Ci sono domeniche che passano via anonime, tra faccende domestiche, giochi e ritmi lenti, e poi ci sono domeniche che rimarranno impresse nell’anima e nel cuore per sempre. Domeniche epiche.
L’ultima è stata una di queste.
Si perché Pogačar ha riscritto, per l’ennesima volta, un nuovo pezzo di storia del ciclismo e in quella storia c’ero anche io e mio figlio Emanuele.
Non a bordo strada purtroppo, ma comunque lì, seduti fianco a fianco sul divano, incollati allo schermo, tifando i nostri eroi; Pogačar e MVDP su tutti.
Sono i corridori che amo di più, che nomino più spesso e per riflesso sono diventati gli idoli di mio figlio, insieme a Marco Pantani, che per un romagnolo che ama la bici è una sorta di padre spirituale.
Proprio nell’anno in cui Pogačar “rompe” il record di Marco di quel magico 1998, in cui il Pirata vinceva nello stesso anno Giro e Tour. Quest’anno la storia la riscrive Tadej, ennesimo capolavoro di un fuoriclasse capace di far tornare migliaia di persone a seguire il ciclismo.
Accendiamo la Tv ai -110 dal traguardo, “tanto la gara esplode nei km finali”, ma giusto per vedere come va la corsa, poi spegniamo e andiamo a giocare. Questa era l’idea, ma dopo qualche km, mentre ci prepariamo per uscire, scatta Tadej.
C’è un attimo di silenzio surreale, esterno i miei pensieri istintivamente e a voce alta, “ma cosa fa, non può partire a 100 km dal traguardo”, Emanuele che farà 6 anni a dicembre, mi guarda e mi chiede, “Babbo ma quello con la maglia verde è Tadej Pogačar?”
L’ultima volta che abbiamo visto una gara insieme Tadej era vestito di giallo, a un bambino certi dettagli non sfuggono mai.
Alziamo il volume della tv ed entriamo in uno stato di euforia e tifo da stadio, ci lasciamo andare a qualche urlo di incitamento per Tadej, ma continuo a pensare che su un percorso così duro e con nazionali e avversari fortissimi alle sue spalle questa volta abbia esagerato.
Passano i km e il suo vantaggio sugli inseguitori rimane costante, ma non da garantire la vittoria, così rompiamo la tensione con una merenda per poi concentrarci sugli ultimissimi km.
Essere consapevoli di assistere a un momento che rimarrà sui libri di storia del ciclismo non è una sensazione nuova quando si guarda una gara in cui corre Pogačar, ma questa volta è diverso perché sto fotografando nell’anima questo momento insieme a mio figlio. Forse anche per lui questa domenica sarà un ricordo speciale, magari è solo una mia suggestione, mi piace però pensare che sarà così anche per lui.
Pogi vince, noi urliamo e saltiamo sul divano. Come se avesse vinto un atleta della nostra nazionale, il trasporto emotivo è lo stesso e forse per questo dovremmo ringraziare ancora una volta questo ragazzo sloveno.
Siamo gasatissimi, spengo la tv e Manu mi chiede se possiamo andare a fare un giro in bici insieme. Non è una novità per noi, usiamo la bici nel nostro quotidiano per muoverci e per divertirci. Ma in questo momento è tutta un’altra cosa.
Saltiamo sulle nostre bici e prendiamo la stradina di campagna davanti casa, Manu si alza sui pedali e urla “parte Tadej”. Da padre appassionato di bici sto godendo, lo confesso.
Mentre lo guardo pedalare da dietro, distante qualche metro da lui, mi chiedo se Manu vorrà andare in bici “da grande”. Se questa sua passione è frutto della sua età o se la bici gli piace davvero.
Respira ciclismo da quando è nato, a 5 mesi eravamo a Bologna per la partenza della crono del Giro d’Italia. Abbiamo salutato il giro lungo le nostre strade ogni volta che ha fatto passaggio e guardato tantissime gare in tv insieme. Inoltre il mondo della bici è il mio lavoro da quando è nato, vede bici, libri e oggetti che parlano di ciclismo in ogni angolo della casa.
