C’è stato un tempo in cui le officine per biciclette erano luoghi che sapevano di grasso, polvere e Nazionali senza filtro, dove vecchi meccanici con il camice blu mettevano mano a complicati mezzi fatti di bulloni e tiranti in acciaio. Quel tempo è ormai passato e i negozi di bici sono luoghi alla moda, dove si possono trovare i medesimi attrezzi di un’officina automobilistica, soprattutto per quello che riguarda le sospensioni. E così gli arnesi che riposavano sui pannelli in lamiera di quelle officine sono stati dimenticati e riscoperti grazie al movimento vintage legato all’Eroica. Eppure per capire dove andremo bisogna sapere da dove veniamo, per cui in questo articolo passeremo in rassegna una serie di utensili che la maggior parte di voi non userà mai e forse nemmeno vedrà ma che hanno fatto la storia della bicicletta.
Tagliaraggi
Oggi le case produttrici di ruote per biciclette hanno raggiunto un grado talmente elevato di innovazione, automazione e flessibilità da rendere quasi superflua la figura del meccanico che si metteva sul suo banchetto a montare le ruote per i clienti. Qualcuno resiste ancora, anche se adesso si fa chiamare “wheelbuilder” che fa più figo, ma si tratta di prodotti di nicchia. Una volta invece il meccanico prendeva il cerchio e il mozzo, calcolava la lunghezza dei raggi, chiamava la società che li produceva e se li faceva spedire.
La normativa non era così strutturata come oggi, per cui i raggi arrivavano tutti della stessa lunghezza, stava poi al meccanico accorciarli e filettarli per adattarli alla bisogna. Ecco che entrava in scena il tagliaraggi, un robustissimo tronchese in acciaio brumito capace di segare i raggi da 2mm di diametro in acciaio armonico. Ora si possono acquistare i raggi già pronti, della lunghezza desiderata, senza bisogno di adattarli con il tronchese.
Estrattore per chiavelle
Quando lo standard di fissaggio delle pedivelle al perno era per tutti (anche per la bici di Fausto Coppi) quello con le chiavelle o zeppe, arrivava comunque il momento in cui s’incominciavano ad avvertire giochi sul movimento centrale e bisognava metterci mano. Per farlo però si doveva estrarre la chiavella, per poter sfilare la pedivella e quindi poter lavorare comodamente sul movimento. Il problema era il seguente: le chiavelle erano innestate a interferenza, avevano una forma conica che rendeva molto solido l’accoppiamento con il foro nella pedivella e a volte il tutto era anche ossidato.
Le alternative erano due: o si metteva la pedivella su un cuneo di legno e si batteva la chiavella con una mazzetta d’acciaio fino a spararla fuori, bestemmiando nel caso si fosse piegata per via di un colpo male assestato oppure si usava l’estrattore. Si faceva poggiare il nottolino sull’estremità della chiavella, si afferrava la pedivella con la mano sinistra e con la destra si serravano i bracci della pinza. La forza impressa sul nottolino era molto alta fino a far uscire la chiavella dalla sede. Ora è un utensile quasi dimenticato.
Ingrassatore per pedali
I pedali hanno sempre avuto una struttura semplice: un corpo esterno calzato su un perno e messo in rotazione grazie a delle sferette immerse in un bagno di grasso. I vecchi pedali avevano un tappo all’estremità, che consentiva di raggiungere il perno interno.
Per allungare i tempi tra una manutenzione e l’altra si procedeva all’ingrassaggio del sistema: si avvitava l’ingrassatore al posto del tappo, si prendeva la pompa a mano e si sparava all’interno una quantità definita di grasso, lubrificando il sistema e rendendo più scorrevole la rotazione del pedale. I problemi nascevano dal fatto che, come sempre nel mondo della bici, ogni produttore usasse il proprio “standard”, per cui il buon meccanico doveva dotarsi di una schiera di ingrassatori di foggia e dimensioni differenti.
Distanziale serie sterzo filettate
Una chicca made in Campagnolo: un distanziale da interporre tra una chiave per serie sterzo e l’altra. Per serrare le serie sterzo filettate infatti si dovevano usare due chiavi sottili che agivano sul dado di serraggio della pista superiore e sul controdado superiore. Per evitare che le chiavi potessero scappare, danneggiando i dadi ma anche per la sicurezza del meccanico, si poteva interporre il distanziale, che consentiva di ampliare la superficie d’appoggio e rendere agevole il serraggio.
Chiave per deragliatori posteriori
Una di quelle chiavi combinate in acciaio che andavano di moda una volta. In un’unica chiave a L era possibile avere sia la brugola da 6mm per avvitare il deragliatore al forcellino, sia la chiave a calotta da 8mm, necessaria per serrare il cavo d’acciaio all’interno della vite di fermo.
Ora è praticamente scomparsa, poiché i deragliatori si montano con chiavi a brugola da 5mm e anche la vite di fermo ha la testa con l’esagono incassato.
