Guardiamo fuori dai finestroni del ristorante dell’hotel mentre facciamo colazione e il nostro pensiero è solo uno: “fanculo, piove“.
Il cielo è color titanio, uniforme e senza saldature, interrotto solo dal profilo delle montagne. Philippe (il cuoco del Pazzola) ci guarda trasmettendo un senso di compassione e scuote la testa mentre dice che non spioverà alla svelta. Noi gli rispondiamo con un sorriso quasi di sfida e gli diciamo che un po’ di acqua non ci spaventa: alla fine mica siamo fatti di zucchero, no?
La pioggia cade fitta e trafigge tutti i cerchi nelle pozzanghere mentre noi montiamo le borse sulle bici. Davanti a noi ci sono il passo dell’Oberalp poi quello della Furca e, infine, il passo di Grimsel, tutti ben oltre i 2.000 metri di altitudine.
Prendiamo la strada principale e iniziamo a pedalare: la salita non è particolarmente dura, ma le gocce d’acqua sono come spilli che cercano ad ogni costo di entrarci negli occhi. Pedaliamo a testa bassa, tanto intorno non c’è nulla da vedere.
Dopo un paio di km abbiamo le scarpe già piene d’acqua, ma continuiamo a spingere sui pedali. dopo 15 minuti anche la mia giacca impermeabile inizia a cedere e a fare entrare pioggia dalla schiena. Non ci posso credere: è una giacca in Gore-Tex packlite della North Face, pagata una quantità indecente di denaro un anno prima che sul più bello mi pianta in asso.
Arrivati a Sedrun, il paese successivo, ci piazziamo sotto una tettoia a caso per decidere sul da farsi. La tettoia a caso è quella delle terme, dove c’è un continuo andirivieni di persone. Abbiamo freddo e siamo fradici. Non ci vuole molto a legare le bici alla rastrelliera e a entrare dirigendoci verso gli spogliatoi.
In un attimo siamo pronti a perderci tra le mille sfumature di calore disponibili: ci sono le saune tiepide, quelle calde e quelle caldissime,quelle secche e quelle umide, quelle aromatiche e quelle senza odore. Dopo averne provate un po’, alternate da docce rigorosamente ghiacciate, terminiamo l’esperienza spaparanzati in una specie di gigantesca vasca idromassaggio senza curarci troppo delle nostre nudità (sì, qui alle terme è vietato indossare il costume da bagno).
Dopo un paio d’ore di mollezza, possiamo dire di esserci definitivamente scaldati e i vestiti si sono asciugati, ma fuori continua a piovere quanto se non più di prima. Le saune ci hanno tolto le forze e l’idea di mettersi a pedalare di nuovo sotto l’acqua non è molto eccitante, se poi si aggiunge la totale mancanza di paesaggio causa nebbia e nuvole, facciamo veramente fatica a trovare la motivazione necessaria per salire in sella. Mentre riordiniamo le borse riceviamo un messaggio divino: è scritto sulla borsa di stoffa che usiamo per tenere il cibo e recita “Use the brain, take the train” (usa il cervello, prendi il treno).
Alziamo gli occhi, ci guardiamo in faccia. La stazione non è distante più di 200 metri. Ci informiamo sugli orari e sul trasporto bici, nessun problema as usual. Saliamo e, al calduccio del treno, ci addormentiamo mentre la locomotiva, tunnel dopo tunnel attraversa tutte le montagne che ci aspettavano. Dal finestrino ci capita di vedere dei motociclisti in balia della pioggia e che, invece, sul treno non sono ammessi.
Arriviamo a Interlaken con un giorno di anticipo rispetto alla tabella di marcia. Il tempo qui è clemente e si intravedono anche sprazzi di cielo blu. Fuori dalla stazione di Interlaken Ost ci sono cartelli segnaletici pensati apposta per le bici che indicano pressoché ogni dove. Non solo, ma di lì a pochi metri troviamo anche una rastrelliera in cui si può lasciare la bicicletta, ma per un tempo massimo di 3 ore.
Noi però non ne abbiamo bisogno perché l’ostello dove alloggiamo ha un garage dedicato appositamente alle due ruote dove possiamo lasciare le nostre fedeli cavalcature.
La giornata passa tra uno scroscio d’acqua e l’altro, mentre noi ce ne andiamo a spasso bighellonando per il centro. Interlaken, come dice il nome, è una cittadina posta a metà strada tra due laghi, lungo un canale di collegamento di un colore talmente splendente che fatichiamo a credere alla sua veridicità.
Come ogni angolo di Svizzera, è un capolavoro di ordine e precisione, ma per noi rappresenta una vera delizia costatare le abitudini di spostamento degli abitanti: bambini in bicicletta, pattini e monopattino sfrecciano a ogni dove, attraversando la strada senza troppo preoccuparsi di automobili che possano sopraggiungere all’improvviso a travolgerli. Per un attimo sono tornato alla mia infanzia quando ho visto un bambino di circa 8 anni procedere in mezzo alla strada, con un pane sotto un braccio mentre l’altro teneva più meno saldamente il manubrio del suo monopattino. Da quanti anni non ho più visto la stessa scena nelle città italiane?
