».

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