Salute

Metodo Norvegese: che cos’è e perché funziona

Il Metodo Norvegese di allenamento per la resistenza, detto anche Modello Norvegese di allenamento di endurance è un approccio creato da degli allenatori norvegesi e che sta facendo parlare di sé nell’ambiente. In questo articolo vogliamo andare a spiegare che cos’è il Metodo Norvegese, come funziona, perché funziona e a quale tipologia di ciclisti può adattarsi.

Cos’è il Metodo Norvegese

Il Metodo Norvegese di Allenamento per la Resistenza è un approccio finalizzato a facilitare adattamenti fisiologici nel sistema cardiovascolare, nel metabolismo e nei muscoli per supportare un miglioramento delle prestazioni di resistenza aerobica. Fin qui niente di nuovo rispetto agli allenamenti in Z2 proposti da Inigo San Millàn o agli allenamenti in zona di massima potenza lipidica teorizzati dal prof. Phil Maffettone. Come citato dallo studio “Everything You Need to Know About Endurance Training in One Race!” (Human Limits, 2014), di metodi per l’allenamento della resistenza aerobica ne esistono un’infinita. Serve davvero un altro metodo?

Eppure alcuni degli attuali sostenitori notevoli del Modello Norvegese di Allenamento per gli atleti di resistenza includono il campione olimpico di triathlon Kristian Blummenfelt, il campione olimpico dei 1500 metri alle Olimpiadi di Tokyo 2020 Jakob Ingebrigtsen e il campione del mondo Ironman Gustav Iden. In cosa differisce questo metodo rispetto ai precedenti?

Principi Chiave del Metodo Norvegese

Metodo Norvegese
Fonte: https://inscyd.com/

In cosa consiste il metodo norvegese? Ecco alcuni dei principi chiave:

Allenamento Suddiviso in Tre Zone:

L’atleta deve allenarsi considerando 3 differenti zone di allenamento:

  • Zona 1 è la zona a bassa intensità.
  • Zona 2 è la zona sub-soglia.
  • Zona 3 è sopra la tua soglia di lattato.

Zona Target per gli Allenamenti Chiave:

La Zona 2 è la zona target per gli allenamenti chiave, che prevede l’esecuzione di intervalli al di sotto o leggermente al di sopra della tua soglia anaerobica o della tua soglia di lattato. In sostanza è la zona in cui il lattato viene prodotto ma allo stesso tempo metabolizzato dal corpo in due principali modi:

  • Viene utilizzato direttamente dalle fibre muscolari di tipo 1, che sono lente e aerobiche, come substrato energetico;
  • Viene inviato al fegato, dove attraverso il ciclo di Cori viene riconvertito in piruvato, che è la molecola che permette di innescare il processo di generazione di ATP nei mitocondri (che sono gli organelli deputati alla creazione di energia), detto ciclo di Krebs;

L’atleta che si allena con il metodo Norvegese diventa sempre più capace di gestire la produzione di lattato e utilizzarla a scopi energetici, incrementando così la sua durability e la sua capacità di tenere ritmi più intensi senza andare in affaticamento.

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Misurazioni del Lattato

Rispetto ai metodi proposti da San Millàn o Maffetone, che si basano sulla frequenza cardiaca o quelli di Coggan sulla potenza, il metodo norvegese si basa sulla costante misurazione della concentrazione di lattato nel sangue. Idealmente, gli atleti dovrebbero effettuare misurazioni del lattato durante l’allenamento per valutare l’intensità e verificare che stiano lavorando all’intensità appropriata per supportare il miglioramento e ottimizzare le prestazioni. Questo rende il metodo adatto solo ad atleti evoluti, che hanno a disposizione un preparatore in grado di misurare le concentrazioni di lattato nel corso dell’allenamento.

Test Metabolici Regolari

Infine gli atleti che seguono il metodo Norvegese dovrebbero sottoporsi regolarmente a test metabolici per valutare i progressi e apportare modifiche al programma di allenamento. Anche qui possiamo vedere come il metodo sia pensato per atleti di elitè, data la necessità di effettuare test di massimo consumo di ossigeno con elevata frequenza.

Come applicare il metodo norvegese nell’allenamento

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La caratteristica distintiva del Metodo Norvegese è l’utilizzo di un approccio ad alta intensità e bassa intensità, con particolare attenzione agli allenamenti a intervalli guidati dal lattato. In questo modo, il Metodo Norvegese si concentra sull’aumento della soglia anaerobica all’interno di un modello di allenamento polarizzato. La principale differenza tra il Metodo Norvegese rispetto agli altri metodi è che, invece di utilizzare il passo o qualche altro indicatore esterno per valutare l’intensità o gli intervalli della soglia 2, i livelli di lattato nel sangue vengono misurati ripetutamente durante l’allenamento con un prelievo di sangue da dito o orecchio.

Allenamenti del Metodo Norvegese

Nell’articolo “How the “Norwegian Method” Is Changing Endurance Training” (Outside, 2023), il fisiologo-giornalista Alex Hutchinson, nota che una settimana tipica di allenamento secondo il modello Norvegese coinvolge circa 110 chilometri di allenamento aerobico:

  • La maggior parte del volume di allenamento consiste in sedute facili, svolte nella zona di intensità 1;
  • Due giorni con stacco di 24 ore tra loro includono entrambi intervalli di soglia (lavoro in zona 2)
  • Un giorno solo prevede un allenamento più intenso in zona 3 del Metodo Norvegese, come 20 x 200 metri di sprint in salita.

Esempi di intervalli di soglia di lattato eseguiti con il Metodo Norvegese (presi dall’articolo di Hutchinson) includono 5 x 6:00 a 2,5 mmol/L con 60 secondi di recupero tra ciascuno nell’allenamento del mattino e 10 x 1.000 metri a 3,5 mmol/L con 60 secondi di recupero tra ciascuno nell’allenamento della soglia di lattato del pomeriggio.

Vantaggi e svantaggi del metodo Norvegese

Se analizziamo quanto detto sopra, possiamo definirei i seguenti vantaggi del metodo Norvegese:

  • Permette di monitorare costantemente l’atleta e parametrare l’intensità su un dato molto importante, che è la concentrazione di lattato nel sangue;
  • La maggior parte degli allenamenti sono a bassa intensità e favoriscono un incremento della capacità mitocondriale e un miglioramento dell’economia del gesto;
  • Avendo solo 3 zone di allenamento, è certamente di facile applicazione;

Ma ovviamente ci sono degli svantaggi:

  • Dato che richiede test metabolici frequenti, può essere molto costoso per un atleta amatoriale;
  • La misurazione del lattato richiede la presenza di una persona che prenda la misura e la annoti su un foglio;
  • Dato che si deve monitorare continuamente il lattato, la quasi totalità degli allenamenti va svolta indoor;

In sostanza si tratta di un metodo che fa parlare di sè ma che si presta poco all’allenamento dell’atleta amatoriale, che spesso si allena in solitaria e non ha tempo per sottoporsi a test metabolici in laboratorio.

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