A ben vedere, qui le strade sono tendenzialmente libere dalle auto e dagli autobus dei turisti. Viceversa è un continuo viavai di biciclette e di treni che solcano il centro città come se fossero dei normalissimi tram, il tutto mentre i cittadini se ne stanno comodamente seduti in strada a farsi una birra. D’altronde, è a quello che servono le strade, no?
All’indomani la sveglia è sul presto, lasciamo le bici in cantina per andare a fare un’esperienza nuova. In città c’è un negozio specializzato in noleggio biciclette di qualunque tipo. Si chiama Flying Wheel ed è gestito da due tedeschi di Colonia che da qualche anno si sono trasferiti qui iniziando una nuova attività economica. Beviamo un caffè insieme durante il quale ci raccontano di quanto sia difficile ma allo stesso tempo interessante il loro business: “qui a Interleken vengono tantissimi orientali e mediorientali, molti Indiani e Pakistani. Alcuni di loro sono veramente fantastici: prenotano un percorso in bicicletta via web, poi arrivano qui e scoprono che non sanno andare in bicicletta! Salgono in sella e non riescono a stare in equilibrio! Poi ti guardano con fare mortificato e, come per scusarsi, ti dicono “ma a casa ci riuscivo”.”
Ridiamo e saliamo in sella, il programma della giornata prevede una bella pedalata (assistita) di una ventina di km fino alla stazione di Lauterbrunnen, da qui treno fino al ventre dello Jungfrau (che in tedesco significa vergine, ironico, no?), la gigantesca montagna che si erge di fronte a noi. Il cielo è terso e Myriam ci dice che siamo molto fortunati: una volta in cima, a 3500 metri, sarà un vero spettacolo.
Nel frattempo ci godiamo il panorama e ci godiamo la pedalata: le Bergamont che abbiamo sotto le terga sono dei capolavori di ingegneria. O meglio, sono delle vere mountain bike, solo che ti danno la spintarella e trasformano in pianura qualunque salita. Niente a che vedere con quanto provato fino a quel momento.
Il percorso è magnifico: utilizziamo una serie di ciclabili su terreni molto battuti o asfaltati che assecondano le forme del lago o del fiume. Intorno a noi non ci sono capolavori di natura architettonica, ma la splendida capacità di compenetrazione tra la natura e gli esseri umani vale quanto una cupola del Bernini o un capitello corinzio.
Arrivati in stazione parcheggiamo le biciclette con la stessa premura e accortezza che avremmo adottato davanti alla Stazione Termini a Roma, nonostante le altre bici siano assicurate per la sola ruota anteriore con dei lucchetti ridicoli (niente ladri da queste parti, pare).
Saliamo sul trenino e iniziamo l’ascesa. Date le pendenze, il trenino procede grazie all’ausilio di una ruota dentata che aggancia una cremagliera posta tra i binari. La velocità è molto bassa ma questo ci consente di vedere tutto con attenzione.
Ma questi posti noi li conosciamo molto bene, almeno in teoria: è il luogo dove è stato girato il film più struggente sul mondo dell’outdoor, North Face, la storia di due alpinisti che nel 1936, partiti da Berchtesgaden in bicicletta, arrivano fin qui dove si cimentano nella scalata della parete nord dell’Eiger fino ad allora ancora inviolata.
Il trenino ci porta prima alla stazione della Kleine Scheidegg dove troviamo un hotel che ci racconta degli oltre cento anni di turismo di questa regione. Qui cambiamo treno e saliamo sulla ferrovia voluta da Adolf Guyer-Zeller che ci porterà alla stazione ferroviaria più alta d’Europa, a 3.454 metri sul livello del mare, dopo aver attraversato un tunnel lungo 7 km scavato nella montagna, inaugurato nel 1912 dopo 14 anni di lavori.
Prima di arrivare a destinazione, il trenino si ferma in un paio di occasioni per farci capire dove ci troviamo realmente. Descrivere la sensazione è impossibile. Forse è meglio affidarsi a un video.
Da qui alla cima è tutto uno stupore, soprattutto perché la stazione ferroviaria in cima all’Europa non ha alcuna funzione se non di natura turistica, ma la cosa ancora più sconvolgente è che, nonostante questo, le Ferrovie della Jungfrau (proprietarie della linea) godono di ottima salute finanziaria, al punto che da oltre 100 anni non hanno mai interrotto il proprio trend di crescita economica continuando a distribuire dividendi.
Descrivere la cima è impossibile: qui ci sono ristoranti, caffetterie, negozi di souvenir e di orologi (siamo in Svizzera), edicole, un percorso esperienziale scavato all’interno di un ghiacciaio dove rimaniamo a bocca aperta e poi c’è la terrazza da cui è possibile guardarsi intorno e vedere l’Europa ai propri piedi. Per lo meno in teoria, perché il cielo, come da manuale della montagna, si è guastato all’improvviso e l’unica cosa da guardare a questo punto sono quei turisti (in larga parte probabilmente di origine indiana) che si fanno foto in mezzo alla nebbia tenendo in mano delle palline di neve che, probabilmente, non avevano mai visto prima.
Mangiato un boccone, chiudiamo anche questa esperienza e,con essa, questo viaggio attraverso le Alpine Pearls con una sola consapevolezza che ci viene ricordata dal monumento a Ziller: Volere è Potere.
Le Altre Perle delle Alpi
1. Introduzione
4. Werfenweng
5. Weissensee
7. Valdidentro
8. Arosa
9. Disentis
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