Valdidentro, la perla nascosta tra Stelvio, Gavia e Mortirolo
Se c’è una cosa che ho imparato ad apprezzare durante questo viaggio alla scoperta delle Perle delle Alpi è la colazione: ti svegli la mattina e, dalla frutta alle uova, passando per speck, formaggio, burro, miele, marmellate, nutella, biscotti, torte, pane, brıoches e cereali, sul tavolo c’è qualunque cosa ad aspettarti.
Qui sulle Alpi lo sanno bene che là fuori il mondo è impegnativo e che serve tanta tanta energia per affrontarlo al meglio. L’albergo di Thomas non fa eccezione e, dopo aver mangiato in abbondanza, riempito le nostre borse e oliato la catena delle biciclette, siamo pronti a salire in sella e andare.
La giornata ci riserva una discesa fluida verso Merano e poi una pedalata per risalire il corso dell’Adige fino a raggiungere le pendici dello Stelvio. Il sole splende forte in cielo e le gambe girano bene, nonostante la fatica del passo di Giovo del giorno prima.
In men che non si dica siamo già a Merano, dove ci fermiamo per raccogliere qualche informazione sul prosieguo, dare un’occhiata alla città e continuare con la tradizione germanica del caffè con torta che qui ha preso la forma definitiva dell’Apfelstrudel (Strudel di mele). Merano la conoscevo esclusivamente per i racconti dei miei amici che vi avevano fatto il militare: dalle loro parole mi ero fatto l’idea di un luogo orribile, mai mi sarei aspettato una città tanto incantevole.
Nelle mezz’ore che abbiamo trascorso esplorandola, Merano si è presentata come una città invasa da biciclette, con gigantesche zone pedonali strapiene di persone che prendono d’assalto negozi, bar e ristoranti. Le bici sono talmente tante che ci sono dappertutto cartelli che ne vogliono limitare l’uso.
Sicuramente la stessa città vista d’inverno e con una divisa indosso deve fare un altro effetto, ma noi ne siamo rimasti semplicemente estasiati.
Lasciare la città è un po’ laborioso, ormai siamo viziati e ci aspettiamo indicazioni continue, cartelli che ci indichino la strada da seguire nel modo più semplice, senza bisogno di usare la testa, ma il gioco è semplice, basta trovare il fiume Adige e andare verso le sorgenti.
Passata la splendida sede del birrificio Forst, la ciclabile si trasforma in un gran premio della montagna in miniatura che si fa spazio attraverso le infinite coltivazioni di mele. Dieci tornanti ci invitano a salire di un centinaio di metri fino ad arrivare a un terrazzo pensato apposta per i ciclisti da cui si gode di una vista spettacolare di Merano e della sua valle. Senza esagerare e con tutto il rispetto per la ciclabile della Drava, ma credo che questo sia il tratto più spettacolare che abbiamo visto fino a questo momento.
Qui ogni singolo paesino sembra fatto su misura per accogliere i ciclisti che transitano in entrambe le direzioni e rimaniamo di stucco quando, a un certo punto, lungo la ciclabile troviamo un punto di ristoro self service a base di mela: ti mesci un bicchiere di succo di mela, lasci 0,50 € nell’apposita cassetta e poi continui. Il succo è talmente buono che noi ce ne beviamo ben tre bicchieri.
Cosa succederebbe a un chioschetto simile in un’altra parte d’Italia?, ci chiediamo. Mah, forse è meglio pedalarci su e non porsi troppe domande, in questo momento, tutto quello che serve sapere è che il cielo è blu, il sole non troppo caldo e la strada davanti a noi è aperta.
Come una freccia al rallentatore fendiamo la Val Venosta e ci lasciamo indietro Naturno. Senales, Ciardes, Castelbello, Laces, Silandro e tutta una serie di piccoli borghi che hanno capito perfettamente che le frotte di ciclisti che passano di lì quotidianamente, non sono propriamente dei rompicoglioni, ma sono un’interessante fonte di introiti.
Attraversando un campo di mele dopo l’altro e, quasi senza rendercene neppure conto ci ritroviamo a Prato allo Stelvio, campo base dell’omonimo passo, meta privilegiata dei ciclisti italiani di sempre. Arriviamo in paese verso l’ora di cena, giriamo un po’ alla ricerca di un posto per passare la notte: non abbiamo prenotato niente e la cosa ci crea qualche preoccupazione perché dei soliti cartelli con la doppia dicitura “Camere/Zimmer” non c’è neanche l’ombra.
Ci spiegano che il motivo è che all’indomani c’è un raduno di trattori e la cosa ci lascia un po’ sbalorditi: noi che parliamo sempre di bikenomics, abbiamo trascurato il valore della trattoronomics (risate registrate). Alla fine troviamo un buco per passare la notte e all’indomani, neppure il tempo di fare colazione, sentiamo un gran frastuono in strada: uno dopo l’altro passano davanti alla porta della nostra pensione qualche migliaio di ciclisti, si tratta della granfondo Drei Laender Giro che, partendo dall’Austria e dopo aver superato lo Stelvio, passa per la Svizzera per poi chiudere nuovamente in Austria.
