Non bisognava aspettare il giorno dopo la riforma del Codice della Strada per rendersi conto di cosa sarebbe successo rispetto a uno dei molti effetti negativi prodotti: quello sui servizi di noleggio dei
monopattini in sharing.
Se si leggono alcune delle notizie che cominciano a circolare sulla stampa ci si domanda se il legislatore avesse vagamente idea delle conseguenze di quello che stava decidendo: ci riferiamo in particolare all’introduzione dell’uso obbligatorio del casco.
La risposta non può essere che sì, dato che gli operatori del settore lo avevano fatto più volte quanto inutilmente presente in tutte le sedi possibili.
Si potrebbe pensare che il fatto non sia poi così importante, dato che le nuove regole si limiteranno a impattare su un peraltro modesto numero di imprese e sulla altrettanto modesta occupazione generata, mentre i monopattini sono importati dalla solita Cina: non è affatto così.
Gli operatori dei monopattini in sharing forniscono anzitutto un servizio, un servizio evidentemente apprezzato e socialmente utile altrimenti non ci sarebbe chi lo chiede e lo acquista. Un servizio peraltro entrato a pieno titolo nella cosiddetta MAAS (Mobility As A Service) che, al di là delle più o meno sensate declinazioni, traduce nella pratica un concetto fondamentale per il futuro delle realtà urbane: quello di consentire di separare in modo sempre più efficace per l’utente la mobilità individuale dal possesso dell’auto privata.
Ma non solo: in molte città, soprattutto in quelle italiane che ospitano elevati flussi turistici, il servizio di monopattini in sharing garantisce margini operativi positivi, grazie ai quali le stesse città possono finanziare senza oneri pubblici o con oneri sensibilmente ridotti i servizi altrettanto importanti ed apprezzati delle biciclette in sharing, con buona pace di una norma che ha potuto essere approvata in quanto ‘senza oneri per lo Stato’.
Tutto questo potrebbe ancora trovare una giustificazione se la nuova regola comportasse almeno un impatto significativo sulla sicurezza, ma le statistiche ci dicono il contrario. Non sarà un caso che l’obbligo del casco per un ‘acceleratore di andatura’ che può viaggiare al massimo a 20 km/h è presente solo in Israele e in Australia, mentre non c’è in nessun altro paese al mondo (i monopattini che vediamo sfrecciare a 40 km/h, oltre a essere rigorosamente privati e non a noleggio, sono un problema di mancato controllo che non si risolve per nulla con la riforma).
E allora perché? Forse perché questa norma al fondo non fa altro che incarnare il punto di vista degli automobilisti per i quali i monopattini sono l’ennesimo, immaginario intralcio a una supposta quanto fantasmatica ‘libertà di circolazione’, esattamente come lo sono i ciclisti, non a caso anch’essi puniti da questa riforma del Codice della Strada. I pedoni sono avvisati.
mi sembra una regola opportuna da estendere, anche e soprattutto alle e-bike (mezzi a motore da chiamarsi più ciclomotori, che non biciclette) ed anche alle bici muscolari. Gli incidenti con tali mezzi sono aumentati e vanno presi dei provvedimenti di sicurezza, come fu fatto per le motociclette. Del resto non si è sempre affermato che il casco in bici ti salva la vita in molti casi? Basta vedere le corse dei professionisti, per rendersi conto che in paurosi incidenti, molti atleti avrebbero avuto danni molto seri, de non il decesso in assenza del casco. Ricordiamo che in città basta un piccolo impatto tra biciclette, perdere l’equilibrio e magari finire a terra battendo il capo sullo spigolo di un marciapiedi per rimetterci le penne. Inoltre andrebbero ostruite tutte le persone sul come si guida una bicicletta tenendo. onto di quello che si vede per strada e sulle ciclabili e non solo per colpa degli automobilisti. Sono un ciclista convinto che si muove in città il più delle volte con la bici, inoltre utilizzo anche MB e bici da corsa per la mia attività fisica. L’ auto che non va eliminata (pura utopia per intellettualoidi e populisti) la utilizzo per percorsi medio-lunghi o per trasportare la bici in altri posti. Un saluto a tutti.
“A pensare male si fa peccato ma spesso si indovina”. I monopattini elettrici per molti italiani sono un mezzo di trasporto in qualche modo aggiuntivo rispetto ad altri, principalmente l’auto privata, mentre per molti stranieri sono l’unico mezzo di trasporto a parte quelli pubblici. Se uno straniero lavora in una zona senza trasporto pubblico, o in orari notturni, il monopattino per lui può diventare molto importante.
Complicare le regole per i monopattini serve anche a complicare la vita degli stranieri, almeno così mi pare.