L’inattività fisica è una malattia. Come risolverla?

L’inattività fisica è una malattia. Come risolverla?

Marco ha 34 anni, lavora in un ufficio a Milano ma abita fuori, in un paesino della Brianza. Ogni mattina si sveglia alle 6:30, sale in auto alle 7:00 e percorre 15 chilometri in poco più di un’ora, incolonnato nel traffico che raggiunge la metropoli lombarda. Lavora in zona Garibaldi, in un palazzo di recente costruzione, al settimo piano. Parcheggia l’auto nel parcheggio sotterraneo, prende l’ascensore e sale in ufficio, dove si siede e lavora fino alle 12:00. Riprende l’ascensore e va in mensa, al primo piano, mangia e risale, lavorando fino alle 18:00. Dopodiché ridiscende in ascensore al parcheggio, sale in auto e alle 19:30 è a casa, dopo aver attraversato l’inferno della Tangenziale Nord alle sei di sera. Qui trova la sua compagna, con la quale cena, poi insieme guardano un film sul divano e vanno a letto. In 24 ore Marco ha effettuato più o meno 2000 passi, pari a 1200 metri, cioè 1,2 chilometri. Se vi sembrano tanti, fate conto che il minimo per stare bene dovrebbe attestarsi sui 10.000 passi, cioè più o meno 6 km.

Ma Marco non è un esempio a caso. In Italia il 42% della popolazione adulta non effettua sufficiente movimento. Detto in parole povere, in Italia ci sono (stime Istat 2017) 38.978.311 cittadini di età compresa tra i 18 e i 65 anni, che sono gli anni della cosiddetta età adulta. Di questi ben 16.370.890 non muovono il proprio corpo per il minimo richiesto, cioè almeno 30 minuti cumulativi al giorno. In una giornata di 24 ore, il tempo speso da 16 milioni di persone per camminare, pedalare, correre, non supera i 30 minuti. In sostanza quasi metà della popolazione adulta, che lavora e produce reddito in Italia, ha adottato uno stile di vita totalmente sedentario, proprio come Marco.

Questo quadro poco piacevole emerge da uno studio durato 15 anni su 2 milioni di persone in tutto il mondo, tra cui il nostro paese, riguardante l’attività fisica quotidiana. E’ uno dei più importanti studi sullo stato di benessere e di attività fisica, che ha valutato l’impatto che il movimento ha sulla vita quotidiana di persone di 196 stati diversi. Lo studio, dal titolo “Worldwide trends in insufficient physical activity from 2001 to 2016: a pooled analysis of 358 population-based surveys with 1·9 million participants”, mostra una realtà in cui molti paesi (soprattutto quelli economicamente svilupparti) il movimento sia una componente ormai divenuta superflua nella vita delle persone. Con conseguenze che, sottolineano gli studiosi che hanno curato lo studio, potranno risultare disastrose.

Facciamo un passo indietro e prendiamo un antenato di Marco, all’incirca 195.000 anni fa, quando l’Homo Sapiens ha fatto la sua apparizione su questo pianeta. La sua giornata era ben diversa da quella del suo pronipote Marco: era fatta di lunghe camminate, di salti, arrampicate, di corse per scappare dai predatori e di tanto lavoro manuale. Per questo il suo corpo, nel corso dell’evoluzione, si è strutturato per sopportare tali fatiche: i muscoli si rafforzano e diventano più tonici, le ossa irrobustiscono la propria matrice, i tendini diventano più elastici, il cuore si ingrossa e pompa più sangue, il cervello diventa più resistente. In sostanza il corpo dell’antenato di Marco di 195.000 si struttura per muoversi, poiché il movimento è la base della sua sopravvivenza. Attraverso il movimento migliora il suo stato di salute, acquisisce esperienze, diventa più attento, aumenta le sue capacità cognitive, mnemoniche e attentive.

Torniamo a noi, anzi torniamo a Marco. Lui non lo sa ma è malato. Si sente bene, anche se la pancetta gli da un po’ di fastidio quando è al mare e il suo vicino di spiaggia è un palestrato ma a parte questo ama scherzare dicendo che “uomo senza pancia è come un cielo senza stelle”. Marco è malato di una malattia subdola, che distrutte l’organismo a poco a poco, riducendone le capacità ed esponendolo a patologie come infarto, obesità, diabete, osteoporosi, ipertensione arteriosa, depressione, ansia e molto altro. La sua malattia si chiama inattività fisica e può essere considerata ormai una vera e propria patologia. Marco sta facendo tutto il contrario per cui il suo corpo è “programmato”: lo mantiene fermo, bloccato in posture poco funzionali, sempre seduto e presto o tardi questa abitudine gli presenterà il conto. Come lo farà? In vari modi. Questa è una tabella, presa dal rapporto Istat sulle cause di mortalità non traumatica in Italia:

Come vedete, le prime tre cause di morte sono infarto, ictus e ischemie cerebrali e malattie del cuore. Poi appena giù dal podio troviamo i tumori dell’apparato respiratorio e le malattie ipertensive. Dato per buono che i tumori dell’apparato respiratorio siano dovuti al fumo di sigaretta e all’inquinamento devastante, l’incidenza così elevata di malattie coronariche come causa di morte è strettamente correlata con l’inattività fisica. Se ci muoviamo con regolarità il cuore si modifica, aumenta il proprio volume, riduce la frequenza ma aumenta la gittata (volume di sangue espulso con ogni contrazione), si creano nuovi capillari, i muscoli sono più ossigenati. Ma se non ci muoviamo, il cuore non va incontro a modificazione alcuna anzi peggiora le sue prestazioni, poiché il corpo non migliora ciò che viene ritenuto “inutile”.

