Sempre più aziende del settore bici scelgono di tornare a produrre in Europa. Perché non conviene più importarle dall’Asia? Le cause sono molteplici.
“Ciao Mondo. Siamo Pronti”. Questa è la scritta che accoglie i visitatori del sito di Portugal Bike Value. È un sito con un target di visitatori piccolo ma preciso: gli imprenditori del settore bici. Lo scopo è chiarissimo: invogliarli ad investire in Portogallo. E giù dati che fanno capire quanto sia conveniente farlo: infrastrutture per il trasporto; manodopera specializzata grazie alle vicine facoltà d’ingegneria; soprattutto la presenza di un cluster di aziende del settore bici vicine fra loro, pronte a collaborare e a realizzare sinergie.
Il Portogallo è all’avanguardia di uno dei trend più grandi, più importanti e meno raccontati del settore bici: il ritorno della produzione in Europa. Dai motori per le bici elettriche ai componenti in carbonio, dai copertoni per mtb ai telai in alluminio, questo trend coinvolge l’intero settore bici. A giugno una conferenza di due giorni è stata dedicata all’analisi di questo fenomeno – ovviamente a Porto.
C’era una volta l’offshoring
C’era una volta l’offshoring. La parola inglese veniva usata per addolcire una difficile realtà: lo spostamento delle attività produttive dall’Europa all’Asia. Produrre in Cina o a Taiwan costava di meno; trasportare materie prime e prodotti da una parte all’altra del mondo era sempre più conveniente. Ed ecco che la produzione di bici, in Italia e in Europa, ha subito all’inizio del millennio un brusco calo. Se nel 2000 si producevano in Europa 14,5 milioni di bici, nel 2013 si era scesi a 11,3 milioni (dati CONEBI 2017). Impressionante il calo della produzione in Gran Bretagna:
Un po’ meglio ha resistito l’Italia, dopo i primi anni 2000:
Meno costi, più flessibilità
Nel frattempo però le cose hanno iniziato a cambiare. Sono molti i fattori che stanno influendo sul ritorno della produzione di bici in Europa:
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- L’aumento dei costi di produzione in Asia. Il grafico seguente mostra l’aumento dei salari medi nel settore manufatturiero in Cina negli ultimi decenni. Grafici simili possono essere elaborati per le altre economie asiatiche. Con lo sviluppo economico salgono i salari, e la differenza con i salari occidentali si assottiglia.
- La diminuzione dei costi di produzione in Europa, soprattutto grazie alla sempre più diffusa automazione delle attività produttive. Quasi tutti gli impianti industriali che vengono aperti o rinnovati in Europa prevedono un largo uso di robot, nella logistica ma spesso anche nella vera produzione di componenti come i telai.
- La necessità di arrivare velocemente sul mercato. I gusti dei consumatori cambiano velocemente. Così come i loro tempi di attenzione. Quando un prodotto viene presentato alla stampa, è necessario che sia subito disponibile, prima che l’attenzione si sposti su una bici della concorrenza. La crescita dell’ecommerce e della vendita diretta aumenta ulteriormente le aspettative di rapidità dei consumatori. In questo contesto, riportare la produzione in Europa può aiutare molto. I tempi medi di attesa per la produzione di una bici in Asia sono di 26 settimane, dato che può essere portato a 13 o addirittura a 8 settimane se gli stabilimenti industriali si trovano in Europa.
- La necessità di personalizzare il prodotto. Al giorno d’oggi ogni produttore di bici ha decine di modelli in catalogo, spesso con componenti diversi. Produrre ogni modello nelle quantità richieste dal mercato richiede una grande flessibilità, più facilmente garantita da impianti produttivi vicini al luogo di vendita.
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Gli esempi
Gli esempi di aziende che decidono di mantenere, riportare o iniziare la produzione in Europa sono innumerevoli. E non solo in paesi con basso costo del lavoro come il Portogallo. Prendiamo uno dei settori in maggiore crescita, quello delle bici elettriche. Un decennio fa le aziende produttrici di motori per ebike avrebbero pensato prima di tutto a trovare partner asiatici per la produzione. E invece i motori Bosch sono fatti in Ungheria; quelli Brose addirittura in Germania. Anche le celle (i componenti interni delle batterie) verranno prodotte in Germania dalla BMZ, anche grazie a un aiuto statale.
Hutchinson investe su un grande stabilimento produttivo a 100 km da Parigi. Orbea ammoderna produzione e gestione logistica in Spagna. La startup Mokumono usa dei robot per realizzare telai dalle forme originali nei Paesi Bassi.
Succede persino che aziende asiatiche vengano a produrre in Europa. È il caso di Velocite Tech di Taiwan, specializzata nella produzione di componenti in carbonio; l’automatizzazione dei processi, insieme agli incentivi offerti dal governo belga e dall’Unione Europea, hanno convinto l’azienda a spostare parte della propria produzione nella Flanders Bike Valley, un altro cluster di aziende bici che si sta rafforzando nelle Fiandre. Ha scelto invece il Portogallo Fritz Jou, anch’essa di Taiwan; in Europa produrrà bici di fascia medio-alta.
Ma la lista di aziende che investono in stabilimenti produttivi in Europa non si ferma qui, e comprende anche il gruppo Accell, il gruppo Pon, Orbea, ZEG, Decathlon, Trelock, DT Swiss. E il colosso Shimano, con una nuova sede in Europa e una nuova base logistica a Lione, Francia.
E l’Italia?
L’Italia, con la sua lunga tradizione nella produzione di bici e i suoi eccellenti centri di ricerca specializzati in robotica, potrebbe essere facilmente in prima linea. Non ci pare però che si muova molto, a parte lodevoli eccezioni come la nuova FIVE (Fabbrica Italiana Veicoli Elettrici) inaugurata qualche mese fa a Bologna.
Non c’è però l’idea di unirsi, di formare un cluster di aziende con una strategia coordinata in grado di attrarre nuovi investimenti, come avviene in Portogallo o nelle Fiandre.
Il colpo di coda cinese
Tutto bene, quindi: gli operai asiatici guadagnano sempre di più; gli operai europei tornano a lavorare, seppur affiancati da robot; i produttori possono offrire un’ampia gamma di bici e componenti a consumatori sempre più esigenti. Ma è veramente così?
Il mondo della bici si sta preparando a uno sviluppo che avrà un impatto potenzialmente molto grande: la fine dei dazi sulle biciclette importate dalla Cina, prevista per marzo 2019 (cioè domani, per le grandi aziende che pianificano le loro mosse con anni di anticipo). Al momento la tariffa è pari a ben il 48,5%; se ne verrà confermata la revoca, si darà via libera a un afflusso enorme di biciclette a poco prezzo provenienti dal colosso asiatico.
A quel punto molto dipenderà dai consumatori: vorranno acquistare europeo, continuando a sostenere gli sforzi delle aziende citate in questo articolo? Oppure punteranno semplicemente alle bici con prezzo più basso? Lo scopriremo presto.
Dalla Cina sta arrivando anche un altro trend importante: il bike sharing a flusso libero. Clicca qui per saperne di più.
Buongiorno, interesante articolo, potrei anche sapere i marchi delle biciclette che sono interamente prodotte in Europa. Vorrei comprare una bicicletta (non elettrica) e nonostante ricerche fatte non riesco a trovarla. Si trovano assemblate, commercializzate ecc, ma ancora non sono riuscita a trovarne una interamente prodotta in Italia e in Europa, grazie