Rendere una città più a misura di bicicletta e di trasporto pubblico – realizzando e mettendo in sicurezza corsie ciclabili per chi pedala e preferenziali per chi si sposta in bus, tram e taxi – fa bene alla viabilità in generale e avvantaggia, paradossalmente, anche quegli automobilisti che per partito preso sono contrari a investimenti pubblici non immediatamente associati al veicolo di loro proprietà. Peraltro la costruzione di infrastrutture per fluidificare la mobilità sostenibile – in primis quella a pedali – hanno ricadute positive anche sul mercato immobiliare: una ciclabile ben fatta riqualifica una strada e rende i palazzi adiacenti più appetibili per la compravendita, una zona congestionata dal traffico motorizzato e dalla doppia fila viceversa è deprezzata.
Per questo motivo appare surreale che in Italia, nel 2018 quasi 2019, ci sia ancora chi pensa che la costruzione di una bike lane o l’installazione di cordoli a protezione di una corsia preferenziale possano rappresentare un problema per la circolazione perché “sottraggono posto alle auto”. Nella Capitale del Belpaese, dove il tasso di motorizzazione è tra i più alti d’Europa, la realizzazione delle annunciate bike lane sulle Consolari da parte del Comune ha innescato la reazione scomposta di chi ormai considera normale parcheggiare in doppia/tripla fila e che dopo i lavori in Via Tuscolana non potrà più farlo. Peraltro con argomenti risibili come “la ciclabile aumenta l’inquinamento dell’aria”: sì, avete letto bene, scritto proprio così:
Altre proteste dello stesso tenore anche in Viale Eritrea e Viale Libia, un importante corridoio di mobilità dove l’installazione dei cordoli per proteggere la corsia preferenziale ha fatto inalberare i commercianti di zona, timorosi di perdere la clientela dedita al parcheggio in sosta vietata, ma anche qualche residente che ha additato i cordoli in gomma imbullonati per terra come “pericolosi” per i motociclisti. Per dovere di cronaca, sottolineo che si tratta di materiale omologato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, come ha precisato il presidente della Commissione Capitolina Mobilità Enrico Stefàno:
Ora la questione è molto semplice: una corsia preferenziale ha senso e funziona se rende competitivo il mezzo pubblico rispetto a quello privato, quindi la protezione che ne impedisce l’invasione è necessaria. Soprattutto se questa barriera fisica diventa un ostacolo insormontabile per la doppia fila, eliminandola di fatto: la viabilità nelle nostre città non può e non deve essere ostaggio di comportamenti sbagliati perpetrati da chi considera la strada di sua proprietà per il solo fatto di possedere una macchina. Le preferenziali non protette né monitorate da telecamere vengono sistematicamente invase e ogni tanto ci scappa il morto, come successo poche ore fa nella Città Eterna nei pressi della Bocca della Verità:
Pedoni travolti da un suv a Roma vicino Bocca della Verità. Muore un 72enne sul colpo, gravissima la donna pic.twitter.com/tcpScTONcw
— Local Team (@localteamtv) 7 ottobre 2018
Le buone pratiche a cui ispirarsi non mancano: lo dimostra il progetto appena avviato Handshake, che durerà tre anni, che vede Amsterdam, Copenhagen e Monaco come capofila e modelli di mobilità sostenibile per altre 10 città europee tra cui due italiane, Roma e Torino. Proprio quest’ultima, da città dell’auto che nell’ultimo secolo ha modellato le strade e la viabilità a uso e consumo delle quattro ruote, dovrà necessariamente implementare le azioni per favorire la mobilità sostenibile, come ha recentemente ricordato con un post su Facebook la sindaca Chiara Appendino che sembra intenzionata a imprimere una svolta sulla mobilità, nonostante le inevitabili polemiche legate a un cambiamento che redistribuirà gli spazi a vantaggio di chi sceglie di spostarsi in modo sostenibile:
Favorire la mobilità sostenibile dovrebbe essere un’azione trasversale, indipendente dagli schieramenti politici: purtroppo l’argomento “auto & motori” rappresenta ancora un tabù molto grande e difficile da affrontare, proporre timide riconversioni dai combustibili fossili all’elettrico non risolve il problema maggiore, che è rappresentato dallo spazio che le macchine occupano. Spazio pubblico, spazio di tutti: spazio da restituire ai cittadini, come è successo in Piazza Dergano a Milano poche settimane fa dimostrando plasticamente che un luogo pieno di persone è più piacevole e più vivibile di un parcheggio a cielo aperto.
È vero, le città italiane vivono in un presente ancora troppo legato a un passato in cui l’automobile era al centro di tutto: gli stessi nostri problemi di viabilità e di congestione stradale affliggevano anche Amsterdam e Copenhagen fino a cinquant’anni fa, poi loro hanno scelto di risolvere il problema puntando sulla bicicletta e migliorando la rete del trasporto pubblico, togliendo spazio alle auto e restituendolo alle persone: i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ciclabili e preferenziali, se fatte a regola d’arte e là dove serve, possono cambiare il volto delle nostre città rendendole più sicure e più vivibili per tutti: sappiamo che può funzionare, a patto che il numero di auto in circolazione cali drasticamente. Il futuro non può più aspettare: “bloccato nel traffico” e “parcheggio in doppia fila” sono espressioni che appartengono a un passato, purtroppo ancora molto presente, che dobbiamo necessariamente lasciarci alle spalle.
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