Le elezioni comunali e la campagna elettorale più pecoreccia e bassa della storia sono finalmente alle spalle e, finito il tempo delle promesse, è arrivato quello di rimboccarsi le maniche.
Alla luce delle considerazioni fatte in un precedente post (Milano, Bologna, Torino, Roma: un bilancio di fine mandato), personalmente posso dirmi più che soddisfatto dei risultati dei ballottaggi, non tanto per questioni ideologiche o di appartenenza partitica, quanto piuttosto perché (è sicuramente una coincidenza) chi si è presentato con una visione nuova della mobilità è stato premiato mentre chi ha continuato con la solita prona accettazione della realtà è stato punito. Al di là delle noiose diatribe sullo spostamento dei voti, quello che rileva soprattutto è un grande rinnovamento tra coloro che andranno a sedere nei vari consigli comunali e un sostanziale abbassamento dell’età media.
La generazione Ryan Air al potere.
Se da un lato è vero che l’abbassamento dell’età media può essere sinonimo di inesperienza, è altresì vero che giovane età significa anche mancanza di preconcetti, coraggio, capacità di innovazione e, si spera, una visione differente. Chi oggi ha 30/40 anni, infatti, fa parte di quella che da più parti viene definita la “generazione Erasmus” o “generazione Ryan Air”. Chi oggi ha 30/40 ha spesso avuto modo di viaggiare in lungo e in largo per l’Europa per scoprire che esistono modi diversi di spostarsi, che la storia per cui bisogna fare spazio alle auto nelle nostre città per dare da mangiare agli operai della FIAT non regge più e che non esiste modo più stupido di trascorrere il proprio tempo se non bloccati in un auto in mezzo al traffico dove non si può lavorare, non ci si può rilassare, non si può studiare, non si può stare coi propri cari ma ci si può solo dedicare al “piacere della guida” che non fa altro che creare diseconomie.
Chi però, a partire da lunedì, è stato chiamato ad amministrare le nostre città, deve avere ben chiaro in mente una cosa: quanto visto girando per Copenhagen, Amsterdam, Valencia, Parigi, Amburgo, etc. non è frutto solamente di una visione, ma soprattutto di precise allocazioni di budget. Sì, perché, vedete, se in altre parti d’Europa si usa la bicicletta invece che la macchina per spostarsi in città non è perché gli altri sono nati con il gene della ciclabilità nel sangue che a noi Italiani non è stato dispensato, ma perché altrove si creano le infrastrutture (ovvero non è che esistono già per creazione divina) per mettere in sicurezza gli spostamenti delle persone.
Quando si parla di infrastrutture non ci si riferisce alle sporadiche ciclabili interrotte, magari ricavate sui marciapiedi o di fantasmagorici interventi calati dall’alto per “cambiare tutto per non cambiare nulla”, ma, piuttosto, di reti pensate sulla base delle esigenze dei cittadini per mettere in connessione i poli attrattori, i punti di interscambio, e tanta, tanta moderazione del traffico.
I soldi per la ciclabilità ci sono.
Sulla base di questa logica, le città di tutto il mondo stanno facendo a gara a chi riuscirà a rendersi maggiormente a misura di bicicletta: Atlanta negli Stati Uniti ha deciso di allocare un miliardo di dollari nei prossimi 25 anni per questo obiettivo, Parigi destinerà 150 milioni di euro entro il 2020, Londra destinerà invece 164 milioni di sterline entro il 2020, Copenhagen alloca 15 milioni di euro ogni anno per i progetti ordinari sulla cilabilità (a cui si aggiungono quelli straordinari) e mi fermo qua per carità di patria.
Nel corso dell’ultima tornata elettorale tutti i vincitori hanno ben evidenziato l’importanza dell’uso della bicicletta nella propria visione futura di città. Adesso che si è passati dalla campagna elettorale alla pratica, quello che tocca fare è mettere il naso nel bilancio comunale e trovare i fondi per trasformare in realtà questo bel sogno.
E non salti in mente a nessuno di uscirsene con la solita storia del “maledetto patto di stabilità che ci impedisce di spendere i soldi dove vorremmo”: i soldi ci sono, e a dimostrarlo sono le innumerevoli porcate a cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi anni, denari sperperati in progetti utili soltanto agli amici degli amici o, nei migliori dei casi, a offrire i circenses ai cittadini.
I soldi ci sono e devono essere scuciti a ogni costo perché la ciclabilità, come spiega nel video qui sotto il sindaco di Copenhagen, non è un costo per la città ma un investimento che si ripaga prima di tutto nella riduzione dei tempi di percorrenza e quindi nell’aumento dell’efficienza e produttività della città (poi la salute, il piccolo commercio, la ridotta incidentalità e tutte quelle cose archiviabili alla voce “bikenomics”).
La nostra promessa elettorale.
