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Siberia 105, viaggio in bici ai confini del freddo: intervista a Dino Lanzaretti

L’entusiasmo di Dino è prorompente, palpabile persino mentre si parla con lui a 600 chilometri di distanza, viaggia sui fili del telefono e esplode nitido nella sua voce mentre mi racconta la sua recente impresa Siberia 105 in compagnia di Stefano Gregoretti, ultrarunner di lungo corso.


Dino cos’è Siberia 105?

«105 è l’escursione termica registrata a Verkhoyansk, in Siberia. Che è passata dai -65°C invernali ai +38°C estivi. Che come conseguenza ha avuto degli enormi incendi che hanno incenerito 9 milioni di ettari di Taiga. Pedalando nel polo del freddo in inverno e poi percorrendo i fiumi con il paddle in estate intendiamo raccogliere testimonianze su quanto il cambiamento climatico stia impattando queste aree».

L’impresa invernale prevedeva di percorrere i 1.200 km che separano Ojmjakon da Verkhoyansk in pieno inverno. Chilometri che corrono su una strada che se si prova a cercarla sulle mappe online non esiste.

Come avete tracciato la strada?

«Strada? Non esiste nessuna strada lì. Sulle mappe classiche non compare nulla perché si tratta di percorsi battuti su fiumi ghiacciati o piste tra gli alberi che esistono solo in inverno. Il resto dell’anno è tutto un pantano impraticabile. Ce la siamo dovuta inventare noi disegnando il tracciato direttamente sull’app Gaia».

E come è andata?

«Beh, finché siamo rimasti sul tratto di terra ferma è andata bene. Purtroppo siamo arrivati che i fiumi non erano ancora completamente congelati. Cioè capisci che assurdità? Nel cuore dell’inverno lo strato di ghiaccio non è ancora sufficiente per passarci sopra in sicurezza, i fiumi sono ancora aperti e ci sono gli overflow [lo strato di ghiaccio è insufficiente per cui l’acqua si infiltra nelle spaccature e resta sulla superficie, n.d.s.] per cui era impossibile andare avanti».

Per questo avete deciso di interrompere l’impresa dopo circa un mese?

«Non solo. Avremmo dovuto affrontare un tratto sopra gli 800 metri e a quelle latitudini sopra gli 800 metri non ci sono alberi, ci sarebbe mancato il carburante per scaldarci e cucinare. Impensabile pensare di pedalare tutto il giorno con temperature attorno ai -60 gradi e poi arrivare a sera e non avere nulla per scaldarsi. Con gli overflow poi il rischio è dover deviare e spingere la bicicletta nella neve alta fino alla vita. Insomma non c’erano le condizioni per andare avanti».

Perché non avete usato il classico fornello a benzina?

«La benzina sotto i -40 gradi non riesce a funzionare, per questo ci siamo portati la stufa a legna in titanio, per scongelare la neve ed avere l’acqua, per bere e cucinare. Una roba pazzesca che ci ha salvato la vita in quelle condizioni. Considera che in tenda, grazie alla stufa, c’erano ben 20 gradi in più. Tutte le sere dovevamo montare questa cosa in titanio, mettendo assieme i pezzi ed avvitando, spaccare la legna. Un lavoraccio ma vuoi mettere -60 con -35? Quasi i tropici!».

A proposito di mangiare, come ve la siete cavata con il cibo?

«L’esperienza di Stefano è stata determinante, nell’organizzazione dei pasti e non solo. Si mangiava di lusso, come dei principi. Durante il giorno barrette energetiche e la sera pasto gourmet da 5.000 kcal: zuppa di miso al cocco, puré con pancetta come secondo e persino il dolce».

Insomma: come nella tua precedente spedizione in Siberia.

«Lascia stare: lì cucinavo solo roba congelata. Ma sai era proprio una situazione diversa. Il polo del freddo in quel caso l’avevo attraversato non c’ero stato dentro per giorni. E fa una differenza abissale. Ricordo nella precedente spedizione che pedalavo parecchi chilometri al giorno, piazzavo la tenda a lato strada e cominciavo a cucinare, mangiavo mi ficcavo nel sacco a pelo e mi restava anche tempo per leggere. Stavolta invece si faticava per raggiungere a malapena i 30 km al giorno. La giornata, per quanto corta in ore di luce, era lunga di cose da fare. Pedala, monta la tenda, spacca la legna, avvia la stufa, sciogli l’acqua, mangia, dormi. Mai un attimo di respiro».

Sai che noi viaggiatori diciamo sempre che la domanda “ma chi me lo ha fatto fare” non ce la facciamo mai, stavolta invece?

«Stavolta invece me la sono fatta anche con qualche imprecazione. Però poi una pedalata nella luce dell’alba o la sera davanti al fuoco ritrovavo il senso di ciò che stavo facendo».

Ho visto che all’inizio hai avuto dei problemi meccanici e in un video dici che bocci la bicicletta per questo tipo di spedizione. Non è quindi il mezzo ideale per i -60°C…

«All’inizio la mia bicicletta ha avuto dei problemi meccanici seri. I cuscinetti non giravano proprio ed era tutta ingrippata. Abbiamo dovuto smontarla con attrezzi di fortuna, lavare tutto dal vecchio grasso e cambiarlo con uno più efficiente a quelle temperature. Ma non solo questo. Anche così non si riescono a fare più di 40 chilometri al giorno, più la temperatura scende più i cuscinetti fanno attrito e impediscono il movimento. È inversamente proporzionale: più freddo, meno chilometri. Io pensavo perché il freddo stancasse ma invece è proprio la meccanica della bici che non va».

Questi viaggi così estremi secondo te si possono ancora definire viaggi o sono solo spedizioni, ricerca del limite?

«Ma sai sono entrambe le cose. Anche mentre attraversi la Siberia in pieno inverno conosci luoghi e persone. Di scambi con i locali ne abbiamo avuti diversi, con problemi di lingua, ma lo stesso ci hanno aiutato nella difficoltà. Un viaggio, una spedizione: alla fine è la stessa cosa».

Dino Lanzaretti sarà presente alla Fiera del Cicloturismo di Milano (domenica 13 marzo 2022 alle ore 16:30) per raccontarci questa sua ultima, incredibile, spedizione. O viaggio?

[Simona Pergola]

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