Luca. Classe 1975. Dopo ventiquattro anni di lavoro dipendente come tecnico elettronico a fine 2019 si licenzia e a gennaio dell’anno successivo diventa rider a tempo pieno.
Lo incontro per la prima volta sabato 11 aprile 2020. È la vigilia di Pasqua. Brescia insieme a tutta l’Italia è chiusa in casa per il lockdown.

Sto aspettando delle pizze da consegnare; come me altri rider. Luca annuncia il suo arrivo con un fischio di freni, ci giriamo tutti. Quelli che lo conoscono ridono. Mi è subito chiaro che si tratta di un soggetto singolare, il suo sguardo non mente. E nemmeno il suo zaino. Lavorando per due
aziende di food delivery, se ne è costruito uno misto che porta entrambi i loghi: se lo si guarda dal lato lavora per Deliveroo, da dietro per Just Eat.
È disponibile e anche simpatico, ma mi serve qualche giorno prima di riuscire a scucirgli qualcosa di lui. Poi una sera quasi a fine turno si racconta.
Ha cominciato a fare il rider per curiosità. Dopo un primo anno di prove generali la decisione radicale: lascia il vecchio lavoro per fare il rider. Tanto era schiavo lo stesso, dice. Entrava la mattina con il buio e usciva la sera con il buio.
Oggi ha la possibilità di stare all’aria aperta e di godere della luce del sole per molte ore. A lui che è uno sportivo outdoor piace. Podista da tempo, in passato ha usato la bici in caso di piccoli infortuni in sostituzione alla corsa. Oggi corre per hobby e pedala per lavoro. E la fatica psicofisica della vita precedente, la più dura da sopportare, si è dileguata. È divertente, lo dice convinto.
Dalle quaranta ore settimanali per cinque giorni lavorativi del suo vecchio lavoro da dipendente, oggi da rider si impone di lavorare tre giorni pieni, più uno o due serate, indipendentemente dai guadagni.
Me lo conferma, lo stipendio si è ridotto, ma non ne fa un problema: se guadagna di meno, spende di meno. Figli non ne ha, ventiquattro anni di lavoro alle spalle: chi lo ferma?
Non è solo una questione di soldi, almeno la sua. Parla di tempo, di più tempo. Di tempo meglio ottimizzato e autonomamente gestito. Di tempo dedicato alla sua prima grande passione, che rimane l’elettronica.
Lui è reticente sull’argomento, io capisco poco e non insisto: parla di un progetto che sta sviluppando e che ha intenzione di monetizzare. Sono colpita dalla sua dinamicità.
Luca azzarda, dice che fare il rider in un certo senso è fare impresa. Si decide quando, quanto, dove e con chi lavorare. Il rischio c’è, chiaro, ma per convincermi, a titolo esemplificativo, chiama in causa il fruttivendolo. Anche per lui i guadagni non sono sempre uguali, c’è giornata migliore e giornata peggiore. Ne è convinto: non si tratta di lavoro precario, fare il rider è lavoro autonomo.

Bici super accessoriata e un kit di emergenza nello zaino contente pompa telescopica, faretti di ricambio, battery pack, cavi di riserva, Luca oggi lavora per tre piattaforme di food delivery e percorre dai 40 agli 80 chilometri al giorno.
Con orgoglio mi espone il suo trofeo: ha un record di 110 chilometri e 150 euro di guadagno in una giornata. Precisa, è il picco.
Gli chiedo se e come giudicano il suo lavoro amici e parenti. Il suo pubblico si divide. Da una parte, i più, anche davanti all’evidenza, lo tacciano di aver fatto una scelta sbagliata. Li chiama “quelli del posto del fisso”.
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Dall’altra c’è chi lo supporta perché sostenitore della sua serenità. “Gli amici intelligenti”, sorride. Quando dice che fa il rider agli sconosciuti, non mancano le risatine di scherno, confessa, ma sembra importargli poco.
In effetti Luca ha l’aria di avere le idee molto chiare su quale strada percorrere.
La storia di Luca sarà anche eccentrica, ma rimane una storia. Un uomo che ha scelto di fare il rider. E ne è felice.
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