Mi presento, sono Omar Gatti. Molti di voi già mi conoscono, scrivo su Bikeitalia e sono il direttore della scuola di formazione. Inoltre lavoro come biomeccanico. Ma c’è un aspetto che non ho mai raccontato ed è il perché, dopo averlo scoperto, non riesca a smettere di viaggiare in bici. E dato che “la felicità non diminuisce se condivisa”, ho deciso di raccontarlo.
Immaginate di trovarvi su un’isola nel mezzo del Mediterraneo, la prima settimana di Maggio. Di pedalare sotto un cielo plumbeo e minaccioso, con un vento freddo che soffia irrimediabilmente davanti a voi, mentre salite con il rapporto più corto i ripidi tornanti che portano al passo che vi farà valicare il monte. E che all’improvviso, inaspettatamente, cominci a nevicare. E che abbiate solo un antivento con un lieve strato di pile all’interno per coprire la tenuta estiva. E che dobbiate superare i restanti 500 metri di dislivello sotto una neve sferzante ma che, nonostante questo, riuscite ad andare avanti e raggiungere il rifugio sulla cima del passo. E trovarlo chiuso. Se questa immagine vi ha scosso il cuore, vi ha emozionato e vi ha fatto venir voglia di pedalare, allora siete malati della stessa mia malattia: la voglia di avventura. Perché quella che vi ho appena descritto è una situazione che ho vissuto davvero a Maggio del 2019, mentre attraverso la Sardegna da Nord a Sud e dovevo scalare il Gennargentu.
Basterebbe questo per far capire quanto sia bello e necessario viaggiare in bici. Perché, come diceva Baricco, “un uomo non è mai finito finché ha una storia da raccontare e qualcuno disposto ad ascoltarla”. Vi faccio un altro esempio. Chiudete gli occhi e immaginate il peggior dolore che abbiate provato alle ginocchia da quando pedalate. Pensate a un coltello nella carne a ogni pedalata, con l’ibuprofene che non fa più effetto e, disperati, vi siate legati un sacchetto pieno di ghiaccio attorno al ginocchio. Immaginate ora che, dopo l’ultima salita, si apra davanti a voi la Praza Do Obraidoro e si stagli nitida la Cattedrale di Santiago de Compostela. E che, presi dalla felicità, vi buttiate per terra con la bici, finalmente liberi dal dolore, consapevoli di avercela fatta. Ecco, a me è successo.
Per questo ho deciso di viaggiare in bici e di pianificare, nonostante la famiglia, il lavoro, gli impegni, l’Università, un viaggio all’anno. Perché viaggiare è la medicina contro l’ignoranza, la xenofobia, la stupidità, è la cura per lo stress e le giornate vuote, per i problemi. Perché la vita vale la pena di essere presa un colpo di pedale alla volta. Perché viaggiare in bici provoca tanti brividi che ci fanno sentire di essere vivi.
Il primo brivido si prova quando blocchi le date sul calendario e che ti fa vedere, anche se mancano ancora dei mesi, il tuo obiettivo così vicino e vivo. Il secondo arriva quando metti in fila tutta l’attrezzatura, la stendi sul pavimento e decidi cosa portare perché è quello il momento in cui realizzi che sì, stai per partire. Il terzo brivido lo hai al primo colpo di pedale, quando nella tua testa dici che ormai è fatta, tocca andare, quando dai la mano al tuo compagno di viaggio, augurandoti che andrà tutto bene. Il quarto brivido lo senti correre lungo la schiena, accompagnato da un sorriso malinconico, quando arrivi e ti giri e vedi tutta la strada che hai percorso, i problemi affrontati.
Io viaggio perché voglio mettermi alla prova, voglio sfidare la mia tenuta, la mia resistenza, la mia capacità di spingere e di sopportare il caldo, il freddo, il sonno, la fame. Perché voglio sentire il caldo sulla pelle, il vento nelle orecchie, perché per una settimana voglio essere e sentirmi leggero, portando solo in necessario. Perché il mondo non lo voglio solo vedere, lo voglio percorrere. Ci raccontano che il mondo là fuori è pauroso, brutto, che si sta bene solo in casa, al caldo, lontano dagli estranei. Ma posso dire che il mondo non è un luogo cattivo e che la natura non è crudele, è solo la natura e ci si deve adattare. Pedalare con un caldo torrido da dover infilare la testa in un abbeveratoio per mucche o con la pioggia così fitta che taglia la faccia o con il vento contro che soffia a ondate e che ti sbatte contro il guard-rail. Sono tutte cose che meritano di essere vissute.
Per questo e per altri mille motivi ho deciso di viaggiare in bici. Perché di vita ne abbiamo una sola e non facciamo nulla per ricordarcelo a sufficienza.
Perchè la bici?
Per essere parte del viaggio e non un “banale” spettatore come quando andavo in moto.
Le persone purtroppo si preoccupano troppo, quale bici, quale borse, cosa mangiare,dove dormire, quale materasso, quale tenda etc.. non capiscono che bisogna partire e provare, poi si aggiusta il tiro picchiando la testa .
Io sono 2 anni che vado in bici, lo scorso anno ho fatto di quelle “detonate” per poco allenamento e pessima gestione di cibo che c’è da riderci sopra…
Quest’anno mi son fatto il primo viaggio “serio” 5300 km in 2 mesi tra Spagna e Portogallo , sorvolando l’adattamento iniziale , di problemi ne ho avuti qualche giorno per il caldo torrido.
Insomma, chi non risica, non rosica! come dici tu, la vita è una!
Ottimo articolo.
Sono al momento più curioso che “pronto” ad affrontare un giro lungo giorni, sono infatti “fermo” mentalmente al discorso cibo.
Nel senso, come ci si alimenta in gite di giorni e giorni? Ci si porta cibo da casa? Immagino si sia molto lontani dai 90g carbs/orari e che non si vada avanti a quintali di gel ma neanche che ci si fermi al ristorante 2 volte al dì ne che un panino basti.
Grazie a chiunque mi possa delucidare, magari con esperienze personali.
Solo due parole: “Grande Omar”!
E’ una scelta che ammiro molto e che farei anch’io se il mio ragazzo non fosse molto pigro
grazie per questa condivisione. mi è piaciuto leggerla. buon viaggio!