Quando si vedono delle colonne di scatole di latta immobili e incolonnate con gente nervosa dentro convinta che “con l’auto faccio prima”, quando si vedono i metri quadri occupati da una vettura per portare a spasso una sola persona, quando si vedono quasi 2000 chili di lamiera e plastica e gomma utilizzate per trasportare una settantina di chili d’uomo per fare pochi chilometri, quando si leggono le cifre importanti spese tra bolli, assicurazioni, carburante, manutenzione, quando non usa la bici perché “si fatica” e poi si cerca di smaltire la ciccia accumulata stando seduti per ore in un’auto pagando costose palestre magari proprio per pedalare al chiuso facendo spinning stando fermi sul posto (!)…Insomma la riflessione è scontata ed è data proprio da simili paradossi: abbiamo ragione noi. Noi che in bici ci andiamo e cerchiamo di usarla il più possibile come mezzo di trasporto e non solo come attrezzo ginnico.
Se poi guardiamo le città europee (e anche molte del Nord Italia), la loro civiltà data anche da bassi fattori di stress da traffico, vediamo il loro scorrere e la loro efficienza data da sistemi razionali di spostamento (mezzi pubblici, bici+mezzi pubblici ma anche car sharing e pooling) la convinzione di essere dalla parte del giusto – perché razionale e logico – si rafforza. Aggiungiamoci pure la soddisfazione, il piacere, le facce rilassate, la mancanza di stress da parcheggio e da intasamento dei ciclisti rispetto agli inscatolati e si raggiunge la certezza: abbiamo ragione noi.
Però. C’è un però. Il movimento internazionale dei ciclisti più o meno agit-prop rivendicano, giustamente, una posizione almeno paritaria agli altri utenti della strada. Strutture adeguate, rastrelliere in città e nei condominii, sistemi di controllo e rivelazione contro i furti, piste ciclabili e una legislazione filociclistica a livello nazionale come locale
Per farlo ci sono ci sono diverse iniziative, comprese le critical mass.
Ma singolarmente siamo certi che l’essere puri e duri a volte non sfoci in comportamenti che lungi da avere una considerazione positiva non ci porti a essere odiati? Bello ed emozionante il film “Premium Rush” (in italiano “Senza Freni”) di David Koepp, belli i filmati su tubo dei bike messenger metropolitani e su tutti il videone “Line Of Sight” di Lucas Brunelle, rivoluzionarie e potenti le alleycat, affascinante la furibonda lotta per riprendersi le città. Solo che sfrecciare a velocità folli nel traffico e in particolare tra i pedoni e i passeggini, magari salendo sui marciapiedi, bruciando a razzo semafori e sensi unici (almeno fino a quando non sarà, opportunamente, consentito dalla normativa), senza alcun sistema di illuminazione, magari vestiti di nero oltre che pericoloso per se stessi (visto che gli errori su due ruote si pagano SEMPRE in prima persona) rischia di innescare un atteggiamento di antipatia o, peggio, di repressione feroce. Non aspettano altro, in fondo, dall’ultimo dei ghisa milanesi (o pizzardoni, a Roma) al primo dei cittadini di qualsiasi colore politico. Dare loro il LA per poterlo fare.
E siamo al punto. Persino a prescindere dal fatto che molti comportamenti siano “giusti o sbagliati” forse, più semplicemente, non sono utili. E neanche molto furbi. La battaglia si vince se è condivisa dalla gente, dall’opinione pubblica, comprese le vecchiette agli attraversamenti pedonali. Queste, e gli altri, se percepiscono la paura per uno che gli passa sui piedi o atteggiamenti ai limiti del pericoloso teppismo, non saranno con noi e le sacrosante rivendicazioni neanche considerate. Peraltro non dimentichiamo che non stiamo nei paesi del Nord e della Mitteleuropa dove la cultura ciclistica permea ogni ceto e ogni età (e gli stessi legislatori) e che, quindi, ci sta una frangia estrema di pedalatori urbani. Da noi la strada da fare è ancora tanta, troppa. Va bene essere contro e anche agguerriti va meno bene esserlo sempre e comunque: si rischia di ottenere l’effetto opposto. A proposito di ragioni: non so e ancor meno chiedo, a mia volta, di avere ragione ma solo fornire qualche spunto di riflessione. Se serve.
Esiste un certo individualismo, nel ciclista nostrano, del quale è necessario purgarsi. Il problema è che è connaturato al nostro essere italiani. Quindi temo che per noi, il passaggio alla ciclomobilità mainstream, sarà ancora piû complicato.
Sono pienamente d’accordo.