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“Se vuoi cambiare il mondo inizia costruendo una pista ciclabile”. Intervista alla donna che ha cambiato le strade di New York

New York è stata per tutto il XX secolo la città delle città, il luogo che attraverso film, libri e fotografie si propone come modello ispiratore per le città di tutto il pianeta.

Anche oggi la grande mela non rinuncia al proprio primato lanciando sfide a sè stessa per cercare di migliorarsi e aumentare la propria competitività. Una delle operazioni più controverse degli ultimi anni ha riguardato proprio il centro di Manhattan, luogo in cui l’amministrazione guidata dal sindaco repubblicano Michael Bloomberg ha cercato di sovvertire la tradizionale narrazione basata su smog, traffico e rumore.

Il racconto della pedonalizzazione di Times Square e della realizzazione di 640 km di piste ciclabili in 6 anni è contenuto nel libro “Street Fight: Handbook for an urban revolution”, scritto da Janette Sadik-Khan, all’epoca responsabile dei trasporti sotto Bloomberg.

Un viaggio a New York è stato l’occasione per guardare dietro il reticolo di corsie ciclabili e incontrare la persona che ha dedicato la propria faccia al cambiamento, nel bene e nel male.

La Sadik-Khan oggi lavora ancora per Bloomberg, in un bel palazzo dal gusto europeo a due passi da Central Park. La incontriamo in un insolitamente caldo pomeriggio autunnale.

Intervista_Sadik-khan

Paolo Pinzuti: Ci troviamo negli uffici della Bloomberg Philantropies. Mi spieghi di cosa si tratta?

Janette Sadik-Khan: L’azienda di Michael Bloomberg, ex sindaco di New York, detiene la Bloomberg Philanthropies, un’associazione filantropica fondata per offrire consulenza gratuita agli amministratori e ai sindaci delle città di tutto il mondo, per migliorare la vita dei cittadini su nove diversi temi quali trasporti, sostenibilità, digital media, etc.

PP: Perché Bloomberg ha deciso di fare una cosa simile?

JSK: Bloomberg crede fortemente che i sindaci possano cambiare il mondo, per fare questo però necessitano di persone esperte e competenti. Noi offriamo loro assistenza tecnica per aiutarli a migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Il nostro punto di forza è quello di essere diversi dalle solite associazioni filantropiche perché siamo stati recentemente alla guida della città di New York. Sappiamo quali sono le necessità delle città contemporanee, sappiamo cosa non funziona e cosa possiamo fare per rimediare.
Inoltre, non dipendendo dai finanziamenti municipali, possiamo essere completamente onesti con il cliente e non abbiamo alcuna paura di perdere il prossimo contratto.
Quando lavoriamo con le città stiliamo dei contratti in cui ci accordiamo sugli interventi da realizzare, con le amministrazioni comunali che mettono a disposizione le risorse economiche per realizzare le misure concordate. Solitamente avviene tutto in maniera molto rapida. Nella maggior parte delle città restiamo circa due anni.
Ad esempio, a Città del Messico la richiesta era di mettere in sicurezza i 50 incroci più pericolosi della città, qui il nostro lavoro è stato quello di mettere in atto il piano per la sicurezza dei pedoni.
Ogni sindaco con cui collaboriamo ha esigenze diverse e si aspetta da noi soluzioni innovative, qualcosa di differente a cui non è abituato. La richiesta comune a tutti è la rapidità.

PP: Cosa ha imparato dalla sua esperienza alla guida del dipartimento dei trasporti?

