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Bikepacking da Tokyo a Kyoto: il mio indimenticabile viaggio attraverso il Giappone

Non è la prima volta che viaggio in bici, portando con me solo lo stretto necessario che riesce a stare nel bikepacking. Così come non è la prima volta che viaggio da sola in un paese straniero. Ma prima di decidere di visitare in bici il Giappone ci ho messo quasi un anno. Per me era una mèta speciale, una sorta di cerchio che si chiudeva attorno alla mia vita.

Il Giappone non solo è una terra affascinante, che unisce la più grande innovazione tecnologica al misticismo, l’apertura verso il futuro al grande rispetto di tradizioni del passato. È anche un Paese che rappresenta la mia adolescenza. A 17 anni, inconsapevole di tutto, decisi di partire per un viaggio studio di qualche mese a Tokyo, compiendo un viaggio che mi avrebbe completamente cambiato la vita. Un’esperienza forte, che da allora non mi ha più permesso di tornare per paura di trovare un Giappone diverso da come l’avevo vissuto e rimanerne delusa.

Giappone in bici magome Caterina Zanirato
Magome, crediti Caterina Zanirato

Ho aspettato quindi di cambiare anch’io, di diventare grande per “ri-conoscere” un Paese che mi aveva già stregato da adolescente con una testa diversa. E in modo diverso. Prima avevo conosciuto solo Tokyo, ora invece ho voluto attraversare il Sol Levante in bici, percorrendo la Nakasendo Road, l’antica strada feudale che collegava Tokyo a Kyoto.

Il Giappone lungo la Nakasendo Road: da Tokyo a Kyoto

Ho attraversato paesini di montagna, rurali e poco popolati, per scoprire un volto diverso da quello delle grandi metropoli, assaporare il ritmo lento delle tradizioni giapponesi e dei suoi rituali, mettermi alla prova davanti alla cultura più profonda di un paese che affascina, ma mantiene sempre un velo di mistero sulla sua intimità.

Non ho lasciato nulla al caso. Ho scelto di partire il mese di novembre per poter vedere lo spettacolo del “Momiji”, ovvero i colori del foliage autunnale, che in Giappone si accendono di toni così brillanti da lasciare senza fiato.

E ho pianificato la traccia per tempo. Mi sono informata (a fatica, perché non esiste nulla in lingua italiana) su dove passasse la Old Nakasendo road, per toccare tutte e 69 le città postali che la compongono e percorrere i suoi 650 km e 6.600 metri di dislivello.

Si tratta infatti di una strada creata nel periodo Edo, l’epoca feudale giapponese che va dal 1600 circa al 1850. Collegava Kyoto, sede del potere imperiale a Edo (l’odierna Tokyo) passando per le Alpi Giapponesi. Una strada storica in alcuni tratti conservata come era allora, sterrata e ciottolata, in altri ricostruita. Toccava i villaggi dove il popolo poteva spedire le proprie comunicazioni grazie al grande via vai di signori feudali e samurai lungo il percorso.

La partenza da Tokyo

Sono partita all’alba del 5 novembre da una Tokyo ancora addormentata (il sole sorge molto presto in questo periodo, verso le 5.30) con l’emozione di attraversare una metropoli vuota e spenta, illuminata solo dal cielo rosa. I primi 130 km sono corsi via veloci, perché quasi tutti in pianura e lungo argini dove gli studenti si danno appuntamento per giocare a baseball. E qui ho scoperto la prima grande verità: potevo portare con me la metà delle cose. In Giappone, infatti, ogni km al massimo c’è un combini, ovvero un family market aperto h24 che vende di tutto: dal caffè ai dolci, dal pasto caldo all’acqua, dai guanti alle mutande.

Dopo circa 70 km si tocca il primo villaggio postale conservato storicamente, Kawagoe: templi, strade ciottolate, vecchie botteghe artigianali di legno… Tutto fa ritornare al periodo Edo. E dopo altri 50 km di argini e piste ciclabili (il Giappone è davvero un paese bike friendly) sono arrivata a Takasaki, il paese che ha dato i natali alle bambole Daruma (quelle tonde con un occhio solo, che si dipingono per far avverare i propri desideri e poi si bruciano nei templi).

