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Vita da Rider | Le reazioni della gente di fronte a un rider

Vita da Rider | Le reazioni della gente di fronte a un rider

Rider. Parola fumosa, indefinita, con la quale siamo costretti a rapportarci ed indentificarci più come categoria dello spirito che come categoria professionale. “Sì, sono un rider”; “Sì, faccio il rider”; “Sei pronto a fare il rider?”; “È arrivato il rider”; “Il problema dei rider”.

Abbiamo già considerato quanto questa forma di lavoro sia organizzata diversamente da un classico impiego. È come fare entrare a forza il vecchio fattorino nella “gig economy”, l’economia dei lavoretti. E siamo stati scaraventati tutti da esperienze differenti: studenti, ex-camerieri, impiegati. Abbiamo aperto un’app e un giorno siamo diventati rider.

Primo ordine. Arrivo al citofono, trovo il nome del cliente. “Salve Just Eat!”. “Sì, prego: terzo piano”. “Grazie, salgo” e già mi pento del mio slancio di generosità senza pause, dal ristorante su per la salita, fino, dopo una pedalata di cinque minuti, all’indirizzo indicato dall’app.

Ciclisti più assidui di me potranno descrivere l’accortezza nel mettere piede in casa dopo un’uscita in bicicletta. Sudato, mi appresto ad aprire il borsone, mettendolo sul pianerottolo di fronte alla borsa. “Si sarà accorto del mio sudore? Avrà notato il residuo di grasso sui polpastrelli? Sa che mi sono portato i suoi chicken-nuggets sulla schiena? Sarà indulgente rispetto alla bibita sversata?”.

La riconoscenza per lo sforzo è quello che bramiamo. Porgo i pacchetti accennando ad un sorriso sotto la mascherina. In questo fortunato caso la transazione è già fatta tramite app e non dovrò aprire la tasca dei contanti per dare il resto. La cliente, contenta dell’arrivo della consegna, allunga la mano destra afferrando il cibo e con la sinistra avanza una moneta: due euro di mancia! Un cordiale “grazie”, accompagna il rapido scambio: posso considerarmi soddisfatto.

vita da rider consegna al portone

La consegna al piano non è la regola, bensì una consuetudine dettata forse dalla speranza di ottenere una lauta mancia. Il cliente inoltre non sa se sono arrivato in bici, in macchina o in motorino. Reagisce alla gentilezza e come “rider” o meglio come ragazzo delle consegne, ti ripaga, di solito positivamente di essere arrivato fino alla soglia della sua casa. Ma le misure anti-Covid ci obbligano a essere circospetti e distanziati. Spesso il cliente chiede di mettere la consegna nell’ascensore. Nessun contatto, nemmeno visivo. I ritmi sono serrati e dobbiamo passare all’ordine seguente.

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Secondo ordine, stessa tratta. Il ristorante è molto richiesto sull’app e per arrivare a quella parte della città si deve per forza passare dalla stessa via, affiancati dal flusso delle auto. Mi fermo ad un portone. Suono e questa volta il cliente mi informa: “Sto scendendo”. “Bene”, penso e non faccio in tempo di legare la bici ad un palo e l’appoggio affianco al portone.

Il cliente è anche lui sorpreso piacevolmente e si manifesta subito come un ciclista. “Sei venuto in bici?”, mi domanda festoso. “Sì, mi tengo allenato”, mi giustifico quasi. “Bravo”, mi risponde, accennando al fatto che anche lui vorrebbe poter scorrazzare liberamente in città a qualunque ora: ed è il gesto di incoraggiamento che cercavo per arrivare in fondo al mio turno.

vita da rider attesa fuori dal Mc Donald's

E pensare che ho iniziato la serata con gli sguardi dei miei vicini di casa che si domandavano: “Ma che si è messo a fare sto disgraziato?”. L’avversione sembrava crescere quando arrivato al ristorante gli altri rider motorizzati parevano domandarsi: “Ma chi è sto pazzo? Chi glielo fa fare?”.  Ma arrivato alla fine non mi importa. Come ogni bravo ciclista sono un gregario: mi avvicino all’angolo dove si radunano gli altri rider scambiandosi consigli e raccontandosi i percorsi fatti. “Ciao, anche tu consegni in bici?”.

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