Estrattore ruota libera
Prima dell’avvento delle cassette da calettare sui corpetti ruota libera, tutti i pignoni posteriori (siano stati a 1,3, 5 o 7 velocità) erano ricavati da un unico corpo, che incorporava all’interno anche il meccanismo della ruota libera, che veniva avvitato sul mozzo e poi bloccato con una ghiera di testa. Quando si voleva mettere mano alla ruota libera per vari motivi (usura denti pignoni, rottura di un raggio, ossidazione del meccanismo), bisognava svitare la ghiera di testa.
Come sempre non esistava un sistema di fissaggio univoco: Campagnolo aveva il suo che era diverso da Shimano che era diverso da Regina Extra e così via. Anche qui il meccanico doveva dotarsi di una serie infinita di estrattori, uno per casa. Si bloccava il corpo dell’estrattore in morsa, lasciando sporgere la brocciatura. Poi si prendeva la ruota e la si metteva in orizzontale, facendo combaciare la scanalatura della ghiera con la brocciatura dell’estrattore. Si afferrava la ruota dal cerchio e si faceva forza. Il braccio di leva dato dalla lunghezza dei raggi consentiva di aprire la ruota libera, che a volte era così bloccata da richiedere l’intervento di più di due persone. Molti restauratori dell’ultima ora hanno tagliato i raggi a vecchie ruote prima di estrarre la ruota libera. Ecco, in quel caso si deve buttare il mozzo, poiché a meno di non chiuderlo in morsa e rovinarlo non c’è metodo “pulito” per rimuovere la ruota libera.
Frese per canotti
Quando le bici erano tutte in acciaio, molto spesso uscivano dalla casa con le parti di accoppiamento (i famosi canotti) non perfettamente in squadra. Il meccanico, prima di procedere al montaggio doveva prendere la fresa, innestarla all’interno del canotto, spruzzare olio da taglio e fresare a mano la superficie esterna, per renderla perfettamente piana. L’operazione andava effettuata per le due facce della scatola del movimento centrale, per il canotto sterzo e per la testa della forcella.
Solo dopo aver effettuato la fresatura e controllato la planarità si poteva procedere all’installazione delle calotte, a volte facendo precedere l’operazione dal ripasso delle filettature. Con la grande diffusione della fibra di carbonio e il miglioramento delle tecniche produttive questa procedura non è più così usuale come una volta ma non vi è nessun meccanico che si reputi tale che sia sprovvisto di questi utensili.
Chiave per movimenti centrale a calotte
Un tempo i movimenti centrali erano formati da due calotte che si montavano sulla scatola, al cui interno ruotava il perno, grazie a un gioco di sfere immerse in un bagno di grasso. Le calotte erano di due tipi: fissa, che veniva serrata sul lato della guarnitura e regolabile, che si montava sul lato pedivella.
La calotta fissa si serrava con una chiave scanalata, facendola ruotare in senso orario, poiché all’epoca i movimenti centrali avevano tutti la filettatura ITA (attualmente lo standard è il BSA e la calotta destra si serra in senso antiorario). La calotta regolabile invece si avvitava a mano e poi si innestavano i due nottolini per farla ruotare di pochissimo, per arrivare a una regolazione perfetta del movimento, ovvero quando il perno ruotava fluido ma non aveva alcun tipo di gioco. La calotta regolabile era poi mantenuta in posizione da una ghiera di sicurezza. Ora i sistemi a cartuccia, Hollowtech II e Press-Fit hanno mandato in pensione questo tipo di movimento centrale e con lui le chiavi dedicate.
Chiave per serie sterzo fuori misura
Un tempo le serie sterzo filettate presentavano dadi di serraggio di fogge e forme diverse. A volte erano dei semplici tondi godronati, altre erano degli arzigogoli che non rispondevano a nessuna norma meccanica. Per questo esisteva la chiave per le serie sterzo fuori misura, che si utilizzava in questi casi.
Serviva soprattutto per agire sul dado di chiusura della pista superiore, che spesso aveva forme strane e dimensioni non consone. Molti meccanici, invece di acquistare questo utensile (che non era proprio gratis), preferivano usare “l’ingegnere”: il serratubi da idraulico con i denti coperti da uno straccio di cotone per evitare di graffiare il dado.
Terza mano
Quando s’installa un nuovo cavo sui freni a tiraggio laterale, con una mano bisogna tenere il cavo teso, con l’altra stringere il dado di serraggio e con l’altra ancora mantenere i pattini poggiati al cechio. Come? Ah, ho contato una mano in più, vero? Infatti per risolvere questo problema esiste tuttora l’attrezzo chiamato terza mano, che consente di mantenere in posizione i pattini mentre si tende il filo e si serra il dado.
Un tempo la terza mano era un semplice morsetto, che veniva avvitato sui pattini e li manteneva in battuta sul cerchio, liberando le mani del meccanico. Oggi il concetto si è evoluto e la terza mano assomiglia più a una pinza. Si aggancia il filo e lo si tende agendo sulle due leve. Contemporaneamente al tiraggio del filo la terza mano manda in battuta i pattini, consentendo al meccanico di serrare il bullone.