Nell’arco delle ultime settimane noi cittadini abbiamo ascoltato qualunque spergiuro da parte di chiunque volesse essere eletto, ma adesso è arrivato il nostro turno di fare promesse: cari neosindaci, noi (e parlo a nome mio, della testata su cui scrivo, ma anche dei cicloattivisti di tutta Italia di cui sono certo di interpretare il pensiero) vi promettiamo che vi marcheremo stretto e metteremo in atto qualunque azione legale o illegale che sia per trasformare le nostre città in luoghi a misura di persona. Qualora voleste assecondare questo desiderio, saremo i vostri migliori alleati e vi porteremo in palmo di mano, qualora decideste di opporvi, saremo il vostro peggior nemico per i prossimi 5 anni perché non possiamo in nessun modo permettere che la vita nostra e dei nostri cari sia messa a repentaglio da qualche sbruffoncello che ha la bocca troppo larga durante la campagna elettorale.
Se non sapete come fare a prestare fede alle promesse fatte, abbiamo preparato per voi un evento dove vi faremo raccontare dai più grandi esperti italiani ed europei come realizzare città a misura di bicicletta. L’evento si chiama CosmoBike Mobility, si terrà dal 14 al 16 settembre a Verona e siete caldamente invitati a partecipare e a far partecipare i vostri tecnici comunali.
Nel frattempo, buon lavoro e buona scelta della giunta.
Se mi è permesso vorrei aggiungere un’ ultima considerazione di ciclosofia e vi ringrazio:
dalla globalizzazione è meglio stare lontani: miliardi di asiatici sono globalizzati ad usare l’ automobile; il cinese che oggi va in bici è mal considerato, mentre anche in oriente cresce il mito dell’ automobile.
In generale mi sembra che la globalizzazione globalizzi appunto al 99% ciò che di peggio l’ umanità abbia mai prodotto: la colonizzazione, che sia economica, culturale o demografica, mentre ciò che di più bello ha creato, no: diritti civili, umani… e la bici! Poi se al nord c’è il maltempo infame e pedalano lo stesso si dimostra che non è l’ ambiente a favorire i comportamenti, ma l’ indole, che è come il coraggio, se uno non ce l’ha…Stessa cosa per il fotovoltaico, molto diffuso al nord, meno al sud dove il sole abbonda. Ciao e grazie dell’ ospitalità.
Alex, lo spazio è libero e gratuito, quindi abusane quanto ne vuoi.
La globalizzazione è un dato che non ha, di per sè, valori né negativi, né negativi. Esiste. E in quanto tale porta il contagio delle idee e i costumi da una parte all’altra quindi i cinesi mangiano McDonalds, gli americani mangiano sushi, etc. L’indole, dici, ma l’indole da dove si prende? È insita nel dna o nel territorio? Perché se fosse nel DNA non mi spiegherei come a Copenhagen tutti vanno in bici: bianchi, neri, a strisce e a pois, indipendentemente dalle proprie origini.
Se invece è a causa dell’ambiente circostante, allora vuol dire che se noi replichiamo le stesse condizioni nelle nostre città, allora potremmo avere (col tempo) gli stessi risultati. E la dimostrazione è l’esplosione di ciclisti avuta a Siviglia che è passata da 0,2% a 7% di spostamenti in bici in 5 anni. Perché? Perché hanno messo 420 milioni di euro sul piatto per un piano che va dal 2014 al 2020.
Per cambiare le cose servono due cose: la volontà politica e i soldi. Caccino il grano e avremo i risultati.
Pensa che invece secondo me la globalizzazione non è malaccio, non credo si riduca ai cinesi che comprano le Mercedes dopotutto.
Ho partecipato qualche tempo fa ad un incontro organizzato dalla FIAB a cui erano stati invitati tutti i candidati sindaco per Roma. Parteciparono solo Raggi e Fassina.
Il programma dei M5S è stato praticamente scritto insieme alla FIAB.
Certo Roma non cambierà totalmente in 5 anni, ma si può comunque fare molto. Marchiamoli stretti ma non dimentichiamoci anche di dare risalto a quanto di buono faranno (se lo faranno).
Ciò che di positivo emerge da queste elezioni è la trasversalità dei vincitori, la loro appartenenza a partiti post-ideologici o con una storia personale di attività amministrativa su schieramenti opposti rispetto a quelli con i quali hanno vinto. Bene così, la bici non è di nessuno finalmente lo si capisce. Giustamente puniti quelli che in campagna elettorale si sono apertamente dichiarati contro la bici, perchè anche questo è successo. Resta da chiedersi il perchè della diversa attitudine dei vari popoli europei a vivere secondo stili di vita diversi: direi che non è un problema, meno male che non siamo tutti uguali fatti con lo stampino, altrimenti se si prende lo stampino sbagliato?
Gli esseri umani sono tutti uguali e tutti diversi, così sono i popoli e non esiste stampino giusto e stampino sbagliato. Esistono però strumenti giusti e strumenti sbagliati rispetto agli obiettivi che ci si pone.
L’Italia si è voluta riempire di auto per dare da mangiare agli operai della FIAT. Scelta legittima, ma che ormai non ha più ragion d’essere. Come detto, se alcuni popoli vanno in bici e altri no è perché alcuni popoli hanno le condizioni per farlo, altri popoli non ce le hanno. Ma le condizioni non arrivano per dono divino (nel nord Europa hanno un clima orribile, diciamocelo), arrivano per precisa volontà politica.
Sulla diversa attitudine a stili di vita diversa, Montesquieu e Bodin ne scrissero abbondantemente, ma ben prima che arrivasse l’information technology e quel fenomeno chiamato globalizzazione.