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7 cose sulla ciclabilità che ho imparato al Velo-City di Dublino

Si è appena conclusa a Dublino la 27a edizione di Velo-City, il più importante congresso mondiale dedicato alla bicicletta come mezzo di trasporto e di scoperta del territorio.

Nel corso dei quattro giorni che hanno coinvolto 250 relatori da tutto il mondo in oltre 80 sessioni parallele e 7 plenarie, abbiamo avuto modo di ascoltare e confrontarci con i più grandi esperti del settore della pianificazione urbanistica dai quali abbiamo ricevuto una serie di spunti interessanti che possono essere così riassunti.

1. Non si può parlare di bici senza parlare di auto

Chi vuole molte bici in strada deve fare i conti con un concetto molto semplice della fisica: la legge dell’impenetrabilità dei corpi. Quindi, essendo lo spazio delle strade finito, non si può pensare di fare spazio alle biciclette senza toglierne agli altri veicoli. Togliere spazio ai pedoni non è un’opzione, quindi l’unica possibilità restante è quella di togliere spazio alle auto. Molto rilievo è stato dato da parte di tutti i relatori al tema della riduzione del numero di auto nelle città, la riduzione dei parcheggi e rendere la vita difficile a chi va in automobile.

Complicando la circolazione delle auto nella città di Gent (Belgio), ad esempio, sono riusciti ad aumentare l’uso della bicicletta di 5 punti in 3 anni.

Non è un caso che il Copenhagenize Index 2019 abbia premiato proprio quelle città che si sono distinte nell’aver rimosso parcheggi auto, attuato grandi pedonalizzazioni o restrizioni al traffico.

Quindi, chiunque parli di aumentare l’uso della bicicletta senza limitare l’uso dell’auto o è in malafede o non ha capito come funziona.

2. Il bike sharing a flusso libero è in via di estinzione

Due anni fa al Velo-City di Nimega fece scalpore l’arrivo di Mobike che proponeva biciclette in condivisione a flusso libero. Dopo arrivò l’invasione di molti operatori dall’estremo oriente che invasero il mercato e che fallirono dopo pochi mesi lasciando le carcasse in giro per il territorio (come preannunciato da noi di Bikeitalia.it).

A questo giro di Velo-City l’unico operatore di bike sharing a flusso libero è stato Jump di Uber che offre un sistema a pedalata assistita che nella città di Denver costa 5 dollari per 20 minuti di utilizzo.


Le nuove bici del bike sharing di Barcellona, offerto da PBSC

Ancora floridi sono invece i sistemi con le stazioni che stanno aumentando il contenuto tecnologico e stanno sempre più diventando degli integratori del servizio pubblico.

3. Abbasso i ciclisti, viva le persone

Il concetto per cui bisogna fare le ciclabili per permettere ai ciclisti di muoversi è stato mandato in soffitta ormai per sempre. I ciclisti non sono portatori di diritti, lo sono invece le persone che si muovono in bicicletta o che vorrebbero farlo. Questa distinzione sembra banale ma non lo è: chi progetta la forma delle città dovrebbe farlo tenendo in mente le esigenze di tutti e non solamente di quei pochi nerboruti che sono pronti ad affrontare qualsiasi difficoltà.

La priorità deve essere data in particolare ai bambini e alle fasce più deboli e il corollario è in particolare la questione che riguarda l’eterna diatriba tra piste ciclabili protette e le corsie ciclabili delineate da una semplice linea di vernice: uno studio ha dimostrato in modo inequivocabile che le corsie ciclabili fatte di semplice pittura aumentano il senso di sicurezza di chi già usa la bici, ma non invogliano a usarla chi invece non lo fa.

Di fronte a un’infrastruttura ciclabile dovremmo quindi chiederci: permetterei che mio figlio di 10 anni la usi? Se la risposta è no, allora non va bene.

4. Le infrastrutture da sole non bastano.

Mai come a questa edizione di Velo-City si è messo l’accento sulla questione della comunicazione perché possiamo creare tutte le piste ciclabili di questo mondo, ma se non spieghiamo ai cittadini perché le stiamo facendo e a cosa servono stiamo buttando via soldi e ci stiamo esponendo a una guerra tra bande contrapposte tra chi vuole esercitare il proprio diritto alla mobilità e chi vuole garantito il proprio diritto al parcheggio sotto casa. Comunicare costa poco e rende molto: perché rinunciarvi?

