Clean Cities è una coalizione di Ong, Think Tank, movimenti di base e associazioni ambientaliste, che vuole convincere le città europee ad avere una mobilità zero emissioni entro il 2030: promuove la mobilità attiva e condivisa. “Per farlo è necessario ripensare il modello autocentrico dentro cui siamo immersi, cioè ridurre il tasso di motorizzazione e riorganizzare lo spazio pubblico”, come sottolinea il coordinatore della campagna Clean Cities per l’Italia Claudio Magliulo, che abbiamo intervistato su Bikeitalia in vista della sua relazione “Linee guida per città a basse emissioni” a MobilitARS, il simposio sulla mobilità del Terzo Millennio che si terrà a Reggio Emilia il 26 e 27 maggio prossimi.
Il lavoro di Clean Cities in che cosa consiste?
Lavoriamo con partner già esistenti per aumentare la sensibilizzazione sui temi che ci stanno a cuore, poi coordiniamo le varie iniziative che sono tante e a più livelli. Recentemente, il 6 maggio, come Clean Cities abbiamo organizzato la giornata europea di mobilitazione per le strade scolastiche #StreetsForKids con oltre 370 eventi in tutta Europa, coinvolgendo comitati di genitori e attori locali. Chiaramente c’è anche un lavoro costante di interlocuzione con le amministrazioni locali e nazionali.
Come fare per convincere a ridurre il numero di auto in città?
Bisognerebbe soffermarsi su un aspetto che ci sfugge: le nostre città non sono emerse dal nulla, con al centro le automobili, sono nate secoli fa con tutt’altra mobilità in mente. Solo recentemente – negli ultimi 60 anni – si sono fatti degli sforzi immani per mettere al centro le automobili e, per farlo, abbiamo smantellato i tram e spinto fuori le persone dal centro, in quartieri-satellite spesso raggiungibili solo in auto. Il problema della congestione delle strade si può risolvere ripensando i nostri sistemi di trasporto ma anche il modo in cui lo spazio pubblico viene allocato.
Eppure qui da noi in Italia ancora diamo incentivi per l’acquisto dell’auto…
Si tratta di un unicum in tutta Europa, che ritengo davvero scandaloso. Quei soldi, semmai, dovrebbero finanziare la riconversione della filiera automotive per produrre autobus elettrici, non utilizzati come incentivo ai cittadini per l’acquisto di auto private. Come Clean Cities, insieme al Coordinamento Associazioni e Movimenti Cicloattivisti e Ambientalisti, abbiamo proposto che venga istituito un fondo presso il MIMS per finanziare schemi di rottamazione a livello cittadino: due auto inquinanti contro un’auto elettrica; un’auto inquinante contro un abbonamento pluriennale al trasporto pubblico e ai servizi di sharing mobility per tutta la famiglia.
Noi ormai siamo a un punto di non ritorno, in cui è arrivato il momento di accelerare molto il passo: ci sono amministrazioni che si ritengono avanzate e progressiste perché pensano di ridurre le emissioni di CO2 del 40% entro il 2030. Per noi, come Clean Cities, devono invece arrivare a zero. La sfida principale della nostra generazione resta quella climatica.
Adesso, con i fondi del PNRR, è possibile finanziare la transizione verso una mobilità meno inquinante?
Sì, ma va fatto con criterio. Per una mobilità urbana a zero emissioni non basta riempire le strade di colonnine di ricarica per le auto elettriche, bisogna ridurre il parco auto cominciando da quelle più inquinanti, senza dimenticare che un forte focus sul tema riguarda le infrastrutture pesanti. Senza una rete efficiente di trasporto pubblico è difficile spostare le persone sui mezzi pubblici: i fondi del PNRR per la mobilità urbana andranno quasi esclusivamente a finanziare queste infrastrutture, che però vanno progettate e realizzate in ottica intermodale e pensando all’obiettivo zero emissioni al 2030, il che significa sostituire l’uso dei veicoli privati.
Venendo al tema del tuo intervento a MobilitARS: perché realizzare Zone a Basse Emissioni?
Al momento in Italia ce ne sono davvero poche. All’estero esistono stop temporanei per determinate categorie di veicoli che stanno funzionando bene, lo dimostra l’esperienza di Parigi, Amsterdam e Bruxelles. A Londra la congestion charge di 15 sterline al giorno costituisce un forte disincentivo per i mezzi inquinanti. Le Zone a Basse Emissioni costituiscono uno strumento importante per stabilire una sorta di perimetro all’interno del quale certe categorie di veicoli, a tendere, non potranno più circolare.
Come possiamo realizzarle anche in Italia?
L’importante è la chiarezza nella comunicazione da parte del decisore politico che vuole intraprendere questa strada: la cosa peggiore che un sindaco possa fare è mettere in atto un piano del traffico senza comunicarlo adeguatamente ai cittadini, perché quando si producono delle restrizioni si limitano le opzioni a disposizione e i cittadini devono essere preparati al cambiamento, in modo tale da poterlo metabolizzare e accompagnare, non subire.
Ci vuole più coraggio da parte della politica?
Sì, senza dubbio: è finito il periodo dei programmi-pilota, bisogna passare dalla sperimentazione alla realizzazione permanente. Se il cittadino sa che stai costruendo l’alternativa e gli dai gli adeguati strumenti per cambiare, lo farà. Il fattore tempo è fondamentale: bisogna avere un cronoprogramma e il coraggio politico di affrontare la questione. Con le politiche di corto respiro legate solo alla prossima scadenza elettorale non si va avanti: bisogna iniziare una trasformazione profonda che poi, sul medio-lungo periodo, darà i suoi frutti. E comunque in 4 anni, se si vuole, si possono fare tante cose e dare il via a importanti processi di cambiamento.
Ma il 2030, che sembra lontano, in realtà è dietro l’angolo…
Sì. Oggi la sfida che le città si trovano ad affrontare è di spostare le persone dalle auto verso forme di mobilità attiva e sostenibile. Non basta avere il sostegno solo di quelli che già sono convinti che bisogna impegnarsi in questo senso: bisogna cominciare a convincere quelli che adesso non ci stanno neanche pensando, farli entrare nell’ottica.
Forse i cittadini sono già disposti a cambiare, ma ancora non lo sanno: è così?
Un sondaggio YouGov che abbiamo commissionato nel 2021 ha confermato che l’84% dei cittadini delle città italiane intervistate voleva città più verdi, con più possibilità di muoversi a piedi, in bici e con il trasporto pubblico. Se oggi il cittadino medio prende la bici solo la domenica, da domani deve avere la possibilità di andare al lavoro in bicicletta, oppure con la bici pieghevole sfruttando l’intermodalità del trasporto pubblico. Ho vissuto un anno ad Amsterdam e lì andavo tutti i giorni in bici al lavoro, che era distante 15 chilometri: arrivavo in poco più di mezz’ora grazie a una rete di infrastrutture ciclabili continua e connessa. Questo è l’obiettivo verso cui dobbiamo tendere. Le città italiane sono più indietro delle loro controparti europee, ma sappiamo che la maggioranza silenziosa dei cittadini italiani – intrappolati ogni giorno nel traffico delle città – vogliono cambiare il modo in cui si muovono. Bisogna metterli in condizione di poterlo fare.
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