Smettiamo di considerare la bici (solo) uno sport

I dati Istat parlano chiaro: solo il 30% degli italiani si considera sportivo. Di questo 30% poco meno della metà pratica un’attività sportiva con regolarità, è tesserato e partecipa a eventi agonistici. La situazione è quindi ben lontana dall’ottimo e non vi sono all’orizzonte segnali che mostrino una futura tendenza all’aumento della sportivizzazione della popolazione italiana.

Questi dati mostrano un segnale inequivocabile: lo sport, per la maggioranza degli italiani, rimane una cosa da vedere alle televisione, piuttosto che da praticare. Il fatto è che, come tutte le cose, il problema sorge sulla base dal punto in cui lo osserviamo. Se prendiamo la carta europea dei diritti, lo sport viene definito come “qualsiasi attività che, attraverso una pratica regolare, permetta di migliorare la propria salute e di competere a qualunque livello”. Vi sono due importanti aspetti da considerare: la pratica regolare e la competizione. Questi due punti sono i principali ostacoli all’attività sportiva, poiché spesso non sono in linea con la formae mentis delle persone comuni. Infatti la pratica regolare sottintende un impegno costante, una dedizione a lungo termine e un sacrificio di tempo e risorse che male si sposano con il nostro attuale modo di vivere, basato sulla gratificazione immediata. Stessa cosa per la competizione, poiché è una parola che racconta di valutazione, di agonismo, di prove da superare che spesso spaventano o scoraggiano chi invece vuole solo stare in forma.

C’è un ulteriore dato da considerare: le campagne di promozione dell’attività fisica che hanno avuto successo hanno saputo rompere il binomio “attività fisica = sport”. Se riusciamo a raccontare che l’attività fisica non è per forza attività sportiva ma può essere ricondotta al movimento in generale, riusciremo a renderla più appetibile e fruibile a un bacino maggiore di persone. Perché non tutti sono disposti ad abbracciare i valori di sacrificio, resilienza e continuità che lo sport racchiude.

Questo aspetto si applica benissimo alla bici. Troppe aziende del settore continuano a promuoverne un’immagine sportiva, usando i professionisti come testimonial, puntando a vendere telai in carbonio sverniciati a utenti che già competono, senza provare a usare nuove strategie di racconto. C’è la tendenza a vendere il ciclismo, non la bici. Il fatto è che, statistiche alla mano, ogni 10 utenti regolari della bici in Italia, solo 1 compete in modo regolare mentre gli altri 9 non sono interessati alle competizioni in bici. Se vogliamo davvero “Trasformare l’Italia in un paese ciclabile” e aumentare l’uso della bici nella popolazione, allora dovremo rompere questo schema.

Perché la bici non è solo Coppi e Bartali, non è solo carbonio alto modulo, non è solo Giro d’Italia e soprattutto non è solo doping.

La bici non deve essere solo un mezzo per fare sport ma un mezzo per muoversi, per stare bene, per combattere la sedentarietà, per rendere più vivibili le nostre città e più respirabile l’aria.

Se vogliamo veramente aumentare l’impatto che la bici ha nei confronti degli italiani (e ovviamente incrementare le vendite), smettiamola di considerarla uno sport.

Commenti

  1. Avatar Theo ha detto:

    Sottoscrivo al 100%. Adesso ci vuole anche la pubblicità adeguata riguarda l’uso della bici in modo non sportivo. Spesso si vedono i ciclisti vestiti da Aru e Pantani nelle pubblicità ciclistiche invece come cittadini normali che prendono la bici invece di prendere il bus

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