JSK: New York è una grande città, conta 8,6 milioni di persone, 6000 miglia di strade, 1,3 milioni di cartelli stradali, 12 mila incroci. Ho imparato che le persone non avevano alcuna aspettativa rispetto alle strade. Pensavano che fossero fatte solo per far circolare velocemente le auto da un punto A a un punto B. Si sono dimenticati di tutte le altre funzioni che una strada potrebbe ospitare.
Quando abbiamo iniziato a realizzare i nostri progetti di urbanismo tattico, convertendo i parcheggi in piazze colorate, tutto questo si è rivelato illuminante per molte persone che non credevano avrebbero mai visto questo tipo di cambiamenti.
Purtroppo, la logica de “le cose sono sempre state così e continueranno sempre a essere così” era imperante. Molte delle nostre strade non sono mai cambiate negli ultimi 50 anni e togliere un po’ di spazio alle auto e utilizzarlo per creare piste ciclabili, corsie preferenziali, piazze, attraversamenti pedonali non è stato semplice.
Le strade rappresentano la quota maggiore di spazio pubblico nelle nostre città e noi l’abbiamo sprecato per così tanto tempo. Abbiamo cercato di guardare allo spazio pubblico in modo creativo, immaginando di dare più opportunità alle persone di spostarsi in sicurezza.
Ci sono state molte reazioni negative e diversi tentativi di bloccare questi interventi, ma se da parte dell’amministrazione c’è una visione, una rapidità di azione e una vera disponibilità di dati incontrovertibili puoi realmente cambiare le cose e ottenere dei successi.

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PP: E qual è la visione?

JSK: New York sta crescendo e continuerà a crescere, per questo abbiamo realizzato il PlaNYC.
Come possiamo accogliere 1 Milione di persone in più che si trasferiranno a NYC entro il 2030 ?
Avere un altro milione di automobili in città non ci renderà una città migliore di livello mondiale, puntare sulla qualità della vita dei newyorkesi è fondamentale.
Riprogettare le strade non significa solo cambiare i segnali stradali, i semafori o le corsie veicolari. La differenza l’ha fatta guardare le strade come spazio per le persone e non solo per le auto.

PP: Abbiamo parlato di pedoni e ciclisti, ma cosa ne pensi delle auto?

JSK: Non sono anti-auto ma sono favorevole ad avere diverse scelte di trasporto. Abbiamo vissuto per 50 anni in un sistema monomodale e oggi non possiamo più permettercelo. Anche la popolazione vuole diversi modi per muoversi e questo ha un impatto molto profondo sull’economia locale, abbiamo visto il fiorire di negozi quando abbiamo creato delle piste ciclabili, eppure i commercianti erano così contrari quando abbiamo iniziato il primo progetto sulla 9th avenue. Dopo aver visto che le vendite sono aumentate del 49%, hanno cambiato idea. Lo hanno fatto perché hanno visto i dati.

PP: E il tema della sicurezza?

JSK: Quando ci sono piste ciclabili, la sicurezza aumenta del 50%, così come con le isole salvagente. Più persone a piedi e in bicicletta rendono più prudente la guida degli automobilisti che devono prestare attenzione ad altri utenti della strada, tipicamente meno prevedibili.
Non è un gioco a somma zero.
Alla fine del nostro mandato abbiamo recuperato circa 73 ettari di strade per riconvertirli a spazi per le persone, che siano a piedi, in bicicletta o su gli autobus. Il traffico era migliorato del 4%. Abbiamo riorganizzato le strade.

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PP: Quindi la soluzione può essere meno auto per le strade?

JSK: La soluzione è meno auto e più scelte di movimento.

PP: Quante auto in meno?

JSK: Dipende, non esiste un’unica ricetta. Un primo passo può essere quello di guardare la dimensione delle strade. Se le strade sono troppo strette, come nei centri città, probabilmente le auto lì non dovrebbero esserci.
Il mondo non finisce quando apri le strade alle persone. Non succede nulla, nessuna catastrofe.
La gente oggi non vuole avere un’automobile, i giovani non vogliono avere un’auto, preferiscono condividerla.

PP: Quale è stata la parte più difficile di fare l’assessore?

JSK: Cambiare la cultura delle persone.
Cambiare la percezione delle persone.
Ognuno dei 8,6 milioni di newyorkesi ha un’opinione diversa su come dovrebbero essere le strade.
Focalizzandoci sulle persone e non sulle strade il supporto dei cittadini è più semplice da ottenere. Non a caso alla fine del mandato abbiamo visto un supporto popolare del 70% e un cambio culturale nella popolazione.

PP: I media erano d’accordo?

