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Davide Rebellin sia l’ultimo morto in bicicletta

Davide Rebellin sia l’ultimo morto in bicicletta

Anche Rebellin se n’è andato.

Proprio lui che sembrava immortale e destinato a non mollare mai.

Se ne è andato come se ne vanno i ciclisti, ucciso per strada, schiacciato da qualcuno che non l’ha visto, che stava facendo altro e che poi neppure si è fermato a prestare soccorso.

Davide Rebellin
Davide Rebellin morto in strada: investito e ucciso mentre si allenava in bicicletta

Sui social la notizia si è diffusa a tempo di record, come quando muore all’improvviso uno famoso e, come sempre, i commenti si sono polarizzati: quelli che hanno espresso genuino cordoglio, quelli che hanno provato un brivido lungo la schiena perché sanno che poteva toccare a loro e quelli che hanno esultato perché finalmente ci sarebbe stato un ciclista in meno sulla strada a dare fastidio.

Personalmente la notizia mi ha raggiunto mentre ero a un convegno organizzato dalla Camera di Commercio di Milano sul tema della Bike Economy, in una sala gremita di persone che stava ad ascoltare personaggi che dal palco spiegavano in alcuni casi con estrema competenza, in altri con estrema faciloneria la ricetta per trasformare l’Italia nel paradiso dell’economia della bicicletta.

E tutto, all’improvviso, ha perso di senso.

Perché, con quale credibilità un Paese può parlare di economia e bicicletta, se non riesce neppure a garantire che uno che va in giro in bicicletta se ne torni a casa con tutti gli organi al proprio posto?

E mentre questo e quello presentavano la propria ricetta per salvare l’economia a colpi di pedale, mettendo in ordine sparso le parole “visione”, “tecnologia”, “sostenibilità” e “startup”, a me sembrava di essere tornato indietro di 5 anni, a quel 22 aprile 2017, quando Michele Scarponi lasciò la propria vita in quell’incrocio maledetto. Perché in questi 5 anni davvero nulla è cambiato.

Non sono cambiate le politiche pubbliche per mettere in sicurezza gli utenti più vulnerabili; non sono cambiate le crociate della stampa nazionale contro i ciclisti indisciplinati, cancro supremo del pianeta; non sono cambiate le strade.

La vita di molte famiglie è stata stravolta, mentre la politica finora se l’è cavata con le preghiere e con il lutto cittadino, mentre le associazioni di ciclisti, invece di fare fronte comune per affrontare la situazione, litigano tra loro su chi è più puro, su chi ha più titolarità per affrontare il tema.

Davide è morto e da oggi saremo ancora più soli e abbandonati a noi stessi, a meno che il Parlamento, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Governo tutto non decidano che la morte di Rebellin non sarà il punto di non ritorno, quello che nella storia sarà ricordato come il momento dopo il quale tutto è cambiato.

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