In realtà il trend si sta invertendo: le morti per malattie coronariche stanno quasi dimezzando. E’ un bene, direte voi. Sì certo ma la causa non è l’incremento di attività fisica ma il miglioramento o l’aumento delle terapie farmacologiche. In sostanza si muore di meno ma possiamo leggere anche questo dato come “si vive di più da malati”, costretti a prendere farmaci e sottoporsi a interventi chirurgici.

Come potrebbe Marco guarire dalla sua malattia? Esiste una medicina a buon mercato e questa si chiama esercizio fisico. Una review del 2016, dal titolo “Excercise as medicine”, ha analizzato gli effetti benefici che l’attività fisica quotidiana e costante ha su ben 26 patologie croniche come cardiopatie, depressione, demenza, osteoporosi e molte altre. In quasi tutti i casi l’esercizio fisico è risultato un “farmaco” efficace nella riduzione dei sintomi e nella regressione della malattia stessa. Se pensate però che queste siano invenzioni moderne, fatte per vendere più bici o farvi spendere soldi in palestra e che a voi non serva essere “fisicamente attivi”, sappiate che la prima prescrizione di esercizio fisico come medicina risale al 600 AC. Il medico indiano Susruta, nei suoi diari, scrisse “La malattia vola via dalle persone che abituano il corpo all’esercizio regolare”. Nello stesso periodo, il medico cinese Hua T’O, prescriveva il Qi Gong (ginnastica respiratoria) per migliorare la salute dei pazienti. Lo stesso Pitagora, nella sua scuola di Crotone, consigliava ai suoi alunni “la mente rimane chiara nel corpo di chi fa attività: lunghe camminate, corse, lotta e lancia il disco”. Ippocrate, considerato il fondatore della moderna medicina, ha lasciato scritti in cui prescriveva lunghe camminate ai pazienti affetti da tubercolosi. E così via, per secoli. (fonte “The History of Exercise is Medicine in Ancient civilizations”).

Come possiamo combattere questo trend? La risposta è muovendoci di più ma capisco bene che tra il dire il fare ci sia di mezzo un oceano. Per far sì che il movimento diventi una parte integrante della nostra vita dobbiamo renderlo una routine. Nel libro “The power of Habit” lo scrittore Charles Duhigg racconta che per creare una nuova abitudine servano 90 giorni di ripetizione continua, affinché quel nuovo comportamento si strutturi. Fate conto che la percentuale di insuccesso è altissima (si stima che il 90% di chi si iscrive in palestra rinunci ad andarci nei primi 3 mesi). Per riuscire a creare un’abitudine dobbiamo usare una leva interiore, la motivazione intrinseca. Secondo lo studioso Daniel Pink, autore del libro “Drive”, non sono i premi o la paura di una punizione a farci creare nuove abitudini, bensì la spinta interiore a migliorare. Per cui non dobbiamo vedere l’esercizio fisico come un obbligo, bensì come un mezzo per raggiungere la forma fisica e il benessere mentale che desideriamo. Quindi non si deve ragionare in termini di “devo fare movimento” ma di “voglio / ho bisogno di muovermi”. Potete cominciare acquistando un semplice contapassi da polso per vedere quanti passi effettuate al giorno e darvi obiettivi sempre più alti, fino a raggiungere la famosa quota dei 10.000 passi al giorno. Se vi sembra un percorso impegnativo, fate conto che i monaci tibetani affermano che servano 4 ore di meditazione al giorno per un anno solo per iniziare a capirci qualcosa, per cui la difficoltà sta sempre nel punto di vista.

Uno dei metodi più semplici ed efficaci per instaurare una nuova abitudine sta nel sostituirne una sbagliata. Per esempio, uno dei modi per raggiungere la quota di movimento minima e tornare in forma è smettere di andare al lavoro in auto e iniziare a usare la bici. In questo modo il tempo speso in bici non viene sottratto ad altre attività e rimane più facile mantenere alta la motivazione intrinseca.

Concludendo: se siete malati di inattività fisica siete in buona compagnia. Ma ciò non significa “mal comune mezzo gaudio”, bensì è un campanello d’allarme. Se non volete che questa malattia silenziosa si trasformi in una patologia conclamata, dovete muovervi di più. E, come amo dire, la soluzione al vostro problema sta prendendo la polvere in cantina: la vostra bici.

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