La seconda tappa del viaggio in Giappone

Dalla seconda tappa ho iniziato a salire e sono iniziati i panorami montani, le foglie colorate e anche i primi imprevisti. Per raggiungere Saku, la storica Nakasendo si scosta dalla strada per attraversare un passo di montagna su sterrato. Ovviamente ho seguito la traccia, che mi ha portato in una salita di 8 km prima su ghiaia e poi interamente ricoperta di foglie colorate che mi ha tenuto a bocca aperta per la meraviglia. Gli alberi di acero in Giappone raggiungono una tonalità di rosso che è impossibile da immaginare, soprattutto se contrapposto al giallo delle piccole foglie a ventaglio di Ginko, che cadono fluttuando nell’aria: si viene trasportati in un attimo in un mondo fantastico di colori, tale per cui è stato coniato il termine “Momiji” ovvero il rosso delle foglie autunnali, una bellezza effimera che dura meno di un mese, ma che sa accendere di incanto intere foreste.

Giappone in bici crediti di Caterina Zanirato 2

Presa dalla bellezza ho notato la fatica solo dopo gli 8 km di salita. “Dai che tra poco inizia la discesa”, pensavo tra me e me. Peccato, però, che in cima ci fosse un cartello di strada chiusa al traffico per pericolo frane. Anche per le bici. La mia gioia, quindi, è svanita in un attimo: ho dovuto scendere da dove ero salita, trovare una strada alternativa, e risalire. La strada più vicina era una statale, molto trafficata: seppur ci fosse sempre una bike lane per i ciclisti, l’aria spostata dai camion e dalle auto ad alta velocità mi ha fatto perdere tutta la meraviglia della natura fino a Saku. E ho percorso 100 km al posto di 70, con 1600 di dislivello. Ed ecco un altro grande insegnamento: prima di partire fare sempre una e-sim per poter usare i dati del cellulare, in modo da consultare google maps in quasiasi luogo. Io ho usato Aloo, servizio semplice ed economico.

La terza tappa: due passi di montagna

Il terzo giorno fortunatamente è andata meglio, seppur con molta fatica (80 km con 1600 di dislivello). I due passi di montagna che ho oltrepassato per raggiungere il lago di Suwa prima e Shoiojiri poi erano entrambi su sterrato. Immersi in una natura fantastica e senza auto, in qualche tratto si sono rivelati molto ostici tanto da dover ricorrere al “portage”.

Alla fatica si è aggiunto anche il pericolo orsi, ben segnalato sui sentieri al principio dei quali si mette sempre una campanella da suonare per spaventare gli animali. In questo tratto ero completamente sola e ho imparato bene a fare i conti con me stessa, dosando la mia fatica e parlandomi da sola per tirarmi su di morale, incitandomi a non mollare a qualche km dalla fine e a concentrarmi passo dopo passo sul presente. Ho affrontato salite molto pendenti sotto a una pioggia di foglie colorate, ma il vero colpo di scena è arrivato quando sono giunta a Shojojiri: ho scoperto che era la “città del vino” giapponese. Ogni curva nascondeva una cantina dove poter degustare dell’ottimo vino: un vero toccasana per la mia golosità e per la mia curiosità enogastronomica.

Quarto giorno: la Valle del Kiso

verso il kiso Giappone in bici di Caterina Zanirato
Verso il kiso – Giappone in bici, crediti di Caterina Zanirato

Il quarto giorno sono entrata nella valle del Kiso, percorrendo circa 80 km. E dopo poco sono arrivata in una delle più belle e meglio conservate città postali della Nakasendo: Narai-juku. Per la prima volta ho trovato dei turisti intenti a visitare questo paese interamente di legno, composto da circa una cinquantina di edifici che oggi ospitano musei, templi, caffè e ristoranti. Mi sono fermata a fare la mia seconda colazione con un ottimo gohei mochi. Si tratta di un dolcetto di pasta di riso che è la specialità della zona. Poi mi sono apprestata ad attraversare uno dei passi più duri, interamente su sterrato.

