I ristoratori cominciano a chiamarmi per nome. Lì per lì sono contenta, ma poi penso che lo facciano perché sia uno dei pochi che riescono facilmente a leggere. Raffaella. Sarà, fatto sta che io mi sento privilegiata.
Una sera ritiro per tre volte in una pizzeria in zona Brescia due. Sono gentili, e io con loro. Al terzo giro il pacco è già pronto. Butto nello zaino e quando sto per inforcare la bici, il ragazzo dietro alla vetrata mi richiama indietro. Mi regala un pezzo di pizza, di quelle alte che vendono a tranci.
Non solo, mi spiega nei dettagli come farla rinvenire nel forno di casa. Sono così esaltata che sulla via di rientro lascio il manubrio, spiego le braccia e mi immagino in un volo. Gravi effetti stupefacenti di una cena regalata. Ho stra-fame.
In un ristorante dove non ho mai ritirato mi aspettano piacevoli sorprese. È uno di quei posti che incanta, in un palazzo storico della città. Oltre il portoncino turchese, alla porta a vetri color dell’ambra si presenta un signore con il pacco che devo ritirare. Sbircio oltre l’ingresso, il ristoratore se ne accorge.
Mi invita all’interno e mi guida nelle due sale, fino al chiostro interno che hanno riempito di piante verdissime. Il pezzo forte del palazzo, mi confida. In effetti sui quattro lati corre un porticato le cui pareti sono affrescate e il soffitto intarsiato. Il ristoratore ha buona favella, mi mostra il bancone dove niente è lasciato al caso. Io vorrei rimanere, sono lusingata di quel trattamento esclusivo, ma devo andare: ho la tempura di gamberi da consegnare e soprattutto non ho legato la bici.
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Anche in una pizzeria del centro dove ritiro spesso, mi accolgono con familiarità. La loro pizza è una delle più richieste: si fa presto a immaginare quanto le attese mettano a dura prova la pazienza dei rider. Una sera di un prefestivo i fattorini che attendono fuori sono davvero tanti. Anch’io mi metto in attesa, ma non proferisco parola.
Il clima è teso, tutti i rider stanno lì in piedi come ai blocchi di partenza: zaino sulle spalle e telefono nella mani, pronti a ritirare le pizze non appena dalla porta d’ingresso viene declamato il loro numero di consegna. Il silenzio permette di ascoltare i rumori dentro la pizzeria, sono carichi di ordini e tutti tirati come corde di violino: il gestore urla numeri e nomi di pizze, il pizzaiolo chiama gli ingredienti alla cucina e ad un certo punto scazzano tra di loro. Io vorrei dispensare elogi per il pane che mi hanno regalato l’altra sera, ma decido di
rimandare il momento delle lodi.
Terminata la consegna, l’algoritmo per tre volte mi rimanda lì, io per tre volte rifiuto, la calca di rider è ancora troppa. Il telefono si zittisce, faccio una pausa in piazza della Loggia. Domani è la festa della Liberazione e il palazzo del Comune è vestito a festa con luci e bandiere tricolore. Sto per scattare una fotografia quando suona l’ultimo ordine: di nuovo la nota pizzeria. Alla fine cedo, ma almeno è un ordine doppio e me lo pagano bene.
Il ristoratore è snervato e, seppur con me sia sempre gentile, non mi piace come si comporta con alcuni rider, ho la sensazione faccia un po’ la voce grossa. Si gira verso di me e ammorbidisce lo sguardo; sottovoce mi confessa che è davvero stanco stasera. Io cerco di avere i miei ordini in punta di piedi e provo a offrirgli parole di incoraggiamento.
A ben pensarci, godere di un pasto caldo a domicilio a qualsiasi ora è un lusso. Un lusso a prezzo tutto sommato accessibile ai più. Resta da chiedersi chi sia a pagarlo. Io di fare il muso duro con i ristoratori proprio non me la sento: aspettare sul retrobottega mi fa guadagnare zero, vero, ma mi costringe a vedere l’altra faccia della medaglia.
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