Ogni maledetta elezione capita che qualche candidato cerchi di strumentalizzare un argomento buono e giusto come la ciclabilità urbana per farne passerelle, tagli di nastro, convegni-fiume e mirabolanti promesse che lasciano il tempo che trovano e saranno puntualmente disattese: salvo qualche rara eccezione, fatta di persone che pedalano davvero e sanno di che cosa stanno parlando quando parlano di bicicletta, la maggior parte della comunicazione politica che ruota attorno alle due ruote prende in giro gli elettori, che in definitiva siamo noi.
Ogni maledetta elezione, il politico di turno che non pedala e promette ciclopedonali buone (forse) per una sgambatina la domenica lo riconosci già dai manifesti elettorali: in giacca e cravatta, con il caschetto in testa se in sella o sottobraccio se appiedato (hai visto mai che poi qualcuno glielo faccia notare: la sicurezza innanzitutto…), con un sorriso gioviale di circostanza tra il soddisfatto e il divertito che vuole comunicare che pedalare è bello ma si vede lontano un miglio che non vede l’ora di smettere quella posa per risalire in auto e correre via verso altri lidi (molto gettonate le cene elettorali, anche se ultimamente vanno molto gli aperi-qualcosa: mangiare sì, ma senza strafare).
Ogni maledetta elezione ascolti le promesse ciclabili di chi “la ciclabile la facciamo però – (inserire nome di città italiana a piacere, ndr) – non è mica Copenhagen”, “che bella la bicicletta: però, certo, i ciclisti devono stare più a destra”, “capisco le ragioni di chi pedala ma come facciamo a togliere i posti auto vicino ai negozi?”. Tutte frasi fatte che denotano una mancanza di strategia e incapacità di guardare alla prossima generazione: politici che non devono fare neanche la fatica di rimangiarsi le promesse, perché in fondo dicono e non dicono, magari poi ti spiegano anche che avevi frainteso (non che si erano spiegati male, eh…), oppure “certo sarebbe bello poterlo fare adesso ma c’è la crisi, le priorità sono altre…”.
Ogni maledetta elezione ci si ritrova dentro la cabina elettorale con una matita in mano e si pensa a quanta gente nel mondo non ha questo diritto e a quanta, fino a un recente passato, neanche in Italia lo aveva: le donne, nel nostro Belpaese, votano solo dal 2 giugno 1946. Poi si pensa anche a come si è arrivati – sperabilmente a piedi o in bici – al seggio, che spesso dista dalla propria abitazione solo qualche centinaio di metri o, al più, un paio di chilometri e si vedono le auto in doppia fila, gli scooteroni parcheggiati sul marciapiedi, clacson strombazzanti e le forze dell’ordine che presidiano l’avamposto delle prerogative democratiche che fanno finta di non vedere perché loro stanno facendo altro e mica hanno i blocchetti delle contravvenzioni appresso.
Ogni maledetta elezione c’è chi si presenta agli elettori con accanto una bicicletta, ma in realtà non ci sale sopra, non la considera il mezzo del futuro su cui costruire un presente di mobilità nuova: la brandisce come una clava, la utilizza a suo uso e consumo solo per soddisfare ambizioni egotistiche, la trasforma in un Cavallo di Troia per entrare all’interno di un organo elettivo ben sapendo che non darà seguito al profluvio di promesse-a-pedali perché in fondo lui ambisce a mantenere lo status quo, quello gattopardesco dove “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Ogni maledetta elezione, a ridosso della data fatidica, l’amministrazione uscente di turno inaugura pezzetti di ciclabile con la promessa che – una volta rieletta – completerà l’opera e puntualmente mi chiedo come mai non l’abbia fatto negli anni precedenti, quando aveva fatto/promesso esattamente la stessa cosa…
Ogni maledetta elezione, da vent’anni a questa parte, mi reco al seggio con la consapevolezza di compiere un dovere civico e l’orgoglio di esercitare un diritto costituzionale ma puntualmente – dopo aver espresso il mio voto – subentra una sorta di disillusione, perché la sensazione che alle promesse non seguiranno i fatti è molto, molto alta. Per valutare la fiducia in un candidato, in passato nei sondaggi veniva fatta la domanda: “Comprereste un’auto usata da questo politico?”. Oggi la mia domanda è: “Quale di questi politici vorreste avere affianco pedalando in salita, controvento, sotto la pioggia e in mezzo al traffico?”. Se avete in mente una risposta sapete già per chi votare.
Giuste considerazioni generali, ma sconcertante articolo, quello linkato che parla delle lodevoli (?) eccezioni: porta al più grave errore che si fa sempre a livello mediatico e giornalistico, ovvero che i cambiamenti eco-compatibili nelle città possano provenire solo da chi è schierato a sinistra e che dall’ altra parte ci sono i “nemici”. Prendiamo ad esempio Milano: qui il bike sharing è stato portato da una giunta di destra; a Napoli si è provato a farlo…chiedete ai napoletani come è finito…A Londra le cose si sono mosse grazie a un sindaco conservatore, che va pure in bici. Torino, governata ininterrrottamente dalla sinistra, ha una rete di ciclabili a far invidia ad Amsterdam, come no! E questi “piccoli” (politicamente) candidati, al seguito dei pezzi grossi (politicamente…) cosa faranno dopo averci abbindolati e carpito il nostro voto?
Nulla.
Ciao Alex, nel mio editoriale ho linkato anche il pezzo sui candidati che provengono dal cicloattivismo e che si presentano a Milano e a Torino come “persone che quando parlano di bicicletta sanno di che cosa parlano” perché ho avuto modo più volte di incontrarli, di confrontarmi con loro e ne ho seguito abbastanza da vicino il percorso dal cicloattivismo fino alla candidatura. Peraltro, nell’articolo che citi, facciamo presenti i rischi potenziali connessi a un’eventuale elezione proprio per le difficoltà intrinseche a portare avanti temi di mobilità nuova in un contesto generale ancora troppo legato a logiche vecchie, incentrate sull’automobile e ancora troppo poco attento alla bicicletta come mezzo di trasporto.
Capolavoro di scrittura assoluto.
Articolo da tramandare ai posteri (i quali rivivranno le stesse patetiche situazioni)
Mi levo il cappello
Concordo dalla prima parola all’ultima virgola. Caro Massimo, visto che sono un ciclo-attivista ormai dal lontano 1982 (quando, dio bono, non sapevamo un cavolo di ciclabilità e dintorni, avevamo solo letto Ivan Illich e visto qualche foto di ciclabili di amici che erano stati in Olanda … la madonna, più di 30 anni!!) avrei potuto scriverlo io questo articolo. Solo che, se lo scrivevo io, non era un articolo ma un romanzo (che, tra l’altro, notoriamente, non ho il dono della sintesi). Mi fai venire in mente un sacco di episodi, che vanno dal comico al drammatico. Ma è così, è così da 30 anni almeno, con tutta una serie di varianti (tanto che alla fine ti chiedi se gli unici “onesti” sono i leghisti che scrivono spesso chiaramente nel programma lo smantellamento delle ciclabili fatte dalle precedenti amministrazioni e a volte lo fanno veramente, insieme all’incentivazione spudorata del mezzo a motore).