La salita alla cascata del Toce è una delle uscite più belle che si possa fare in bicicletta.
Guardate questo video:
Qui Paolo Savoldelli è costretto a mettere giù il piede, e non per la fatica ma per quanto potente e coinvolgente è il paesaggio che incontra e che gli fa finalmente dimenticare frequenze cardiache, cadenza di pedalata, watt e VAM.
A metà salita la strada che vi arriva, la Statale 659 della val Formazza, presenta oggi una nuova variante in galleria, un infinito budello elicoidale di 3.5 km che sale con una impegnativa pendenza al 6%; affrontarla in bicicletta è un vero incubo, un suicidio lentamente e sadicamente consumato che solo il basso numero di auto che vi sfrecciano di fianco rende meno inevitabile.
Per fortuna resta il vecchio tracciato chiuso al traffico, una collana di nove sinuosi tornanti dall’asfalto impeccabile e perfettamente inseriti in un bosco vigoroso e fresco, che pare uscito da un racconto di fiabe.
Quando finalmente, dopo molto tempo dal video di Savoldelli, riuscii anch’io ad affrontare quella strepitosa salita, arrivato all’imbocco della galleria scoprii che il vecchio tracciato era sbarrato da una cancellata impossibile da oltrepassare; grazie a un camion di servizio che, per puro caso, stava uscendo proprio in coincidenza con il mio passaggio riuscii comunque ad entrare ed evitare così di entrare in un girone spaventoso, talmente infernale che nemmeno Dante avrebbe saputo descriverlo (e che ho percorso al ritorno velocissimamente in discesa, e vi assicuro che non è stato per nulla gradevole).
Nei giorni successivi cercai di capire il perché di una cosa tanto assurda per venire a sapere che l’ANAS, non avendo potuto realizzare sul vecchio tracciato di cui era competente un ponte ‘a norma’ di cui restava un eterno cantiere, e non volendosi assumere alcuna ‘responsabilità’, aveva deciso di chiudere la strada a tempo indeterminato e, per dimostrare la sua buona diligenza, lo aveva fatto non con un cartello, ma con un robusto cancello.
Se quanto riferito fosse vero, i solerti funzionari dell’ANAS avrebbero consapevolmente deciso di costringere i malcapitati ciclisti a percorrere una strada formalmente ‘a norma’ ma pericolosissima per le biciclette anziché consentire loro di utilizzare un percorso ben più adatto, non ritenendo sufficiente avvisare del potenziale rischio posto da quel passaggio ‘fuori norma’ persone peraltro adulte e pienamente capaci di intendere e volere.
Questo meccanismo distorto che, da un’assunzione di ‘responsabilità’ formale, porta ad esiti chiaramente ‘irresponsabili’ torna prepotente in questi giorni, quando funzionari comunali ed assessori si stanno chiedendo se cancellare le corsie ciclabili disegnate con una semplice quanto benedetta striscia sulle strade delle nostre città, spaventati dalla prossima approvazione del ‘Codice della Strage’ e ulteriormente sospinti in questo dal possibile rinvio a giudizio dell’ex assessore Granelli per l’incidente in cui una ciclista è morta investita appunto lungo una corsia ciclabile.
Si tratta per costoro di interpretare la propria responsabilità come acritica adesione ad una – spesso peraltro male interpretata – ‘norma’, e non come fattiva e sincera ‘cura’ dell’altro, come quella parola, ‘responsabilità’, dovrebbe comportare.
Fatelo pure, continuate pure, voi a togliere le nostre strisce e l’ANAS a chiudere le nostre strade: siamo sopravvissuti per tanti anni e non smetteremo per questo di pedalare.
Ma almeno fateci un favore: non parlate di ‘responsabilità’; è una parola importante, civilmente impegnativa e, almeno da Kant in poi, di significato morale non ambiguo, che con questa bassa cucina non c’entra proprio nulla.
Chissà perché i ciclisti sono visti sempre come un problema e non come una risorsa. Personalmente in questi anni post Covid, ho fatto lunghi viaggi di una settimana ciascuno e fra dormire mangiare e varie ho contribuito a creare un po’ di economia, così come molti altri incontrati strada facendo. È ora che la politica si accorga di questa enorme potenzialità, di una economia pulita, sana ed educata…dateci un punto d’appoggio e vi solleveremo il mondo.
Anselmo
Io ho fatto la salita da Domodossola a Santa Maria Maggiore, sulla SS 631, con delle gallerie altrettanto infernali, in fortissima pendenza, lunghissime.
In salita riuscivo ad andare a 7-8Km/h, perché ero carico: l’aria era irrespirabile, ho avuto il fiato corto per tutto il tempo. Ma la cosa più tremenda era il rumore: ogni mezzo che mi incrociava faceva più o meno lo stesso rumore di un camion pieno di sassi che rotola in una galleria. Una cosa infernale: non si capiva dal rumore se i mezzi arrivavano da davanti o da dietro, quanti erano, e quando erano in salita lasciavano una scia di fumo nero che perdurava per diversi minuti. A un certo punto mi sono dovuto fermare in una piazzola sudicia, perché avevo l’impressione di avere un problema alla bici, ma dopo qualche minuto sono dovuto ripartire perché l’atmosfera era soffocante, e non ci vedevo nulla.
Anche di questa galleria esisterebbe una strada di bypass, ma è resa inaccessibile da uno sbarramento messo dall’Anas: la prossima volta lo scavalcherò! E’ un guard rail.