Chiave per tiranti sella
Le selle Brooks in cuoio sono tornate di moda negli ultimi anni per via dell’ondata di ciclismo vintage e della commistione hipster delle scatto fisso. Un tempo però erano tra le selle più ambite, insieme credo alla San Marco Concor, e più diffuse. Il rivestimento dello scafo era effettuato con una lamina di cuoio poggiata sopra e mantenuta in tensione da dei tiranti.
Con il tempo però la lamina perdeva elasticità e cominciava a rovinarsi o piegarsi, per cui si prendeva la chiave apposita e si agiva sui tiranti, che riportavano la lamina alla tensione corretta. Oggi questa tecnologia è ancora presente sulle selle Brooks più old style ma per le nuove proposte, come la Cambium, questo sistema è superato.
Calibro per allineamento telaio
Ai tempi in cui l’acciaio dominava il mondo del ciclismo, quando un corridore cadeva il suo meccanico metteva la bicicletta in dima (ovvero su una struttura apposita per il fissaggio e il controllo) e poi controllava l’allineamento del telaio e della forcella.
Pur essendo molto resistente, l’acciaio pativa molto i forti impatti, poiché la forza si scaricava sul telaio stesso (specialmente sulle congiunzioni saldobrasate) facendo sì che questo si ricalcasse e quindi curvasse o piegasse. Il meccanico posizionava il calibro e poi effettuava le misure, sperando che le distanze fossero tutte le stesse (ovvero che il telaio fosse in dima, cioè diritto), altrimenti, per disassamenti di pochi millimetri, faceva leva e usava il calibro stesso per raddrizzare. Altrimenti ordinava un nuovo set di congiunzioni e si prepararava a costruire un nuovo telaio per il suo atleta.
Maschi e filiere per filettare
Le bici in acciaio erano un trionfo di filettature: la scatola del movimento centrale, il tubo della forcella, il forcellino di fissaggio del deragliatore posteriore, i nottolini di attacco dei comandi cambio sul tubo obliquo, tutto filettato. Prima di montare una bici nuova, dopo aver fresato i canotti, il meccanico coscenzioso prendeva maschi e filiere e ripassava tutti i filetti. La differenza è semplice: i maschi servono per filettare elementi forati, le filiere per filettare i tubi.
Filettare era un’operazione che richiedeva pazienza: bisognava stare attenti a non entrare storti, a tenere dritto il giramaschi (ovvero l’utensile al quale si fissano maschi e filiere), si doveva spruzzate abbondante olio per filettare e si doveva sempre fare un giro avanti e mezzo indietro, affinché si scaricasse il truciolo. Dopodiché si puliva il tutto e s’ingrassava. Oggi le filettature, nell’epoca della fibra di carbonio, stanno rapidamente sparendo ma, come per le frese, i veri meccanici hanno ancora tutta la serie di maschi e filiere esposte sul loro banco di lavoro.
Chiave a osso
L’antenato del multitool era una chiave in acciaio con una forma stravagante, detta “a osso”: un corpo piatto centrale e due estremità quadrate, sulle cui facce erano ricavate degli esagoni di varie misure. Ogni esagono si accoppiava con la testa delle viti esagonali che tenevano insieme la bicicletta: le misure erano davvero tante.
Oggi è un utensile praticamente dimenticato poiché le viti a testa esagonale sono state soppiantate dalle più pratiche e meno ingombranti viti a brugola o Torx e inoltre il peso la rende davvero scomoda, a meno che non vogliate usarla come arma contundente.
Le foto sono tutte provenienti da annunci pubblicati su Ebay.it e appartengono ai legittimi proprietari
Qualcosa su un attrezzo (dima) per raddrizzare forcelle ?
Davvero bellissimo articolo! Grazie per aver ricordato l’atmosfera che si respirava nelle vecchie officine e tutti questi bellissimi attrezzi: nell’officina di mio nonno, meccanico e telaista, c’erano e ci sono tutti! Leggere è stato come tornare un po’ indietro nel tempo, quando da bambina lo osservavo lavorare ed ascoltavo le sue spiegazioni. Se posso permettermi, a questo elenco manca un utensile: quello che un tempo si usava per forare i cerchi, per poi inserirvi i raggi.
Grazie ancora e buona pedalate,
Elisa (26 anni)
Ciao Mario,
grazie per i complimenti. In realtà l’articolo di cui parli c’è già:
https://www.bikeitalia.it/attrezzatura-base-per-il-meccanico-di-bici-da-garage/
Buone pedalate
Omar
Complimenti Omar per il bell’articolo sugli attrezzi…ora manca, ma sono sicuro che ce l’hai già in cantiere, quello sugli attrezzi moderni e soprattutto sul loro corretto uso.
Buona pedalata
Mario