La mia esperienza da rider inizia a Brescia lunedì 23 marzo 2020. Mi trovavo affacciata alla finestra di casa ad osservare il mondo silente, una delle poche attività outdoor concessa. Ieri è stata una di quelle giornate che si studierà sui libri di storia: è lockdown per tutto il Paese.
Nella testa pensieri sconnessi e confusi, negli occhi una città duramente colpita dall’epidemia che prova a riprendere fiato. Un ciclista, la ridondante attività della mente viene interrotta: è un fattorino con divisa e zaino sulle spalle. Lo guardo dall’alto con invidia. Adoro andare in bicicletta, ma da oggi non lo posso più fare.
I rider. Mondo che solleticava da tempo la mia curiosità. Ne avevo letto sui giornali in termini di critica, ma io mi chiedevo chi fossero, quali le loro storie, quanti i loro guadagni, dove le loro casa. Era il momento giusto per vederci da vicino. Così vicino da mischiarmici.
Chiudo la finestra, apro il sito di Deliveroo e mando la mia candidatura. Il giorno dopo vengo selezionata e firmo il contratto. Scarico l’applicazione del rider, la sbircio senza troppo impegno e ordino il kit base che l’azienda fornisce a costo zero. Non sono fiduciosa che il pacco arrivi presto visto il periodo, ma sbaglio: dopo pochi giorni ho tutte le carte in regole per iniziare. Prenoto un paio d’ore per la sera stessa.
Alle 19 puntuali faccio login. Il telefono squilla: prima notifica. Ho un sussulto, eppure so come funziona: notifica, ritiro presso il ristorante, consegno dal cliente. Sembra tutto facile, ma sento la paura della prima volta e temo di sbagliare.
Attrezzata di tutto punto, pedalo verso una famosa pizzeria del centro. Devo ritirare due ordini da consegnare nella zona sud della città. Quando arrivo, ci sono parecchi fattorini che aspettano. Io ancora non lo so, ma le attese sembrano lunghe, lo apprendo dai colleghi che si lamentano. Parlano di guadagni buoni, ma di lavoro carente. Sfrutto il momento per alzare le antenne e intercettare tutto quello che posso.
I rider più veterani lamentano le nuove assunzioni. Mi sento guardata con sospetto. Sono nuova e l’unica donna. Uno mi interroga. Dagli accenti pare sia anche l’unica italiana. Rispondo, cerco il loro favore con ironia, ma sono parca di parole, preferisco studiare.
Le mie consegne sono pronte. Tutto pare proseguire liscio: conosco gli indirizzi, individuo facilmente i civici e i clienti si fanno trovare già sui cancellini. Come raccomanda l’applicazione, consegno le pizze senza contatti: lascio lo zaino sull’uscio e il cliente preleva il suo pacco. Riprendo lo zaino, buon appetito e buona serata.
Tutti i timori svaniti, sono gasata per la seconda consegna. Questa volta però fatico a trovare il civico: è un pari, ma si trova sul lato dei dispari. Che beffa. Da lontano sento un fischio: è il cliente che ha notato la mia divisa e il mio faretto che lampeggia a intermittenza. È gentile, tanto che mi lascia due euro di mancia.
Sulla via del ritorno mi affianca un collega. Via Milano è deserta, gli ordini non suonano più. Vuole sapere di me, ma io ne approfitto per soddisfare le mie di curiosità. Ha origini napoletane, abita appena fuori Brescia e fa quel lavoro da poco più di un anno. Prima era disoccupato e faceva lavori saltuari. Consegnare cibo è diventato il suo primo lavoro, ma per viverci presta servizio a due aziende di food delivery.
Si avvicina la volante della polizia stradale e ci fa no con il dito. Siamo in due, a debita distanza, ma no, pare che le disposizioni in città siano severe. Con rammarico lo devo salutare.
I commenti che non rispettano queste linee guida potranno non essere pubblicati