Gonfiamo le gomme al massimo della pressione consentita per ridurre l’attrito con il terreno e ci mettiamo in sella anche noi: i corridori saranno sicuramente distanti anni luce davanti a noi. Noi ce la prendiamo con comodo.
Salendo mi rendo conto di quanto sia bello il paesaggio di questa strada e di quanto, però, l’immagine che viene più spesso trasmessa della salita allo Stelvio, invece che delle montagne che ti controllano e ti proteggono dall’alto, sia invece la solita serpentina di 47 tornanti che si arrampica su fino al temibile passo a 2.758 metri.
Mentre alzando gli occhi al cielo ci sentiamo minuscoli rispetto all’enormità delle montagne, volgendo gli occhi alla strada ci sentiamo dei veri giganti rispetto a quelli della granfondo che è passata qualche ora prima di noi: per terra c’è un cimitero di confezioni di gel e barrette energetiche, addirittura anche una camera d’aria di qualche imbecille che ha pensato bene di liberarsene dopo aver forato. Mi vergogno dello spettacolo offerto e al pensiero che loro sono ciclisti tanto quanto lo sono io che impiego 6 ore per arrivare al passo.
Se Pantani diceva che andava così forte in salita per accorciare l’agonia, io posso dire di andare così piano per fermare nella memoria ogni dettaglio di quei in cui sei tu da solo con i milioni di sassi che compongono il lato di una montagna, ma è solo una paraculata: se vado così piano è solo perché non riesco ad andare più forte.
Arrivati in cima allo Stelvio, l’autostima è alle stelle, ma lo spettacolo è indecente. Sembra di trovarsi di fronte a un centro commerciale a cielo aperto, perfetta rappresentazione della società basata sull’automobile: ovunque si vendono magliette, cappellini, panini, magneti e souvenir di ogni tipo. Addirittua c’è una banca: è lo sportello bancario più alto d’Europa.
Il tempo di un caffè molto molto corretto e la discesa è nostra. Nel versante lombardo è ancora inverno, fa freddo ed è colpito da una leggera pioggia. Rotoliamo veloci verso valle senza sentire neppure l’esigenza di fermarci a fare foto. Il cielo si sta guastando e i colori sono spenti.
Poco prima di Bormio, prendiamo una strada sulla destra che passa dai Bagni Vecchi e Bagni Nuovi, località tradizionali della villeggiatura termale. E’ iniziato il comune di Valdidentro, il comune più esteso di tutta la Lombardia, settima perla delle Alpi, finalmente raggiunta.
Siamo in Alta Valtellina, qui. Finalmente si parla nuovamente italiano. C’è un autobus che va verso Livigno e che offre l’opportunità di caricare le biciclette sul retro, potremmo prenderlo, ma mentre facciamo i biglietti, quello è già passato. Ci tocca pedalare fino a Li Arnoga, frazione di Valdidentro, dove andiamo a pernottare. Lungo la strada incontriamo frotte di ciclisti che vanno in ogni direzione, con mountain bike e bici da corsa, il motivo è semplice: Valdidentro si trova in un punto strategico per i ciclisti che vogliono affrontare lo Stelvio, il Gavia e il Mortirolo, ma anche per quelli che sono di passaggio per l’esecuzione del Transalp.
Punto strategico per le vacanze sulla neve d’inverno, Valdidentro diventa d’estate punto di ritrovo per ciclisti che godono in particolare dei 3.200 km di percorsi per mountain bike diffusi su tutto il territorio comunale. Questi infatti rappresentano la quasi totalità dei clienti degli hotel della zona nei mesi estivi.
Arriviamo all’hotel Li Arnoga che sta iniziando a piovere. Prima ancora di fare il check in uno dei proprietari ci offre una canna dell’acqua per pulire le bici, poi ce le fa mettere nell’apposito deposito e, prima di salire in camera, ci regala un’ultima delizia: “se prima della cena mi date i panni sporchi da lavare, li ritrovate puliti e asciutti davanti alla vostra porta domani mattina prima di ripartire“.
Dopo un piatto di pizzoccheri degno di questo nome e due bicchieri di vino rosso a testa, scambiamo quattro chiacchiere con un gruppo di ciclisti tedeschi impegnati nel TransAlp e tiriamo tardi a colpi di grappa, racconti a pedali e piccole discussioni tecniche.
Siamo vicini al confine e tocca decidere il percorso per entrare in Svizzera.
Abbiamo a disposizione tre alternative: (1) andando a Nord, passando da Livigno (sfruttando la strada detta Decauville che, a 1850 di altitudine ha una pendenza dello 0,05 % per 13 km porta alle Torri di Faele e poi ai laghi di San Giacomo e di Cancano), (2) andando a sud, passando da Bormio (scendendo di quota fino a raggiungere Tirano e da lì prendere il celeberrimo Treno del Bernina), (3) andando dritti verso ovest (attraversando la Val Viola su un percorso che, tra laghetti, sentieri e mulattiere sale fino a 2.400 metri).
Tocca pensarci bene, ma, soprattutto, bisogna dormirci su.
1. Introduzione
4. Werfenweng
5. Weissensee
Tappe meravigliose! E fra pochi giorni passerò anche io dallo Stelvio, nel mio prossimo cicloviaggio!
Grande Fabio! Che giro farai?