Ho incontrato da poche ore nel mio Giro d’Italia per la Sicurezza la mamma di Davide Bortolotti, ucciso mentre pedalava a 47 anni da un automobilista che l’ha falciato il 16 Febbraio vicino a casa. L’ho incontrata nel Comune di Ozzano, dove abitava Davide con i suoi due bambini e la moglie. Ho incontrato lei, la cognata e la mamma della moglie che con immenso coraggio sono venute all’inaugurazione del cartello del rispetto del ciclista sulla strada.
Mi sono trovata di fronte a 3 donne dilaniate dal dolore di una perdita tanto assurda, tanto ingiustificata, tanto crudele. Davide pedalava, la sua passione più grande insieme alla pasticceria, per cui era un professionista molto noto. Pedalava, come pedaliamo noi tutti amanti delle due ruote, che appena possiamo inforchiamo la bici per cercare la libertà, le emozioni, la fatica. E che, anche se sappiamo che alcuni nostri amici o conoscenti non hanno mai fatto ritorno a casa, come Davide, non riusciamo a rinunciare a ciò che la bici ci regala. E allora perché adesso che vorrei spiegare con tutta me stessa quanto è bello pedalare mi si chiude lo stomaco di fronte a una madre che sembra cercare una parola che giustifichi il tutto?
Perché so che non esiste una giustificazione, non esiste una parola che possa far star meglio chi ha perso il figlio in questi modo, non esiste niente che abbia senso dire. E così cerco qualche parola mal riuscita per spiegare quello che stiamo facendo e dopo che il sindaco presenta la nostra iniziativa le vado vicino e l’abbraccio come se fosse la mia di mamma. L’abbraccio forte anche se non la conosco e anche se so che non è il periodo più adatto. Ma di fronte a tanto dolore non ci sono distanze che tengono, c’è solo l’umanità che va oltre tutto e il dolore di una donna che oggi ha perso ciò che di più grande aveva, il proprio figlio.
Guardo il nostro cartello che è stato da poco posizionato sulla strada e lo sento inutile in questo momento. Mi sembra troppo piccolo, troppo poco visibile, troppo poco. Guardo il sindaco e gli chiedo se li può fare più grandi e se li può mettere in tutte le strade. Mi chiedo cosa posso fare di più. Mi incazzo contro tutto quell’odio che sto ricevendo da tanti automobilisti frustrati che viaggiano sulle strade. Vorrei che solo uno di loro fosse qui in questo momento. Solo uno. E che potesse provare anche solo per un secondo il dolore straziante che può provare una madre a cui hanno ucciso un figlio mentre faceva ciò che amava, pedalare.
E allora comincio a rispondere a raffica a tutti i commenti di critica sotto i post da parte di chi dice che noi pensiamo di salvare il mondo, che siamo arroganti, che invadiamo la carreggiata, che non rispettiamo il codice della strada. Rispondo con tutta la carica emotiva che ho in corpo. Rispondo rimarcando che quando mi alleno tantissimi automobilisti mi superano ai 100 all’ora, che sono tutti al cellulare, che c’è disattenzione, che mi tagliano la strada, che non rispettano le precedenze, che mi chiudono in curva, che mi sorpassano a 5 centimetri di distanza, che ignorano del tutto la mia presenza sulla strada, come se non esistessi, presi dalla fretta, dalla distrazione e guidando un Suv come se fossero su un circuito di Formula Uno. Rispondo pensando al triste elenco di persone che conosco e a cui sono stati falciati una figlia, un fratello, un marito e una madre. Penso ai figli di Davide che rimangono orfani del padre che tanto amavano, penso alla moglie a cui hanno portato via il proprio uomo.
Rispondo così perché sono arrabbiata e voglio cambiare le cose, anche se so che in tantissimi fanno attenzione quando mi superano, mi rispettano e guidano con prudenza. E di questo ne sono molto felice.
Non riesco a comprendere questa guerra che si è venuta a creare tra automobilisti e ciclisti. La sento inutile. Stupida. Sbagliata. Come qualsiasi guerra d’altronde. Non vedo una distinzione tra automobilisti e ciclisti, penso solo che sulle macchine ci siano persone così come sulle bici. Persone rispettose o persone irrispettose. E chi va in bici, minorenni a parte, tendenzialmente va anche in macchina. Quindi perché questa guerra inutile?
Credo che ognuno di noi a questo punto dovrebbe fare una riflessione. Una riflessione pensando all’immenso dolore che ogni giorno tocca famiglie e comunità intere. Penso a me come persona che pedala e penso che quando sono in strada cerco in tutti i modi di essere visibile, di viaggiare a bordo strada, di rispettare il codice stradale e di non rompere le scatole a chi in quel momento viaggia in auto sulla mia stessa carreggiata. E poi penso a me come automobilista e penso che quando guido cerco di essere il più attenta possibile alla strada, di non superare i limiti di velocità, di non usare il cellulare, di essere prudente e rispettosa nei confronti di chi utilizza la strada come me.
Penso che ognuno di noi, che stia guidando, pedalando o camminando dovrebbe pensare nel rispetto di tutti, perché un giorno quel Davide, quella madre, quel figlio potremmo essere noi. Forse sono una sognatrice ma sono certa che prima o poi ci potrà essere un’Italia civile dove tutti gli utenti della strada convivono nel modo più rispettoso possibile sulle strade. Ci vorrà tempo, fatica, energie, dolore ma so che le grandi conquiste hanno bisogno di tempo.
E io oggi sulle strade del Giro d’Italia continuo con la mia lunga battaglia del rispetto del ciclista sulla strada come ho promesso alla mamma di Davide nel nostro lungo abbraccio prima di salutarci.
voglio dare un contributo alla vostra battaglia, mi date indicazioni di come posso iniziare???
Mi rattrista che ci sia bisogno di mettere un cartello per ricordare una cosa che vale ovunque, non è che dove non c’è allora si può fare il pelo al ciclista, però capisco anche che essendo una novità per molti sia necessario mettere questi cartelli in più posti possibile.
Augurandomi che vadano presto a scomparire, come quelli delle cinture di sicurezza, il casco o le luci in galleria…