Immaginate di avvertire il dolore di una coltellata nel ginocchio destro a ogni colpo di pedale. Di esservi fermati in un bar, aver riempito un sacchetto di ghiaccio ed esservelo legato sul ginocchio con uno spago. Di sentire la pressione della sella fin nelle ossa a ogni buca. E di arrivare: di concludere il vostro viaggio, allenamento, gara e improvvisamente dimenticarvi del dolore, della fatica, del sudore. E provare un senso di benessere, di realizzazione, di estrema felicità. Di guardare al cielo e sorridere, felici.
Se almeno una volta nella vita avete provato questa sensazione e vissuto una sensazione simile, allora fate parte di quella categoria di essere umani che utilizzano la bici come mezzo di miglioramento interiore. Lavorando con ultracycler e randonneur come biomeccanico e tenendo corsi di formazione in Italia e all’estero, mi sono reso conto che l’obiettivo competitivo, il voler primeggiare a tutti i costi, l’ambizione di vittoria si rispecchia solo in una limitata percentuale di ciclista. Per la stragande maggioranza dei pedalatori la bici è un mezzo di elevazione interiore, un modo per superare sè stessi, per vivere appieno la vita. Tecnicamente stiamo parlando di motivazione intrinseca, cioè di quella spinta interiore che ci porta a fare cose senza che vi sia la necessità di un sostegno esterno o la presenza di un premio o una punizione a riguardo. E’ quella voglia che sentiamo pulsare dentro di noi che ci porta a uscire con la pioggia, a passare ore sotto il sole d’estate, a puntare la sveglia alle 6 del mattino, a sfidare il traffico delle nostre città, a seguire un corso di meccanica solo per evitare di ritrovarsi con la catena spezzata in mezzo al nulla.
Ho chiesto a numerosi ciclisti di spiegarmi il perché e le motivazioni che li spingano ad andare in bici, spesso affrontando percorsi considerati “disumani” per la maggior parte delle persone comuni. Ecco le loro risposte:
“Passione, amore: dentro queste parole c’è la capacità di sopportare fatiche che sarebbero impensabili stando solo sul livello razionale” (Michelangelo Pacifico, ultracycler)
“Non credo di aver fatto cose particolarmente estreme, cerco sempre di guardare ai migliori con estrema ammirazione e alcuni li hai taggati in questo post. Quello che mi spinge è la libertà, il rompere la routine, il riscoprire i bisogni primari, il reinventarsi il risolvere il problema, il farsi coraggio. Mi piace pedalare da solo” (Daniele Bifulco, organizzatore del Lazio Trail)
“Nel mio caso comunque non ho una reale asticella da abbattere. Non vado mai a toccare il limite… e non mi interessa.
Avventura in solitaria o in compagnia e’ la prima cosa che mi viene inmente… e che forse piu’ mi si addice. E mi piacciono gli eventi affollati. Conosci persone nuove e condividi un pezzo di strada” (Roberto Polato, Organizzatore del Veneto Gravel)
“Passione in una parola sola, anche se si potrebbe svilupparla all’infinito. I pensieri migliori vengono mentre si pedala. Ho la sensazione di vedere me stesso e ciò che mi circonda in maniera più nitida, mi sento tutt’uno col mondo. E poi pedalando mi si libera la testa, mi si purificano i pensieri e lo spirito. Non è facile spiegarlo chiaramente.” (Maurizio Deflorian, Organizzatore del South Tyrol Trail)
“Trovare il mio oltre e superarlo è la mia sfida… amo l’idea di pedalare senza sosta, amo in generale pedalare in qualsiasi situazione, mi genera un bel senso di libertà e pace, finalmente posso stare sola con me stessa” (Sarah Cinquini, ultracycler)
“Andare “oltre”, sapere dove puoi arrivare e cercare ogni volta di mettere qualcosina in più, più km, più dislivello, più ore… la libertà di essere su un passo alpino in piena notte, tu e la natura illuminati dalla luna” (David Gera, ultracycler)
“Dalla mia parte, e la voglia che mi spinge a fare, qualsiasi cosa che mi faccia sentire vivo! già di per se andare in bic.
in viaggio in piena libertà e ciò che mi appaga di più, da sempre, se poi c’è gara è ancora più divertente! Ho un sogno, girare il mondo in bici” (Rodney Sonnco, ultracycler)
“Libertà, per me è libertà. Sentirsi parte della natura, dello spazio, dell’infinito” (Laura Ceccok, ciclista)
“La paura(con il senso di saperla affrontare, ma pur sempre paura), vivere il mondo e renderlo sempre più piccolo con la bici” (Andrea Bartemucci, ultracycler)
Da tutte queste risposte e da molte altre si comprende bene come il senso di sfida con sé stessi e la voglia di superare i propri limiti, di stare bene con il proprio corpo ed equilibrare la propria mente siano le motivazioni che spingano un ciclista a salire in bici. A me piace dire che ogni ciclista ha un sogno, sostenuto da ragioni individuali. C’è chi vuole dimagrire, chi vedersi più in forma, chi dimostrare a sé stesso e agli altri di potercela ancora fare, chi vuole combattere un nemico interno, chi vuole avere uno sfogo per lo stress, chi vedere posti bellissimi, chi desidera ardentemente superare i propri limiti e uscirne vincitore.
Ritorniamo all’immagine di inizio articolo. Il dolore, la fatica, il sacchetto con il ghiaccio legato al ginocchio. Quello ero io, a pochi chilometri da Santiago. Avevo nelle gambe 650km in 5 giorni di pioggia e fango. Quando sono arrivato mi sono buttato a terra, ho abbracciato il mio amico Andrea e ho chiamato in video mia moglie e mio figlio. Ero felice di essere arrivato ma soprattutto ero felice senza una ragione particolare.
Ogni ciclista ha una sua motivazione intrinseca. Raccontatemi qui la vostra.
Ho ripreso a usare la bicicletta dopo oltre vent’anni, un po’ per curiosità (vedevo sempre più gente spostarsi in bici per le strade vicino a casa mia e ho notato che nessuna di queste persone aveva un’espressione del volto tirata) e un po’ perché le mie ginocchia non erano più molto d’accordo a portarmi in giro per le lunghe camminate che ero abituato a fare. Ricordo ancora la prima pedalata dopo questo “lungo sonno”: fiatone a parte, mi sono subito accorto di non aver dimenticato come si sta in sella, che lo stare in equilibrio e i cambi di direzione mi venivano naturali come se non avessi mai smesso di pedalare, che mi piaceva veder sfilare il paesaggio e che dopo essere tornato a casa dopo un’oretta avevo voglia di uscire ancora. Finì che rincasai definitivamente dopo la mezzanotte e non riuscii a dormire perché volevo che arrivasse presto il giorno dopo per poter uscire ancora!
Da quella sera estiva sono passati due anni e uscita dopo uscita ho cercato di razionalizzare tutte queste sensazioni fisiche e mentali, giungendo alla conclusione che per me andare in bici è una specie di “manutenzione del cervello”, che eseguo col massimo piacere e la massima naturalezza e che in più il mio fisico e il mio stato d’animo ringraziano: pedalando tutto diventa più chiaro, nitido, leggero e le idee si riordinano. È incredibile cosa riesca a fare un traliccio di tubi montato su due ruote…