5. Le corsie per gli autobus aperte alle bici.

Nel corso delle audizioni alla camera per le modifiche al codice della strada, Legambiente ha proposto di vietare l’uso delle corsie preferenziali per gli autobus a chi va in bici. Dublino non è una città che dal punto di vista infrastrutturale può reggere il paragone con Amsterdam, Copenhagen, ma a Dublino si pedala e molte corsie ciclabili sono ospitate all’interno delle corsie degli autobus. Se a Dublino fosse vietato l’utilizzo delle corsie bus, i ciclisti dovrebbero pedalare in mezzo alla strada tra la corsia bus e quella delle auto.


Se la corsia preferenziale fosse vietata a chi va in bici, il ciclista dovrebbe stare in mezzo alla strada, oppure a casa.

Quindi meglio così.

6. La bicicletta è un ottimo strumento per l’integrazione dei migranti


La bicicletta è stata un formidabile strumento per l’emancipazione femminile, perché non può esserlo anche per l’integrazione dei migranti?

La questione dell’integrazione dei migranti ha tenuto banco anche in un consesso come quello di Velo City perché la pianificazione della mobilità urbana non può rinunciare alla questione della coesione sociale.

Diverse esperienze presentate hanno dimostrato che avvicinare all’uso della bicicletta i migranti di diverse città ha portato a una maggiore coesione e maggiore integrazione perché il contatto umano aiuta a vincere le reciproche diffidenze.

7. In Italia abbiamo un problema

Prima di partire per Dublino ho fatto un giro di telefonate e messaggi per chiedere a svariati tecnici ed amministratori comunali se sarebbero venuti a Velo City. La risposta è stata negativa per vari motivi (principalmente economici) e solamente guardando l’elenco dei partecipanti mi sono reso conto della magnitudo del problema: non un solo dirigente o amministratore comunale ha preso parte alla conferenza. L’unico amministratore italiano presente era Giuseppe Grezzi, assessore alla mobilità di Valencia (Spagna).

Unico tecnico comunale è stato Francesco Iacorossi, in forze a Roma Agenzia per la Mobilità che ha condotto e moderato una sessione intitolata “Partnership & Collaboration”.

Questo significa che chi amministra e gestisce le nostre strade in buona parte non sa quello che fanno gli altri, non conosce le buone pratiche e continuerà a operare come ha sempre fatto, convinti di essere nel giusto. Insomma, il mondo si muove e il nostro Paese resta fermo.
Per ovviare a questa situazione abbiamo deciso di replicare un evento simile al Velo City, seppure su scala ridotta, in Italia, probabilmente per il prossimo autunno.

Perché l’obiettivo è sempre lo stesso: trasformare l’Italia in un Paese ciclabile.

Commenti

  1. Avatar Nadia ha detto:

    Articolo molto interessante, grazie! Un altro aspetto da considerare è anche l’educazione all’uso della bici. In molti paesi del nord, che spesso si prendono come riferimento, i bambini delle elementari seguono delle lezioni di prevenzione e uso della bicicletta (tenuti dalla polizia stradale) venendo così esposti all’importanza dell’uso consapevole della bici come mezzo di trasporto. A Basilea (dove vivo) abbiamo dei parchi per bambini che consistono in mini strade con tanto di semafori e altro tipo di segnaletica dove i più piccoli possono accedere e simulare la circolazione in bici. In questi paesi si nasce sulle due ruote, si vedano ad esempio anche i numerosissimi cargo-bike per il trasporto di bambini dai primi mesi di vita, o altre soluzioni per i più piccoli. Programmi di sensibilizzazione dovrebbe andare di pari passo con i cambiamenti delle città.

    1. Avatar Ciclista Sdraiato ha detto:

      Quand’ero bambino ho avuto la fortuna che la scuola pubblica italiana funzionasse ancora benino e quindi ci insegnarono a riconoscere la segnaletica stradale e a come comportarci per strada (fu proprio a scuola che realizzai che, per molti adulti, la segnaletica era lì a mettere un po’ di colore per strada e nient’altro)
      Ora invece, a parte sparuti tentativi di qualche amministrazione comunale di insegnare le basi della circolazione su strade pubbliche (sempre dal punto di vista delle auto, ma è meglio di niente) si assiste a genitori che hanno la patente di guida, che quindi dovrebbero sapere come ci si muove per strada, i quali fanno pedalare i propri figli in situazioni pericolose per sé stessi o per i pedoni. Ma questi signori (e signore) si interrogano su cosa stanno insegnando ai propri figli? La bicicletta non è un giocattolino da usare solo quando si è in vacanza e giocarci per strada può portare a conseguenze anche molto gravi. Ma finché si fanno male gli altri, chi se ne frega?

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