Qualche giorno fa una segnalazione attira la mia attenzione: alla sede del Ministero del Lavoro in Via Flavia, a Roma, il 16 dicembre 2019 pare sia stato vietato l’ingresso alle bici dei dipendenti per non meglio specificati “motivi di sicurezza”. Anche di quelle pieghevoli e piegate. La cosa mi lascia alquanto perplesso: è mai possibile che alle soglie del secondo decennio del secondo millennio, in una città congestionata di traffico come Roma, un’Istituzione come il Ministero del Lavoro metta i bastoni tra le ruote alla mobilità sostenibile e disincentivi, di fatto, l’uso della bicicletta tra i suoi dipendenti?
In prima battuta scrivo all’Ufficio Stampa del dicastero: comunico che mi sto occupando della cosa e che vorrei conoscere la loro versione dei fatti e, soprattutto, la giustificazione addotta per un provvedimento del genere. In attesa di ricevere la risposta ufficiale protocollata e approvata dal responsabile, ho svolto autonomamente le mie verifiche e sono in grado di comunicare in anteprima ai lettori di Bikeitalia.it che la questione è stata messa all’attenzione di chi di dovere che ha già formulato un’articolata risposta.
Questa risposta dunque mi arriverà – probabilmente dopo le Feste – e mette nero su bianco che sono state già acquistate tre rastrelliere per consentire il parcheggio delle biciclette in maniera ordinata e in spazi definiti all’interno del cortile della sede di Via Flavia a tutti i dipendenti che ne hanno fatto richiesta, ma conferma che in attesa dell’installazione delle rastrelliere “l’accesso delle biciclette è interdetto” per evitare che la loro collocazione “non disciplinata” all’interno del cortile possa essere d’intralcio per il traffico veicolare o possa cagionare “problemi di sicurezza per il personale stesso”.
E per le bici pieghevoli? Al momento non sussistono “divieti espressi”, a quanto mi risulta, ma il Ministero ancora non ha individuato “spazi idonei per il deposito delle bici portatili” ed è per questo che sussiste il problema dell’accesso anche delle pieghevoli/piegate. Mi permetto di far notare che lo spazio idoneo per parcheggiare la bici pieghevole è sotto la scrivania e/o in un angolo del proprio ufficio, perché trattasi di un oggetto poco voluminoso che è stato costruito proprio con questo scopo: essere chiuso e portato laddove le bici tradizionali non riescono a essere collocate.
Questo caso – che spero si risolverà nelle prossime settimane – dimostra ancora una volta che l’approccio generale al tema “bici” in molte amministrazioni pubbliche è ancora trattato come un problema: perché? Se davvero “questa Amministrazione sta attivando tutte le procedure necessarie alla promozione di politiche per la mobilità sostenibile, in un’ottica di sensibilizzazione dei dipendenti di questo Ministero sui temi delle infrastrutture di rete e della diffusione di mezzi di trasporto ecologici, quali la mobilità ciclistica” – come scrive la dirigente interpellata dall’Ufficio Stampa per dare un riscontro alla mia richiesta – è un controsenso vietare l’accesso alle bici da un giorno all’altro ai dipendenti in attesa di collocare le rastrelliere già acquistate nel cortile.
Un paio di note finali, per contestualizzare meglio tutta la vicenda: a me risulta che comunque, nonostante il divieto de facto in vigore per i dipendenti fino a nuovo ordine, almeno un dirigente che lavora presso la sede di Via Flavia del Ministero del Lavoro può accedere con la sua bici a pedalata assistita e la parcheggia all’interno. Per ironia della sorte a poche centinaia di metri da lì, nel vicino MEF (Ministero Economia e Finanza) i dipendenti dispongono da più di quattro anni di docce, spogliatoi e parcheggi bici realizzati proprio per incentivare la mobilità ciclistica.
In attesa che anche nella sede del Ministero del Lavoro in Via Flavia venga ripristinato l’accesso alle bici di tutti i dipendenti che ne fanno richiesta e che le pieghevoli possano essere parcheggiate in stanza, questa vicenda di cronaca dimostra che la bici pur essendo la soluzione al traffico e allo smog continua invece a essere trattata come un problema di sicurezza: cambiare l’approccio è il primo passo per promuovere adeguatamente la mobilità ciclistica. Siamo alle porte del secondo decennio del secondo millennio: diamoci una mossa.
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