Per la prima volta però ho paura per lui, ho paura a pensarlo in strada con la sua bici senza di me, a proteggerlo e guidarlo in sicurezza.
Nelle tristi giornate in cui ci troviamo a commentare le parole di un politico/giornalista molto poco illuminato riguardo ai ciclisti, mi assale un senso di paura e scoramento.
Queste inquietudini fanno a pugni con le emozioni purissime che abbiamo vissuto poco fa, con la sua voglia di uscire e pedalare, con il suo amore per la bici che gli regala libertà.
Nascondo tutte queste domande dietro un sorriso e rientriamo a casa, è un momento troppo bello per questi pensieri.
Vorrei che l’eredità di Pogačar fosse questa scintilla accesa in Emanuele. L’entusiasmo purissimo che un bimbo di 6 anni prova cavalcando la sua bicicletta.
L’emulazione delle gesta di un campione, che si diverte e diverte a colpi di pedale.
Magari Manu non diventerà un campione del mondo in bicicletta, ma vorrei che questa scintilla non si spegnesse per paura di una strada trafficata, di una ciclabile non realizzata o dell’ennesimo incidente che si poteva evitare.
Ognuno di noi può e deve fare la sua parte per difendere quell’entusiasmo che solo i grandi campioni sanno accendere in noi e nei ciclisti del futuro.
Grazie Tadej.
Per me, indipendentemente da quello che Emanuele vorrà fare da grande, di campionati mondiali ne ha già vinti tanti. E tanti ancora ne vincerà, come ogni volta che, alla fine di una gara, su quel divano, esulterà, insieme al suo gregario “speciale”. La sua, è una buona squadra.
È vero, pensare che tuo figlio esce in bicicletta per andare a scuola o per allenamento e incontrare tutte le insidie della strada. Ho corso fino dilettante anni 70/80, ho fatto di tutto perché mio figlio non andasse in bicicletta, ho cercato di indirizzarlo su tanti sport, ma non il ciclismo, un pomeriggio di tre anni fa stavo guardando ma distrattamente una tappa della Tirreno/Adriatico, mio figlio si avvicina e mi dice: “Papà voglio correre in bicicletta”. Gli rispondo: “Ma come, con tutti gli sport che fai proprio il ciclismo devi scegliere?”. Mi risponde : “Sì, hai ragione, ma lo sport della bicicletta è il più bello in assoluto!”.
Belle parole Luca, grazie per questo tuo pensiero che ci rende orgogliosi del nostro sport, checché ne pensi questo “ grande direttore ” del Giornale , che ancora non si è degnato di chiedere scusa alle famiglie dei ciclisti uccisi sulle strade
ho passato i 90 in primo luogo hai scritto un’opera scusami il tu ho avuto la prima bici per i miei 6 anni ho pedalato da dove sono nato 35 km fino al mare e ritorno non sono mai sceso dalla sella a scuola media da Abbazia a Fiume poi agonista allievo a Gorizia poi a 70 di nuovo in sella
Bello.
Complimenti per il bellissimo articolo quasi commovente. Speriamo che in futuro Emanuele abbia a che fare con politici di altro spessore e dotati di una maggiore sensibilità verso noi ciclisti. Ciao e buone pedalate in compagnia di Emanuele Massimo
Ciao Luca… condivido in pieno il tuo pensiero. Da diversi anni mi sono appassionato al ciclismo, lo pratico, lo seguo e non per ultimo la bici è il mezzo principale di spostamento per tutta la famiglia. I miei figli si stanno appassionando anche loro a questo sport, soprattutto il grande, che essendo anche un agonista in altra disciplina riconosce il valore atletico dei ciclisti e si sta appassionando ancora di più.
Ammetto che sarei molto combattuto se uno dei miei figli dovesse intraprendere questa strada sportiva, per paura che possa succedergli qualcosa. Ma questo è il pensiero che mi rimane ogni mattina quando si reca a scuola in bicicletta sulla ciclabile dietro casa accompagnando suo fratello più piccolo… ma è anche vero che la bici li ha resi, più indipendenti, autonomi e attenti al mondo che li circonda.