È stata una bella sfacchinata. In qualche tratto ho spinto la bici, ma la meraviglia è stata tanta: ho attraversato boschi di bambù, pampas, ponticelli sospesi sui torrenti… Dalla discesa, sono entrata nel cuore della Nakasendo, dato che ogni villaggio era una città postale: Yabuharajuku, Miyanokoshijuku, Fukushimajuku, fino ad arrivare ad Agematsu, dove avevo prenotato un ryokan con tanto di Onsen. Le onsen sono le terme giapponesi: molto diffuse, dato che la cultura del bagno caldo dopo la doccia fa parte del loro quotidiano. Piccolo avvertimento: se siete tatuati, e ci sono altre persone dentro, non vi fanno entrare perché non è visto di buon occhio. Fortunatamente ero completamente sola e, pur avendo la schiena completamente tatuata sono riuscita a godermi lo spettacolo delle montagne al tramonto immersa nell’acqua bollente.

Lo spettacolo di Nagiso, Okuwa, Tsumago e Magome

Il quinto giorno è stato il più spettacolare: ho attraversato le città postali più conosciute e meglio conservate, ovvero Nagiso, Okuwa, Tsumago e Magome, percorrendo passi di montagna mediamente semplici anche se sterrati (molto battute dai turisti a piedi e quindi non mi sono mai sentita in pericolo).

Ho visto dei panorami spettacolari grazie alla contrapposizione di colori che solo la natura giapponese sa dare, mi sono imbattuta in alcune scimmiette e ho preso il coraggio per lanciarmi nelle discese di pavé nonostante le numerose vibrazioni. Questi paesi sono davvero ben conservati e tutelati: mulini ad acqua, nessun cavo elettrico, templi che accolgono i pellegrini, sale da the in mezzo alla montagna… Arrivata ad Ena, dopo circa 80 km, però, la fatica si è fatta sentire. Sono riuscita a malapena a fare una lavatrice e sono crollata a letto alle 9 di sera.

tsumago Giappone in bici crediti Caterina Zanirato
Tsumago Giappone in bici crediti Caterina Zanirato

Le prove da superare e le soddisfazioni

Come in ogni favola, arriva sempre il momento in cui si devono superare alcune prove. Il sesto giorno da quando mi sono svegliata a quando sono andata a letto ha piovuto sempre. Per fortuna ero tecnicamente preparata: ho indossato due antipioggia per la parte alta, uno per i pantaloni, copri scarpe e guanti in neoprene. Ogni due ore facevo una pausa nei combini per scaldarmi e poi ripartivo.

La grande quantità di acqua ha ovviamente rovinato i panorami. Ma non mi ha tolto la soddisfazione di arrivare all’ufficio turistico di Unumajuku e scoprire che sono stata la prima non giapponese ad aver percorso l’intera Nakasendo Road in bicicletta. Un anziano signore era così entusiasta che mi ha fatto un’intervista da inviare all’ufficio turistico centrale, regalandomi una targa in legno di riconoscimento. La mia giornata si è conclusa a Gifu dopo un centinaio di km, città davvero signorile con tanto di castello e templi altisonanti. Tutto mi stava a indicare che Kyoto era sempre più vicina.

Kyoto, meraviglioso traguardo

Ed ecco finalmente l’ultima tappa, i 150 km che mi hanno portato a Kyoto con spirito trionfale. Mi sono svegliata all’alba, entusiasta come non mai e prima ho salutato l’ultimo passo di montagna. Poi ho accarezzato le sponde del magnifico lago Biwa (dove di punto in bianco sono tornati i bar e le attività commerciali del Giappone moderno). Ho fatto tappa nella città postale di Omihachiman, incrociando le prime ragazze vestite a festa in kimono.

E infine, giù, con 20 km tutti in discesa, verso la città che fino al 1850 è stata la capitale del Giappone e ancora oggi conquista tutti per la sua signorilità e i suoi templi altisonanti.

La traccia del percorso

Per ripercorrere il viaggio in Giappone di Caterina Zanirato potete utilizzare le sue tracce su komoot

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Commenti

  1. Avatar Cate ha detto:

    Che figata pazzesca! Ottima scelta e complimenti!

  2. Avatar Giuseppe ha detto:

    Davvero complimenti, grazie per aver condiviso il diario di viaggio.

  3. Avatar Mattia Frigeri ha detto:

    Ciao, complimenti! Il link della traccia però rimanda al tuo profilo e non alla traccia… lì non si riesce poi a ritrovarla senza scorrerle tutte… :D

    [Non c’è un’unica traccia del percorso ma sono suddivise: sull’account indicato si trovano tutte, abbiamo modificato la dicitura del link nell’articolo – Bikeitalia.it]

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