JSK: Assolutamente no. I giornali ci hanno attaccato ogni giorno intervistando i tassisti a cui chiedevano “non è terribile tutto ciò?!” e ovviamente la risposta era “Sì, è terribile!”.
Abbiamo visto argomentazioni incredibili come “non puoi fare una ciclabile sulla 1st avenue perché passa davanti al palazzo delle nazioni unite e favoriresti i terroristi”.

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PP: Quali sono le difficoltà che hai dovuto affrontare?

JSK: Lo status quo. La gente non vuole cambiare. Ci sono fette di popolazione molto conservative. Allo stesso modo i media erano veramente difficili da influenzare, i giornali vogliono vendere storie di conflitti. Per questo avere dati certi sul prima e dopo è così importante, per ribattere alle affermazioni false.
I tassisti erano lo zoccolo duro, pensavano che le strade appartenessero solo a loro e hanno vissuto le varie trasformazioni come una vessazione.

Se vuoi cambiare il mondo inizia costruendo una pista ciclabile.

Il tempo a nostra disposizione si esaurisce in fretta. Come è lecito attendersi, Janette deve tornare alle sue mille attività da consulente per i trasporti delle varie città del mondo, mentre noi ritorniamo ai nostri studi sulla ciclabilità newyorkese.

Prima di andarcene, mi regala un libro, intitolato “Climate of Hope”. È scritto da Michael Bloomberg e Carl Pope. Il sottotitolo dice tutto: “come le città, il business e i cittadini possono salvare il mondo”.
Sfogliandolo, la visione diventa più chiara: un ricchissimo signore ha deciso di dedicare il proprio tempo e le proprie energie per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici intervenendo sulle città che saranno sempre più il cuore nevralgico dello sviluppo umano.
Sembra che il suo prossimo passo sarà la candidatura a presidente degli Stati Uniti dopo essere passato dalle fila dei Repubblicani a quelle dei Democratici. Senza entrare nel merito del cambio di casacca, non si può non apprezzare l’impegno profuso su un tema tanto rilevante per le future generazioni.

Vedi anche: Corsi di Formazione in Mobilità Ciclistica per Amministratori, Tecnici e Promotori della Ciclabilità.

Commenti

  1. Avatar Corrado ha detto:

    Qualcuno riesce a far arrivare questo articolo alla Raggi?

  2. Avatar Giacomo ha detto:

    “New York è stata per tutto il XX secolo la città delle città, il luogo che attraverso film, libri e fotografie si propone come modello ispiratore per le città di tutto il pianeta”.

    La città di Robert Moses e delle autostrade che passano in mezzo alla città? New York è un pessimo modello, costruita a misura di automobile. La sua influenza è stata piuttosto dovuta ad un “imperialismo culturale” e ad una iper-rappresentazione nei media e nella letteratura, oltre che a politiche di marketing.
    Se vogliamo parlare di città modello per la ciclabilità non serve andare troppo distanti; basta continuare ad imparare dai Paesi Bassi (e non solo ad Amsterdam nello specifico), da Copenhagen e da Lubiana – solo per citare i casi più famosi. In tutte queste città/paesi sono 50 anni avanti rispetto a New York. Il cambiamento dev’essere radicale, una semplice ciclabile in più non rappresenta nulla.

    1. Paolo Pinzuti Paolo Pinzuti ha detto:

      Questo è un articolo che parla di New York e del suo percorso di cambiamento.

      Se vuoi articoli su Amsterdam, Copenaghen, Lubiana, etc. qui su bikeitalia.it trovi qualche centinaio di articoli.
      Buona lettura (anche di questo articolo che parla proprio di cambiamento culturale).

    2. Avatar i Marco ha detto:

      New York è una città con 8 e rotti milioni di abitanti … riuscire a fare piccoli cambiamenti in cosi grandi città è difficile , ma qui hanno dimostrato che è possibile .
      Nessuna città dei paesi bassi o cmq del nord europa è cosi grande … è un po come quando parlano di Ferrara e Roma , prova a fare le cose che si riescono a fare in piccoli centri allo stesso modo in citta che hanno quartieri grandi come piccole città .
      Se non si considerano le dimensioni delle città è facile chiacchierare .
      Cmq New York tra le grandi città riesce sempre a stupire

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