Ghiaccio e infortuni, una relazione di lunghissima durata. L’applicazione del ghiaccio durante gli infortuni muscolo-scheletrici è una pratica ampiamente diffusa, spesso considerata parte integrante del protocollo RICE (Riposo, Ghiaccio, Compressione, Elevazione), che viene insegnato anche all’Università (io c’ho dovuto persino fare un esame durante la laurea in scienze motorie, su questo protocollo). Tuttavia, recenti studi scientifici hanno messo in discussione l’efficacia e la sicurezza di questa strategia, evidenziandone i limiti e i potenziali effetti collaterali. In questo articolo vedremo perché applicare il ghiaccio potrebbe non solo non avere alcun effetto ma persino ritardare il tuo recupero da un infortunio.
Perché il ghiaccio per gli infortuni?
Questo sono io:

A Gennaio 2025 ho subito una lussazione di primo grado dell’articolazione acromion-claveare. Durante una proiezione di Judo il mio compagno mi è finito addosso. Ho avvertito un “click” alla spalla e la sensazione di avere un osso fuori posto. La forza dell’impatto ha spostato in avanti la mia spalla, producendo una rottura del legamento che collega scapola e clavicola. Come si vede dalla foto, effettuata la sera stessa, il mio corpo ha subito messo in atto le risposte fisiologiche relative a un infortunio:
- Postura di protezione, con abbassamento della spalla e braccio portato in avanti
- Ecchimosi sul deltoide, per versamento di sangue nella capsula articolare
- Dolore e limitazione funzionale dell’arto
Immediatamente mi è stato applicato del ghiaccio, che io però ho rifiutato, sollevando lo stupore della maggior parte dei miei compagni. Perché?
L’idea di utilizzare il ghiaccio per il trattamento degli infortuni si basa sulla sua capacità di ridurre il dolore e l’infiammazione attraverso il raffreddamento dei tessuti. Questo effetto viene ottenuto mediante una vasocostrizione locale, che riduce temporaneamente il flusso sanguigno nella zona interessata. Tuttavia, nonostante la popolarità di questa pratica, le evidenze scientifiche a sostegno della sua efficacia sono sorprendentemente scarse e spesso contraddittorie. In alcuni casi, l’uso del ghiaccio potrebbe addirittura rallentare il processo di guarigione.
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Perché il ghiaccio non aiuta il recupero dagli infortuni
Dato che questo mio atteggiamento di critica dell’applicazione del ghiaccio ha stupito moltissime persone, ho deciso di fare una selezione della letteratura scientifica a riguardo. Sono stato stimolato in questo dal libro del Dr. Horschig, titolato “Rebuilding Milo”. Nel libro, il Dr. Horschig (fisioterapista e creatore della pagina “Squat University”), racconta di come il ghiaccio sia peggiorativo per il recupero dagli infortuni. Dato che anche un suo post sul tema è stato molto discusso, ho spulciato PubMed e ho cercato gli studi che mostrassero il rapporto tra applicazione del ghiaccio e recupero muscolare.
1. Compromissione delle funzioni motorie
Lo studio “Ice therapy: how good is the evidence?” (International Journal of Sport Medicine, 2001) ha evidenziato che l’applicazione del ghiaccio può compromettere l’attività riflessa e la funzione motoria. Questa condizione di ridotta funzionalità può persistere fino a 30 minuti dopo il trattamento, aumentando il rischio di ulteriori infortuni se il paziente tenta di tornare all’attività fisica troppo presto.
2. Efficacia limitata
Una revisione sistematica dal titolo “The use of ice in the treatment of acute soft-tissue injury: a systematic review of randomized controlled trials” (American Journal of Sport Medicine, 2004) ha trovato solo prove marginali a favore dell’uso combinato di ghiaccio e compressione per migliorare gli esiti del recupero. Gli autori hanno inoltre evidenziato un’incoerenza nei risultati degli studi riguardanti l’efficacia del ghiaccio nel recupero da lesioni ai tessuti molli.
3. Ritardo nel recupero funzionale
Un altro studio più recente, dal titolo ” Should athletes return to sport after applying ice? A systematic review of the effect of local cooling on functional performance” (Sport Medicine, 2012), ha mostrato che l’applicazione prolungata del ghiaccio (oltre 20 minuti) è associata a una riduzione della forza, della velocità e delle prestazioni basate sull’agilità immediatamente dopo il trattamento. Questo solleva interrogativi sull’opportunità di utilizzare il ghiaccio prima di tornare all’attività fisica.
5. Risultati inconsistenti
Lo studio “Does Cryotherapy Improve Outcomes With Soft Tissue Injury?” (Journal of Athletic Training, 2004), ha rilevato una significativa variabilità negli effetti del ghiaccio su gonfiore, dolore e funzione. Non è emersa una forte evidenza che supporti l’uso del ghiaccio come strategia di recupero superiore rispetto ad altre alternative.
Ghiaccio e infortuni: e l’ice bath?
Nel mondo della preparazione atletica e dei social però, spopolano gli articoli e i video di atleti che fanno il bagno in vasche ghiacciate per favorire il recupero. Allora il ghiaccio funziona? Nì. La pratica dell’ice bath è pensata per stimolare la risposta adrenalinica dell’organismo, grazie alla quale il corpo entra in una modalità “fuggi o lotta”.
Grazie alla risposta adrenalinica il corpo attiva il sistema immunitario (vi è una correlazione tra stimolazione di adrenalina e noradrenalina e attivazione del sistema immunitario). Grazie a questa reazione, il corpo diventa più pronto a combattere eventuali infiammazioni e infezioni che possono portare l’atleta a non essere costante nell’allenamento. Ma non è il ghiaccio a produrre l’effetto diretto, il ghiaccio è solo lo strumento che manda in allarme il corpo e che risponde con un’attivazione dell’adrenalina. Tali stimolo adrenalinico si può ottenere in altri modi, come con la respirazione. Esistono infatti pratiche di respiratorie (come la respirazione “Tummo” nello Yoga o il più moderno e globale metodo “Wim Hof”), che permettono di incrementare la risposta adrenergica senza utilizzo del ghiaccio.
Ghiaccio? No, grazie!
L’applicazione del ghiaccio è una pratica radicata ma non priva di controversie. Le evidenze scientifiche suggeriscono che il suo utilizzo dovrebbe essere valutato con maggiore cautela, considerando non solo i potenziali benefici a breve termine, come la riduzione del dolore, ma anche i possibili effetti negativi sul recupero funzionale e la salute a lungo termine. Alternative come la mobilità precoce controllata, la terapia manuale e l’uso di tecniche di compressione senza ghiaccio potrebbero rappresentare strategie più efficaci e sicure.
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